Al Teatro Bonci - Cesena. Cesare Lievi dirige "Il giorno di un Dio" una coproduzione di Teatro di Roma, Emilia Romagna Teatro e Stadttheater di Klagenfurt.

Un cast di 4 interpreti tedeschi e 4 italiani, in occasione dei 500 anni dalla Riforma di Lutero.
Bologna, (informazione.it - comunicati stampa - arte e cultura) Cesare Lievi dirige "Il giorno di un Dio" una coproduzione di Teatro di Roma, Emilia Romagna Teatro e Stadttheater di Klagenfurt.

Un cast di 4 interpreti tedeschi e 4 italiani, in occasione dei 500 anni dalla Riforma di Lutero.

Dodici frammenti della vicenda umana, storica e religiosa.

Il giorno di un Dio
scritto e diretto da Cesare Lievi.

dramaturg Sylvia Brandl, Philine Kleeberg
traduzione per la parte in tedesco Hinrich Schmidt-Henkel
con (in o. a.) Hendrik Arnst, Valentina Bartolo, Bea Brocks, Paolo Garghentino,

Irene Kugler, Gregor Kohlhofer, Graziano Piazza, Alvia Reale
musica e musica originale Mauro Montalbetti - scene Maurizio Balò
costumi Birgit Hutter - disegno luci Cesare Agoni

Produzione Teatro di Roma - Teatro Nazionale, Emilia Romagna Teatro Fondazione, Stadttheater Klagenfurt



Una riflettessione acuta sulle conseguenze della “riforma” e sul rapporto sempre all'ordine del giorno tra teologia e libertà, fede e fanatismo, autorità e coscienza.


«Non si saprà mai se il 31 ottobre 1517 Lutero conficcò veramente sulla porta della Chiesa del Castello di Wittenberg le sue 95 tesi contro la pratica delle indulgenze – racconta il regista Cesare Lievi, anche autore del testo – resta il fatto che quel giorno l’allora poco più che trentenne Martin Luther stava cambiando non solo la sua ma la vita di tutti noi. Ma oggi cosa rimane nella nostra vita quotidiana, pubblica o privata, di un evento storico che segnò così profondamente l’Europa? In che modo questi testi hanno tracciato il nostro modo di pensare e vivere l’esistenza? Qualcosa di vago, d’indistinto che pur agisce con forza e determinazione segrete, inconsapevoli, indipendentemente dal fatto che si sia atei, cattolici, riformati o semplicemente nulla?». Rigoroso intellettuale, regista, drammaturgo e poeta, da sempre diviso tra Italia, Germania e Austria, paesi nei quali ha diretto allestimenti sia di prosa che di lirica, Cesare Lievi intesse dodici frammenti scenici alla ricerca dell’eredità rimasta dalla pubblicazione delle “95 tesi” contro le indulgenze papali di Martin Lutero. E lo fa interrogandosi su ciò che resta di quella vicenda storica umana e religiosa nelle nostre coscienze di uomini contemporanei: «un ripensamento (in dodici frammenti), svolto a partire dal nostro presente, di ciò che è accaduto cinquecento anni fa, alla ricerca di ciò che è rimasto nelle nostre coscienze, nel nostro modo di affrontare l’esistenza, nella nostra vita quotidiana. Se vi è rimasto qualcosa, perché potrebbe essere che il tempo abbia cancellato tutto, e di ciò che è accaduto non siano sopravvissuti che dati, fatti custoditi nei libri di storia, cose che non ci riguardano, non ci toccano più».


Il discorso sulla rappresentazione si affianca a quello sulla perdita della memoria storica: «il teatro risveglia ricordi, anche quelli morti, e noi l’abbiamo fatto con Lutero. Ricordi morti. Per l’appunto, non c’è peggior cosa d’un ricordo morto. Dice un personaggio del nostro spettacolo. E penso abbia ragione. Un ricordo che non parla è qualcosa di mostruoso: sta lì, di fronte a noi, ma non lo capiamo, non riusciamo a decifrarlo. Eppure agisce, ci turba, ci crea angoscia, perché in fondo se è lì come ricordo, la sua morte non può che essere apparente». Riflessioni e domande, a cui i dodici frammenti, lontani dal tentativo di formulare una risposta, si rapportano, giocano, interagiscono tra di loro alla ricerca di una illuminazione che a sua volta rimanda ad altre domande e dubbi: «quello che siamo, ha ancora ha che fare con quello che è stato? Gli interrogativi e le risposte date su Dio, la fede, la grazia, i sacramenti, la salvezza (temi che alla nostra mentalità laica e secolarizzata appaiono inattuali se non astrusi) ci riguardano ancora? È ancora possibile un rapporto tra parola e verità? La fede (magari in un Dio unico) porta necessariamente all’intolleranza e al fanatismo? E quelle parole pronunciate davanti all’imperatore e al legato pontificio – le maggiori autorità del tempo – “Questa è la mia posizione, non posso smentirla”, che significano, che valore hanno nel nostro tempo?».
Ufficio Stampa
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