MICHELE BRANCALE
Cronaca

A Medì disegnata una mappa del futuro delle città del Mediterraneo

Da Livorno a Lesbo, le voci (da Riccardi ad Aissa a Zhakarjia) e le rotte per una crescita comune

Tutti in piedi a Medì per il ricordo di Daphne Caruana Galizia (foto di Maurizio Angioli)

Tutti in piedi a Medì per il ricordo di Daphne Caruana Galizia (foto di Maurizio Angioli)

Livorno, 17 marzo 2019 - Una città che si fa porto è una città che ha un'anima, che accoglie, che sa trasformare in risorsa le diverse generazioni e le giovani forze che in essa approdano o solo circolano. A Medì, il convegno internazionale delle Città del Mediterraneo promosso dalla Comunità di Sant'Egidio nella Goldonetta, si è disegnata giovedì e venerdì 14 e 15 marzo come una mappa di crescita e futuro, tracciando diverse rotte in un mondo inquieto e che cerca risposte umane, vivibili. Milioni di ragazzi scendono nelle piazze per salvare il mondo, ad un'altra latitudine l'odio arma qualcuno a Christchurch, in Nuova Zelanda, contro i musulmani in preghiera. “Il terrorismo e l'attacco alla natura tolgono futuro”, sottolinea Halima Aissa, tunisina, a Livorno. Con altre donne, Halima ha raccolto dossier su giovani immigrati spinti dalla disoccupazione, dalla mancanza di scolarizzazione e dalla ricerca di democrazia a fuggire verso l'Europa, “nonostante rischi di molteplici naufragi”. Ecco perché sono importanti le “città porto”, città-madri che sappiano dare vita e futuro: “Dobbiamo pensare al futuro dei nostri ragazzi, la cui vita è minacciata da sogni folli, spinte violente, ma esprime anche un desiderio di futuro e di sviluppo inarrestabile”.

