Giorgio Farina: dal quarto Mondiale “live” al “dramma” del Gigione Day

Giornalista professionista, quello appena concluso in Russia è stato il suo quarto Mondiale da collaboratore della FIFA.

Ho conosciuto Giorgio Farina quando era Responsabile Comunicazione della Virtus Roma e da quando per misteriosi motivi mi sono ritrovato a fare il giornalista l’ho incrociato in diverse occasioni, sempre ricavandone la stessa idea. Una persona perbene, uno sempre sul pezzo e preparato, incapace di dire o scrivere una parola fuori posto. Ora collabora con la FIFA, ha appena finito di lavorare al quarto Mondiale e vive a Zurigo, anche se in realtà sogna un futuro NBA per il figlio e vorrebbe tornare ad occuparsi di pallacanestro!

La presentazione l’ho lasciata a lui, per evitare di dimenticare qualcosa…
Sono giornalista professionista, e cresciuto davanti alla tv seguendo tutti gli sport. Ho lavorato iniziando al Corriere dello Sport poi tra gli altri a Italia ‘90, Sky, Raisport. Mi ritengo prestato al calcio perché anche se mi piace e mi dà da lavorare ho una passione smisurata per la pallacanestro dove ho fatto il Team Manager (A2 donne), Ufficio Stampa (Virtus Roma) e lavorato all’organizzazione dell’Europeo Roma ’91. Collaboro con la FIFA dal 2000 e ho seguito sul posto 4 Mondiali, 2 sorteggi, 2 Olimpiadi, 4 Mondiali Under 20 e 1 Confederations Cup. Vivo a Zurigo dal 2015 e per oltre un anno ho lavorato all’apertura del Museo, ora sono Research Manager per il dipartimento Digital. Ho sposato una giocatrice e ho un figlio (nato del 2001) che per fortuna non ha preso il talento cestistico da me. Il mio sogno è quello di fare il team manager in una squadra di basket.

In quanti Mondiali hai lavorato?
Quello in Russia è stato il quinto, il quarto consecutivo dal 2006 con la FIFA. Il primo nel 1990 quando ero impiegato nell’ufficio stampa del Comitato organizzatore.

Di cosa ti occupi, per la FIFA?
Da quasi 18 anni, i primi 15 da consulente esterno, mi occupo di ricerche storiche e organizzazione dei dati statistici dai quali poi produco contenuti per pubblicazioni, per il sito o utilizzati dai vari dipartimenti interni.

In cosa è stato diverso il Mondiale di Russia, dagli altri?
Non è una lamentela, ma sicuramente dal fatto che ho lavorato 37 giorni in un grande salone senza finestre.

Vero che è stato il miglior Mondiale di sempre, a livello organizzativo?
“Il miglior Mondiale di sempre” è una frase che si ripete ciclicamente a ogni edizione, un po’ come la definizione del migliore di tutti i tempi che genera GOAT ogni quinquennio in ogni disciplina. L’emozione e il successo del momento generano una fotografia così nitida da far sbiadire tutte le altre. Indubbiamente è stata una manifestazione organizzata molto bene e soprattutto sicura. Il VAR per me, scettico fino a un anno fa, ha poi contribuito moltissimo a migliorare gioco e umori.

Ha vinto la squadra più forte?
Ha vinto la perfetta combinazione tra talento e organizzazione e ne ero convinto sin dall’inizio. Ho le prove di aver indicato Francia vincente il 10 giugno. Sono arrivato primo in un concorso interno pronosticando Francia prima (in finale con l’Inghilterra però). Temo il premio per questa intuizione sia già arrivato: una email di congratulazioni.

Come hai vissuto l’assenza dell’Italia?
Benissimo. Ho lavorato senza stress da risultato al contrario di colleghi distrutti da eliminazioni precoci o dolorose, situazione drammaticamente vissuta in prima persona sia un Sud Africa che in Brasile. Stavolta invece sempre di buon umore.

C’è una storia (o un personaggio) che ti ha emozionato, in questo Mondiale?
Sì ma in negativo: è stata la futura medaglia d’oro dalla piattaforma a Tokyo che vestiva la maglia numero 10 del Brasile. Per il resto le storie che ho seguito di più nel mese del mondiale sono state:
– il ritorno al Palaeur della Virtus Roma (squadra di cui ho curato l’Ufficio Stampa per 4 stagioni)
– l’ottimo mercato delle due squadre romane di A2 di basket.
– la finale del “Gigione Day” seguita in diretta whatsapp in contemporanea a Francia-Croazia e dove mio figlio Simone ha perso in finale l’ambito premio di una giornata a Istanbul con Datome, partita di Eurolega compresa. Ancora oggi credo che sia deluso e arrabbiato di aver perso una finale più di Perisic, Modric e Mandzukic messi insieme.

Vivi all’estero da tanti anni, che immagine hai del calcio e dello sport italiano?
Non ottima. Io non sono riuscito ad adeguarmi al business galoppante che può proporre Juventus-Real Madrid anche quattro volte l’anno ma anche troppe partite inutili in Serie A che dovrebbe essere a 16, massimo 18 squadre. Inoltre mi piace vedere in campo giocatori indigeni per poi immaginarli con la maglia azzurra. Vale anche per le altre discipline, il basket in particolare dove preferisco seguire la serie A2 o la B, oltre che le giovanili per ovvi motivi familiari. In generale mi pare che lo sport italiano, a parte qualche eccezione, non riesca a programmare un futuro che vada oltre il secondo successivo (Mamma mia che finale serio).

Foto Archivio Privato Giorgio Farina