30 maggio 2018 11:52

Lo scetticismo è inevitabile. Dalla caduta e la morte di Muammar Gheddafi sono infatti passati sei anni e la Libia non ha mai smesso di dividersi tra governi, assemblee e forze armate che non si riconoscono a vicenda e si combattono. Dal 29 maggio, però, sembra che sia cambiato qualcosa.

Emmanuel Macron ha ricevuto a Parigi non solo le due personalità fondamentali che aveva già riunito alla Celle-Saint-Cloud a luglio, l’uomo forte di Bengasi Khalifa Haftar e il capo del governo d’unità con base a Tripoli Fayez al Serraj, ma anche i presidenti delle assemblee rivali di Tobruk e Tripoli.

Non è ancora l’intero spettro politico libico, ma è comunque una buona rappresentanza. Inoltre all’incontro erano presenti i rappresentanti di venti paesi – vicini della Libia o indirettamente attivi sul suolo libico – oltre a quattro organizzazioni internazionali tra cui l’Onu e la Lega araba. Ognuno di loro ha le sue pedine e la sua strategia in Libia, e il fatto che fossero tutti presenti ha dato un peso evidente all’impegno di organizzare, il prossimo 10 dicembre, elezioni presidenziali e legislative “affidabili” e rispettarne il risultato.

Una dinamica positiva
È un passo avanti. La prudenza è d’obbligo, ma a prescindere dalla data delle elezioni e dalla possibilità che gli impegni presi siano rispettati, potremmo essere davanti a una dinamica positiva, perché la Libia è sprofondata in un tale caos che nessuno degli attori principali può sperare di prevalere sugli altri, perché l’unica soluzione è il compromesso, perché tutte le potenze regionali hanno capito che l’attuale anarchia non può che favorire la rinascita di un movimento jihadista forte, perché le potenze europee vogliono una Libia capace di arginare il flusso di migranti e perché Francia e Italia lavorano insieme a una soluzione. In breve, tutti vorrebbero mettere fine al disastro libico.

Staremo a vedere, ma è sorprendente notare che oltre due milioni e mezzo dei sei milioni di libici (di cui le donne sono il 43 per cento) si siano già iscritti alle liste elettorali, che sia già partito un dibattito sulla nuova costituzione e che la Francia sia stata capace di riunire forze così diverse il cui appoggio è indispensabile per la stabilizzazione del paese.

Non abbiamo ancora certezze, ma oggi è chiaro che la Francia e il suo presidente sono in prima linea su tutti i fronti, perché Macron sta approfittando del passo indietro relativo del Regno Unito e della Germania, perché ha ribadito la volontà di autonomia di stampo gollista e mitterandiano e perché questo gli permette di restare in contatto con tutti, dagli Stati Uniti alla Russia, dall’Iran all’Arabia Saudita, dalla Palestina a Israele. La Francia non decide le sorti del mondo ma viene ascoltata dal mondo, come non accadeva da molto tempo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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