“Il vero problema del nostro Paese non sono quelli che arrivano ma i tanti giovani che se ne vanno”, sostiene Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant'Egidio. Sono 985 mila i ragazzi italiani andati via dalla penisola in pochi anni, un fenomeno della portata simile al flusso migratorio che l’Italia conobbe negli anni ‘30. “Livorno è un microcosmo del vivere mediterraneo”, dice Riccardi: “ e l'anima della città mediterranea, sia Istanbul o Roma, Trieste o Beirut, è l'incontro”. Occorre ritrovare una nuova passione civile e comunitaria per le nostre città. Città dell’incontro quindi, in cui le religioni, sollecitate dai vuoti culturali e valoriali alla trasformazione in passioni e degenerazioni identitarie, possano invece accompagnare la circolazione delle persone orientandole all’apertura e alla conoscenza dell’altro. Così Olivier Roy (Istituto Universitario Europeo) che coglie nel passaggio dal mondo rurale alla prevalenza di quello urbano una delle prime cause dello smarrimento contemporaneo. “Ricominciare dal locale – continua Roy – a costruire tessuti umani e pacificati, abbandonando la nostalgia per lo Stato-Provvidenza o le risposte facili dei populismi, e rittrovando il valore della responsabilità personale e collettiva”. Un esempio? Ce ne sono tanti nelle voci e nei volti del Mediterraneo presentati a Medì. Uno fra tutti quello di Daphne Caruana Galizia, la “voce di Malta”, uccisa nell’ottore del 2017 per la sua intensa e costante denuncia dei traffici illeciti presenti nell’isola, legati alle società off-shore, nonché il coinvolgimento di alcuni eminenti politici maltesi nei Panama Papers. La sua vicenda, raccontata dalle parole coraggiose di Manuel Delia, giornalista de The Times of Malta, che ne ha raccolto il testimone, denunciando l’appropriazione dello Satato dalle internazionali del crimine, reclama “verità e giustizia”. Platea in piedi davanti all'immagine della giornalista maltese, tre minuti di applausi. Zakharjia, viene dal Senegal, e ha raccontato la sua storia del terribile passaggio dalla Libia fino a Livorno: prima il deserto dove viene abbandonato con un amico di trafficanti. La marcia tra le dune per giorni, fino ad arrivare in Libia, dove vengono gettati in prigione senza nessun motivo, per estrorcergli soldi. “Ti mettevano a sedere e uno veniva davanti a te e ti diceva di chiamare i tuoi genitori per farti mandare i soldi. Se dicevi che i tuoi genitori non avevano niente, allora ti facevano 3 volte la domanda per farti chiamare: alla terza volta che tu rifiutavi di chiamare a casa per farti inviare i soldi, ti bastonavano nudo.” Dieci alla volta davanti ai torturatori, costretti ad assistere alle violenze sull’altro. Le minacce ai familiari, le terribili condizioni delle prigioni. Poi il tragitto in mare: “Due ore dopo la partenza il motore non funzionava più e ci siamo fermati in mezzo al Mediterraneo, dove siamo rimasti altre due ore, con il rumore che facevamo noi (chi urlava”Moriremo qui!”, chi piangeva …), sono arrivati 4 squali che ci giravano intorno alla barca, con la pinna fuori … Io li avevo visti solo nei film. […] Poi è arrivato l’elicottero e dopo mezz’ora è arrivata la barca della Croce Rossa per salvarci. Siamo rimasti un giorno nella nave e poi siamo sbarcati in Sicilia. Era il 13/4/15 e ci hanno messo in fila per chiederci i nostri dati. Siamo rimasti in Sicilia una notte e poi il 14 è arrivato il pullman”. Infine a Livorno: “Ora sono qui, in questa città di Livorno che mi piace tantissimo e mi sento cittadino di questa città: ho un lavoro e quando non lavoro, vado con altri ragazzi della scuola ed alcune nostre insegnanti della scuola di italiano a trovare alcuni anziani di un istituto del centro e questo mi dà tanta gioia.” Attraverso due citazioni (Rutilio Namaziano, un poeta della tarda latinità, e le Livornine) lo scrittore livornese Simone Lenzi ha spiegato che “prima dell'origine di questa città c'è dunque il bisogno di preparare il terreno, di darsi da fare perché sia in qualche modo possibile una fondazione” e che i Medici hanno dato fondamento alla città poichè “nel sogno mediceo la fondazione di Livorno passa dunque per un appello ai mercanti di ogni latitudine a popolare questa città nuova”. Ma spinto verso il presente Lenzi conclude: “Fra la visione della città di cui questi due testi recano testimonianza e la sua realizzazione, c'è dunque un attimo di pienezza laboriosa che, come nel Faust di Goethe, andrebbe colto e eternato, e da cui bisogna ogni volta ripartire perché le avversità del presente non ci costringano alla resa. Il presente, infatti, ci parla di una pericolosa tentazione alla chiusura, alla recinzione di orticelli che non danno più frutto, alla costruzioni di muri. Ce ne parla anche a Livorno, una città, questa città, che negli ultimi anni si è crogiolata in uno sciagurato sogno di autosufficienza che tradisce la sua più intima vocazione e il suo stesso destino. […]Livorno è nata invece per incarnare un sogno che aveva da essere reale, libero e amplissimo, su un terreno che, in vista di questo, andava preparato. Ecco: preparare il terreno. Credo sia proprio questo desiderio a ispirare il presente incontro e, più in generale, l'opera spesso poco clamorosa ma proprio per questo tanto più efficacie e indispensabile della Comunità di Sant'Egidio, che con generosa pazienza lavora da sempre alla bonifica culturale di un terreno di incontro possibile, perché ogni incontro possa essere finalmente reale, libero e amplissimo.” Alle città come Livorno fa riferimento Anis Issa, di Alessandria, intellettuale copto-ortodosso e assistente culturale del Patriarca di Alessandria Tawadros II, per il quale “la diversità culturale, il cosmopolitismo, sono la vocazione della città, elisir di giovinezza e fonte di bellezza”. I bambini delle Scuole della pace di Sant'Egidio hanno reso un omaggio all'isola di Lesbo, donando una raccolta di fondi consegnata ad Eric Kempson. Ex manager del Safari Park di Portsmouth (Inghilterra), Kempson si è trasferito con la famiglia a Lesbo nel 1999 dove ha avviato una piccola azienda agrituristica. Nel 2015 Eric e la sua famiglia sono stati i primi e tra i pochi soccorritori dell'ondata di persone, 600.000 sbarcate fino ad oggi a Lesbo, in fuga dalla Siria e dal Medio oriente, attraverso il mare. Eric e sua moglie Philipa hanno promosso il progetto Hope per l'accoglienza e il salvataggio dei profughi nelle acque dell'Egeo. A Medì anche il saluto del vescovo Simone Giusti, richiamando la necessità di “superare il dramma che vive il Mediterraneo e le città di questo mare e il programma dei Corridoi umanitari quale esempio di una politica europea accorta e intelligente”. Seicento i profughi dal Corno d’Africa accolti dalla Cei giunti in Italia attraverso i Corridoi; 2400 quelli arrivati fino ad ora dalle zone di guerra. Deciso l’invito del Vescovo, considerando le imminenti scadenze elettorali, a mettere al centro delle politiche europee la questione migratoria: “Porte aperte a chi ne ha bisogno”. La Vice Sindaco Stella Sorgente ha poi sottolineato come elemento distintivo di Livorno, lo spazio aperto, la capacità di includere e poi di integrare dal basso; ricorda i nuovi cittadini, la scelta del consigliere aggiunto perché abbiano rappresentanza, l’attesa della città di rigenerarsi anche con il loro aiuto.