Russia 2018, cinque talenti da tenere d’occhio

Alla scoperta dei migliori talenti emergenti di Russia 2018, la top five dei giocatori da seguire con più attenzione

L’eliminazione dell’Italia dal prossimo Mondiale brucia ancora, nonostante siano passati ormai diversi giorni. E così, partita la caccia alle streghe e la ricerca dei capri espiatori, sono anche cadute le prime teste. L’unica cosa che resta certa, è che dopo sessant’anni, l’Italia non parteciperà a Russia 2018. Eppure, anche se non sarà la stessa cosa, delle ragioni per seguire con avidità quello che succederà la prossima estate ci sono comunque. I campioni non mancheranno e anche molte giovani promesse potrebbero trovare lo spazio necessario per mostrarsi agli occhi del mondo. In questo articolo prendiamo in considerazioni cinque talenti che potrebbero esplodere a giugno nella massima competizione continentale. Una scheda di cinque talenti emergenti dei quali ancora si è parlato poco, ma di cui si potrebbe parlare molto il prossimo anno.

5. Nikola Vlašić (Croazia, 4/10/1997)
Cresciuto nel secondo miglior settore giovanile di tutta la Croazia, dopo ovviamente quello della Dinamo Zagabria, per quantità di talento prodotto (due nomi su tutti, che a Milano hanno imparato a conoscere molto bene: Nikola Kalinić ed Ivan Perišić), il giovane Vlašić è approdato l’estate scorsa, a soli vent’anni, in Premier League e, più specificatamente, all’Everton. Le credenziali con cui si è presentato alla corte di Koeman erano di tutto rispetto: non a caso, il club inglese ha sborsato per lui oltre dieci milioni di euro, nonostante l’ancora tenera età. Trattasi di un esterno offensivo dotato del classico bagaglio tecnico che la natura sembra porre in dote ai giovani talenti slavi quasi per volere divino. Il dribbling nello stretto rimane la sua arma principale. Difficilmente il pallone si stacca dall’esterno del suo piede destro: anche nelle fasi di conduzioni veloci, infatti, tende a non allungarsi mai eccessivamente la sfera, preferendo invece controllarla a distanza ravvicinata. Grazie ad un primo passo rapidissimo ed un ottimo controllo orientato, spesso e volentieri prende vantaggio sul proprio diretto avversario fin dai primi istanti. Infine, con un fisico così brevilineo, riesce a mantenere un costante equilibrio, anche quando sterza bruscamente nei cambi di direzione. Non possiede, invece, troppa velocità in campo aperto, né un tiro dalla distanza potente. Dispone però di una buonissima visione di gioco, grazie alla quale potrebbe essere considerato quasi uno specialista dell’ultimo passaggio: non a caso, spesso e volentieri si è trovato a giostrare nelle zone centrali del campo, quasi da trequartista autentico, sia in patria, che in Inghilterra. Purtroppo per lui, al prossimo Mondiale avrà ben poche possibilità di mettersi in mostra, a causa dell’agguerrita concorrenza che si troverà davanti nelle gerarchie. Probabilmente, non sarà possibile ammirarlo a pieno con la maglia a scacchi della sua Nazionale, se non prima di un paio di anni. Ma vale comunque la pena aspettare.

