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Russia: oltre al gas l’escalation mette a rischio petrolio, grano e metalli

Mosca è una potenza delle materie prime. E in caso di guerra o sanzioni sarebbe l’Europa – non gli Stati Uniti – ad essere esposta a gravi difficoltà di rifornimento

di Sissi Bellomo

Usa: "Russia in Ucraina ha due strade, diplomazia o conflitto"

3' di lettura

Non solo gas, ma anche petrolio, grano e metalli. La Russia è una potenza delle materie prime e un fornitore chiave soprattutto per l’Europa, che in uno scenario di guerra – o anche solo di sanzioni – rischierebbe di trovarsi in gravi difficoltà. Basti ricordare quel che accadde nel 2018, quando nella lista nera degli Stati Uniti finì il magnate russo Oleg Deripaska e a cascata la “sua” Rusal, gigante mondiale dell’alluminio: il caos nella catena degli approvvigionamenti e i rincari record che ne seguirono (a carico principalmente dei consumatori del Vecchio continente) furono tali da costringere Washington a fare marcia indietro.

Stavolta potrebbe andare molto peggio. I prezzi delle materie prime stanno infatti correndo da mesi, in molti casi a livelli mai visti o che non si vedevano da oltre un decennio. E stiamo già sopportando una pesante crisi energetica, scatenata dai rincari record del gas.

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A parte il rischio per le infrastrutture in caso di conflitto – gasdotti, oleodotti, ma anche porti da cui salpano navi cariche di cereali – «sanzioni rigide sconvolgerebbero i mercati delle materie prime », avverte Warren Patterson di Ing, ricordando che Mosca oltre ad essere un gigante energetico è anche il primo fornitore mondiale di grano e di palladio, nonché uno dei maggiori produttori di nickel e rame, metalli importanti per la transizione.

«Anche se non venissero imposte sanzioni dirette su certe industrie – afferma l’analista – eventuali sanzioni finanziarie potrebbero complicare gli scambi commerciali, perché sarebbero d’ostacolo ai pagamenti».

Tra le ipotesi sul tappeto ci sono misure contro le banche russe e addirittura un’esclusione dal sistema di pagamenti Switf, come era stato fatto contro l’Iran. Importare da Mosca diventerebbe praticamente impossibile, sostituirla con altri fornitori un incubo.

La preoccupazione numero uno riguarda il gas, che nell’ultimo anno è più che quadruplicato di prezzo, in gran parte proprio per la scarsità di forniture dalla Russia. Il mercato aveva appena cominciato a tirare il fiato grazie all’arrivo di grandi volumi di Gnl, ma lunedì 24 c’è stata un’impennata di quasi il 20%, che l’ha riportato a 92 euro per Megawattora al Ttf.

A spaventare non è solo una possibile interruzione dei flussi via Ucraina, ma anche le sorti del Nord Stream 2, visto come il bersaglio naturale di sanzioni, quanto meno da parte degli Usa. L’avvio del gasdotto nel Mar Baltico rischia di slittare a tempo indefinito, prolungando le tensioni sul mercato del gas.

Gli analisti sono in allarme. Con un’ulteriore escalation tra Russia e Ucraina, avverte Goldman Sachs, il prezzo del combustibile potrebbe eguagliare o superare i livelli record di dicembre (quando si era spinto oltre 180 €/MWh). Per James Huckstepp di S&P Global Platts senza il Nord Stream 2 ci saranno «prezzi estremi e volatilità fino al 2023», mentre William Jackson di Capital Economics teme che il prezzo del gas salirebbe «molto oltre il picco dell’anno scorso» nel caso in cui «ci fossero sanzioni contro le esportazioni energetiche russe o se fosse la Russia a usare l’export di gas come strumento di pressione».

Mosca si è ritagliata uno spazio importante anche nel mercato del Gnl, con 30,2 milioni di tonnellate esportate l’anno scorso secondo Refinitiv Eikon, di cui quasi metà verso l’Europa. E storicamente è una potenza del petrolio: con una produzione di 10,5 milioni di barili al giorno (ed esportazioni per circa 5 mbg) è stata superata nel 2021 solo dall’Arabia Saudita, di cui è alleata nell’Opec Plus.

Anche per il petrolio, come per il gas, l’Europa è il mercato principale, dove tuttora finisce metà dell’export russo. Una parte arriva con l’oleodotto Druzhba, che passa anche per l’Ucraina.

Il Brent – lanciato verso quota 90 dollari al barile, sui massimi da 11 anni – lunedì 24 ha invertito la rotta, condizionato dai pesanti ribassi delle borse, ripiegando intorno a 85,50 $. Ma l’escalation tra Russia e Nato è l’ennesimo fattore rialzista su un mercato sempre più condizionato da crisi geopolitiche (comprese quelle in Medio Oriente, dove gli Houthi filo-iraniani hanno tentato un nuovo attacco contro gli Emirati arabi, a meno di una settimana dal precedente).

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