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Visco: senza immigrati 3,5 milioni di lavoratori in meno entro il 2030

di Andrea Carli

Banca d'Italia, diretta video delle considerazioni finali del governatore Ignazio Visco

2' di lettura

L’immigrazione può dare un contributo alla capacità produttiva dell’Italia, l’importante è che le persone che arrivano abbiano delle competenze di alto livello. Inoltre occorre promuovere l’integrazione e la formazione di chi proviene da altri paesi. È uno dei messaggi lanciati dal Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nelle Considerazioni finali.

GUARDA IL VIDEO - Le Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco

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«Da qui al 2030 - ha sottolineato - , senza il contributo dell’immigrazione, la popolazione di età compresa tra i 20 e i 64 anni diminuirebbe di 3 milioni e mezzo, calerebbe di ulteriori 7 nei successivi quindici anni. Oggi, per ogni 100 persone in questa classe di età ce ne sono 38 con almeno 65 anni; tra venticinque anni ce ne sarebbero 76. Queste prospettive sono rese più preoccupanti dall'incapacità del Paese di attirare forze di lavoro qualificate dall’estero e dal rischio concreto di continuare anzi a perdere le nostre risorse più qualificate e dinamiche».

Alla fine del 2018 gli stranieri erano pari all’8,7 per cento della popolazione, 0,2 punti percentuali in più rispetto all’anno precedente, e sostanzialmente in linea con la media dell'Unione europea.

Tra gli immigrati la quota di laureati è meno della metà di quella nell’Unione
«Dai primi anni Novanta in Italia il numero degli immigrati supera ogni anno quello degli emigrati - ha spiegato Visco - dopo un lieve calo durante la crisi dei debiti sovrani, il saldo ha continuato a salire, portandosi nel 2018 a quasi 190.000 persone, lo 0,3 per cento della popolazione. La quota di laureati tra gli stranieri, pari a quasi il 13 per cento, è meno della metà di quella media registrata nell’Unione».

Il nesso tra immigrazione, fuga dei cervelli e andamento demografico
Il dossier immigrazione va letto in parallelo con altri due aspetti. Il primo: la fuga dei cervelli, ovvero i giovani che una volta laureati vanno a cercare lavoro all’estero. Il secondo: l’andamento demografico del Paese. «Se alziamo lo sguardo oltre l’orizzonte della congiuntura - ha continuato Visco - non possiamo ignorare il rischio, implicito nelle tendenze demografiche, di un netto indebolimento della capacità produttiva del Paese e la prospettiva di una forte pressione sulle finanze pubbliche».

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