4. Hirving Lozano (Messico, 30-07-1995)
L’impatto che la giovane ala messicana attualmente in forza al PSV Eindhoven ha avuto in Eredivisie, può essere paragonato a quello che ha dato origine al «Meteor Crater», in Arizona, circa 50mila anni fa. Oppure, abbandonando il campo dell’esogeologia, per rimanere confinati in ambito calcistico, si può affermare senza timore di smentita che un inizio di stagione così devastante di un sudamericano, dalle parti del Philips Stadion, non si vedeva dai tempi di Romario e Ronaldo: nove gol e cinque assist in dieci presenze, si è visto di peggio. Lozano è un esterno offensivo destro di piede, che ama partire dalla sinistra per accentrarsi ed arrivare al tiro, che molto spesso chiude sul primo palo e non a giro sul secondo, oppure per concludere gli uno-due nello stretto, sfruttando il centravanti quasi come sponda per incunearsi nelle maglie delle difese avversarie. Possiede anche lui un ottimo dribbling, nobile arte che riesce a sublimare grazie ad un set molto vasto di finte di corpo, di cambi improvvisi di direzione e di velocità. Ama attaccare negli spazi aperti, seguendo direttrici di corsa mai banali e che spesso tendono a concludersi centralmente, se non addirittura sul lato opposto a quello di partenza. E’ molto abile a giocare anche senza palla ed ha già messo a segno diversi gol agendo da incursore, oppure muovendosi sul lato debole, alle spalle del suo marcatore. Del resto, possiede pure un buon tempismo nel gioco aereo. Certo, l’aver giocato finora solo in contesti dove le marcature difensive diventano più fragili lo ha abbastanza agevolato e difficilmente potrebbe sorprendere il suo avversario alle spalle anche in Serie A (a meno che quest’ultimo non sia uno tra Bruno Peres e Tomović), dove l’applicazione e la costante attenzione posta nelle diagonali sono diventate quasi marchi di fabbrica delle nostre difese. Ad ogni modo, il prossimo Mondiale rappresenterà un banco di prova importante, per Lozano, specialmente considerando le responsabilità e l’attenzione mediatica che in Messico è riposta nella loro rosa e, in particolar modo, in questa generazione, probabilmente una delle più talentuose della loro intera Storia.

3. Wilfred Ndidi (Nigeria, 16-12-1996)
Nonostante la comprovata solidità economica alle spalle, il Leicester City, ossia la squadra che nella stagione 2015/16 si è trovata proiettata in una dimensione di fama e notorietà talmente fragorosa da non essersi ancora del tutto esaurita, ha dovuto cedere parzialmente alle pressioni dei club inglesi maggiormente attrezzati economicamente, che spingevano per accaparrarsi, in una sorta di asta nazionale, i pezzi pregiati di quella “squadretta provinciale”, che però aveva appena riscritto la geografia calcistica del Paese. Tuttavia, nonostante la dolorosa (ma alquanto remunerativa) cessione di N’Golo Kanté al Chelsea, il resto dell’ossatura “storica” della squadra -all’epoca- di Ranieri è rimasta intatta. Perfino Mahrez, in quel periodo fresco vincitore del titolo di MVP della Premier League, è stato incatenato nei pressi del King Power Stadium, per ben due estati consecutive (ne sa qualcosa Monchi). Tuttavia, l’assenza del francese ha pesato moltissimo nell’economia del gioco della squadra: la mole di lavoro in fase d’interdizione che Kanté era capace di garantire, non è stata affatto colmata nemmeno dall’arrivo, nell’estate del 2016, di Nampalys Mendy. E così, nel Gennaio del 2017, le “Foxes” si sono trovate costrette a correre nuovamente ai ripari. E’ stato dunque preso, quasi nell’indifferenza generale anche dei supporters locali, un giovane nigeriano di belle speranze, pagato non a caso quasi 17 milioni di euro, a soli 21 anni. Wilfred Ndidi arriva alla corte di Ranieri con la pesante responsabilità di riuscire là dove Mendy aveva invece fallito: raccogliere l’eredità di colui che, solo pochi mesi più tardi, vincerà la sua seconda Premier League consecutiva e, al contempo, verrà incoronato miglior giocatore della competizione. A nemmeno undici mesi di distanza dal suo approdo in Inghilterra, Ndidi ha già preso in mano il centrocampo della squadra e conquistato l’assoluta fiducia di ambiente e compagni. Le differenze tra lui e Kanté, in realtà, sono molto più marcate di quello che potrebbe sembrare fermandosi a sfogliare l’album dei ricordi: il nigeriano possiede una struttura fisica molto più longilinea, aspetto che favorisce la sua fame nel difendere attivamente, in avanti. Inoltre, non disdegna di guidare le rapide transizioni offensive palla al piede, o tramite gli inserimenti nei corridoi centrali, grazie anche alla falcata con cui divora il campo davanti a lui. Kanté, al contrario, difficilmente esce dalla sua “comfort zone” di centrocampo e la sua attività in fase di interdizione si manifesta principalmente nel movimento continuo in orizzontale, per chiudere le linee di passaggio ed andare a raddoppiare costantemente sui portatori di palla: non a caso, nel descrivere i vantaggi del giocare con il francese, lo stesso Conte dirà che con lui la squadra potrebbe scendere in campo anche con il modulo 4-4-3, per la sua abilità nello sdoppiarsi e nel sobbarcarsi il lavoro di due giocatori. E se Ndidi riuscirà a confermarsi anche nel prossimo Mondiale, allora la Nigeria si ritroverà in casa il suo uomo in più.

