Solalinde: mercoledì a Livorno il sacerdote messicano che libera i migranti dai narcos

Due appuntamenti il 3 ottobre: alle 16.30 la presentazione del suo libro (a Pisa) e alle 19.30 un incontro di preghiera (a San Giovanni)

Alejandro Solalinde

Alejandro Solalinde

Livorno, 1 ottobre 2018 - "I migranti sono un segno dei tempi. Sono vittime del neoliberismo selvaggio che ha divorato il loro paese d'origine e li ha costretti a lasciarlo. In questo senso, sono testimoni di un mondo in disfacimento, ne portano le ferite nella loro carne”: si può parlare delle migrazioni in modo non istintivo? Cogliere i tratti diversi di questo fenomeno che ci accompagnerà per anni, dopo che tante guerre hanno seminato veleni a tante latitudini? Pensiamo solo a quelle del Golfo e poi a quanto accaduto tra Siria e Iraq, ma anche all'onda lunga degli effetti dei regimi autoritari in Centro e Sud America e all'impoverimento deflagrante provocato da economie senza regole e senza freni.

Ci vogliono voci e testimoni che fanno salire il livello del confronto. Padre Alejandro Solalinde, candidato al Premio Nobel per la pace, è uno di questi. Opera in Messico contro lo sfruttamento dei migranti e anche per questo è nel mirino dei narcotrafficanti. Si ragiona troppo poco sui modi con cui la criminalità organizzata provoca una parte non trascurabile di questo fenomeno e lo sfrutta, facendo fare le spese soprattutto a donne e bambini Mercoledì 3 ottobre a Pisa, alle ore 16.30 nella Chiesa di San Matteo (in piazza San Matteo in Soarta, 2), e a Livorno, alle 19.30, in via Carraia 2 Solalinde parteciperà a due incontri aperti al pubblico, promossi dalla Comunità di Sant'Egidio: il primo, a Pisa, per presentare il libro, 'I narcos mi vogliono morto', edito da Emi (Editrice missionaria italiana); il secondo, a Livorno, di preghiera nella chiesa di San Giovanni.

Prete messicano, Solalinde, nato nel '45, ha fondato nel 2007 'Hermanos en el Camino', un centro di aiuto per i migranti diretti negli Stati Uniti. Ha ottenuto diversi riconoscimenti per il suo impegno, come il Premio nazionale per i diritti umani. Ma più volte è stato minacciato di morte dai "cartelli" dei narcotrafficanti perché ne denuncia soprusi e violenze. Anche per lui entrare nella storia di chi fugge non è stato immediato. Ha imparato a “vederli” davvero dopo diverso tempo, perché prima “c'ero passato solo accanto, come tanti altri".

C'è un suo pensiero che sintetizza con grande efficacia proprio ciò che, invece, non si vuole vedere: "I migranti sono un segno dei tempi. Sono vittime del neoliberismo selvaggio che ha divorato il loro paese d'origine e li ha costretti a lasciarlo. In questo senso, sono testimoni di un mondo in disfacimento, ne portano le ferite nella loro carne”. Al contempo, però, i migranti “sono pionieri del futuro. Anticipano, con la loro ostinata resistenza, la possibilità di una nuova società. Perché? Perché hanno il coraggio di rischiare”. I migranti rischiano il tutto per tutto, in nome della vita, “per se stessi e per le loro famiglie. Sono i più indifesi, gli eterni esclusi, eppure non si fermano, vanno avanti, camminano, confidando in una forza che, comunque la chiamiamo, solo Dio può infondere. Il loro viaggiare, invincibile e dolente, rammenta a noi, ormai accomodati e aggrappati alle nostre certezze, che siamo tutti pellegrini. Tutti siamo migranti".