2. Achraf Hakimi (Marocco, 4-11-1998)
Pur se nato in Spagna, Hakimi ha scelto di rappresentare la Nazionale del Marocco. Già titolare indiscusso della squadra allenata da Renard, il giovane terzino destro, in quest’inizio di stagione, si sta ritagliando un ruolo importante perfino nel Real Madrid di Zidane, che lo ha promosso in prima squadra sfruttando anche la cessione di Danilo al Manchester City. Hakimi è un giocatore con caratteristiche tecniche non originali, ma che anzi si sono già potute riscontrare in altri prospetti del ruolo, suoi (semi-)connazionali, che poi però non hanno mantenuto del tutto le promesse (due nomi su tutti, Lazaar e Masina). Tuttavia, il livello a cui può aspirare è nettamente più elevato e rende improbabile qualsiasi confronto del genere. Possiede una tecnica di base elevatissima, a cui unisce una fisicità in progressione che lo rende molto difficile da marcare nelle sue discese palla al piede. Ama rientrare dentro il campo, con sterzate e cambi di direzione in corsa, a volte cercate tramite i colpi di tacco, che disorientano il diretto avversario. Può vantare anche una discreta sensibilità nei passaggi, anche se il suo gioco in prima squadra risulta essere ancora fin troppo conservativo e poco “audace”: del resto, esordire a meno di vent’anni con la maglia dei “Galácticos“ dev’essere una responsabilità non da poco. Eppure, lo stesso Hakimi un primo traguardo già lo ha raggiunto: da titolare, ha aiutato a portare nuovamente il Marocco in una fase finale di una competizione Mondiale. L’ultima partita dei “Leoni dell’Atlante” in un tale palcoscenico risale addirittura all’estate del ’98: all’epoca, Hakimi nemmeno era ancora nato. Adesso il Paese ha l’occasione per rivivere quelle emozioni e, se possibile, vendicare quel rigore all’88esimo di Rekdal. Per riuscire nell’impresa, Renard potrà contare su un mix di talento clamoroso, considerata la storia calcistica della nazione, oltre che su una rosa formata quasi esclusivamente da marocchini di “seconda generazione”: nell’undici titolare chiamato a giocarsi l’approdo ai Mondiali, infatti, c’era solamente un calciatore nato in Marocco, ossia Dirar. I restanti dieci giocatori, sono tutti nati e cresciuti nei vari Paesi europei (Belgio, Francia, Olanda e Spagna su tutte) che hanno accolto i loro genitori negli anni precedenti. Storia di un Mondo in continua evoluzione e di una geografia politica che sta continuando a rivoluzionare il concetto di confine nazionale.

1. Federico Valverde (Uruguay, 22-7-1998)
Ennesimo gioiello prodotto dalla “cantera” del Real Madrid ed attualmente in prestito al Deportivo La Coruña, Valverde sembra possedere seriamente le stimmate del fuoriclasse. Padroneggia il centrocampo con una sapienza ed una maestria semplicemente illegali, per un ragazzo di quell’età. Detta i tempi dell’azione, recapita la palla dove vuole lui, anche con lanci di 40 metri telecomandati, o più “semplicemente” con filtranti dietro la linea difensiva. All’esordio con la “Celeste” dell’Uruguay, in una sfida delicatissima per la qualificazione al prossimo Mondiale, contro il Paraguay, ha subito timbrato il cartellino con un gol, poi risultato decisivo. Predestinato. Al Mondiale, seguire questo ragazzo diventa quasi d’obbligo, specialmente considerando che, nel suo stesso reparto, agiranno con tutta probabilità altri due talenti indiscussi, che attualmente militano in Serie A, ossia Bentancur e Torreira. Con un centrocampo con così tanta qualità, supportato da un reparto difensivo che ha fatto le fortune anche dell’Atletico Madrid di Simeone degli ultimi anni e da un attacco stellare, formato dalla coppia Cavani-Suárez, l’Uruguay si candida spontaneamente alla “carica” di ‘outsider‘ più accreditata del prossimo Mondiale. E Valverde a quella di miglior under20 della competizione, ovviamente.