Famiglia Cristiana lo ha paragonato a Satana senza troppi giri di parole, con una copertina ormai divenuta famosa dal titolo eloquente “Vade retro, Salvini”. E il presidente della CEI, il Consiglio Episcopale Italiano, Gualtiero Bassetti, ha condannato la “politica della paura”, ammonendo contro il rischio di una deriva xenofoba e razzista nel nostro Paese. Insomma, la Chiesa cattolica sembra avere imbracciato una vera battaglia contro il vice-premier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, specie sulla gestione dei migranti, rivendicando il messaggio evangelico dell’accoglienza dello straniero.

La polemica non è nuova, risale negli anni, ma certo che è diventata abbastanza cruenta con la nascita del governo penta-leghista, affatto nelle grazie dei vescovi.

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Possibile che dietro a questo scontro ci sia altro? Abbiamo provato a fare un ragionamento che va oltre lo stretto scontro tra i vescovi e Salvini sul contenuto del Vangelo. Partiamo da un dato: la Chiesa cattolica incassa ogni anno dall’8 per mille intorno a un miliardo di euro. Ma lo scorso anno, è scesa appena sotto tale soglia, fermandosi a 986 milioni, per effetto del conguaglio che lo stato italiano ha effettuato rispetto all’anticipo erogato sulle dichiarazioni fiscali del 2014 e relative ai redditi percepiti dai contribuenti nel 2013. Il sistema di distribuzione delle donazioni è un tantino complicato. In pratica, lo stato eroga ogni anno alle varie confessioni religiose un anticipo sulla base delle dichiarazioni di tre anni prima e al contempo effettua il conguaglio legato all’ultima dichiarazione. Ad ogni modo, la Chiesa cattolica fa la parte del leone, arrivando a ottenere oltre l’80% delle donazioni complessivamente effettuate con l’8 per mille degli italiani.

Come la Chiesa si becca 1 miliardo all’anno

Stando alle cifre disponibili, nel 2014 sono stati 15,4 milioni i contribuenti ad avere scelto di donare alla Chiesa cattolica su un totale di 18,7 milioni di contribuenti, ma si consideri che risultano scesi a 14,4 milioni nel 2015 e a 13,9 milioni nel 2016.

E il totale della platea dei contribuenti si attesta sui 41 milioni, per cui appena il 45-46% degli italiani risulta avere messo la “x” su una qualche confessione o alla voce “stato” a cui destinare l’8 per mille, poco più di un terzo del totale lo ha fatto per la Chiesa cattolica. Tuttavia, la legge del 1984 che regola le donazioni prevede l’assegnazione a ciascun culto anche dell’8 per mille dei contribuenti che non hanno segnato alcuna scelta, in proporzione alle percentuali riscosse da ciascuno sul totale di chi ha compiuto la scelta. Per essere chiari, alla Chiesa cattolica va grosso modo l’80% delle “x” segnate da chi compie una scelta e per questo si becca l’80% anche dell’8 per mille di quel 55% degli italiani che una scelta non l’ha compiuta.

8 per mille, a chi spetta se il contribuente non sceglie

Negli anni scorsi, la Corte dei Conti si è pronunciata negativamente sul punto, sostenendo che la legge lederebbe la libertà di scelta del contribuente. In pratica, se non segno alcunché, anche se fossi ateo, l’8 per mille della mia imposta lorda va a finire per l’80% alla Chiesa e per il resto alle altre confessioni religiose, oltre che allo stato italiano. Grazie a questo meccanismo, i vescovi possono attingere a risorse di gran lunga superiori a quelle effettivamente loro donate. Supponendo che tra chi sceglie e chi non segna nulla non sussistano sostanziali differenze nei redditi dichiarati e nell’imposta netta versata, possiamo ben affermare che la Chiesa cattolica oggi ottiene grosso modo circa mezzo miliardo in più di quanto non si beccherebbe dalle donazioni effettive.

La polemica non è nuova e la discrepanza tra donazioni reali e quelle incassate è stata negli anni scorsi oggetto di battaglia da parte dei Radicali di Marco Pannella.

Il centro-destra si è sempre schierato in difesa dello status quo, sebbene paradossalmente adesso i suoi rappresentanti, specie il ministro Salvini, siano stati posti nel mirino della CEI e di parte del Vaticano stesso, ormai sin dai tempi degli attacchi di Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani, all’indirizzo dell’allora governo Berlusconi. Possibile spiegare tutto ciò in chiave anche economica? Che forse la Chiesa, consapevole del calo costante delle donazioni, non voglia ingraziarsi quell’elettorato più sensibile a certi temi, in quanto potenzialmente più generoso in sede dichiarazione dei redditi?

Le “ricche” donazioni al PD

Per comprendere meglio di cosa parliamo, dobbiamo guardare anche ai numeri del 2 per mille. Trattasi della possibilità offerta agli italiani di contribuire in favore dei partiti. Lo stato ha posto un tetto massimo di 25 milioni di fondi erogabili ogni anno. Ebbene, sugli 1,2 milioni di contribuenti che nel 2017 hanno compiuto tale scelta, la metà lo ha fatto in favore del PD, che ha incassato oltre 8 milioni su un totale di poco più di 15 milioni donati ai partiti. In pratica, gli elettori dem sarebbero i più attivi nel finanziare la politica. Cosa ancora più interessante è che dai dati risulterebbe che un finanziatore medio del PD pagherebbe mediamente un’imposta netta pari a oltre i due terzi in più rispetto al contribuente-tipo. In altre parole, gli elettori del PD sarebbero più benestanti della media. Va detto, tuttavia, che complessivamente risultano essere più ricchi della media (+50%) anche i contribuenti degli altri partiti, ma è indubbio che quelli del PD si mostrino (almeno fino allo scorso anno) più disposti a donare.

Niente di male se qualche funzionario avveduto dell’ufficio marketing alla CEI possa avere da tempo studiato un piano per continuare a reggere la sfida dell’8 per mille, evitando il calo delle entrate, puntando proprio sull’elettorato più propenso a donare e sensibile verso il tema migranti, il meno ostico da portare avanti sul piano mediatico, rispetto ad altri temi più controversi e che cozzano con la società secolarizzata, come l’aborto, il divorzio, l’uso del contraccettivo, la maternità surrogata, le unioni gay, etc.

I soldi incassati servono ai vescovi per mantenere l’ingente struttura clericale e le opere di bene realizzate in Italia e all’estero rappresentano solo il 28% del totale, ossia 275 milioni su poco meno di un miliardo. E allora, che la CEI strizzi l’occhio al centro-sinistra per assicurarsi donazioni più cospicue e il mantenimento di questo sistema di assegnazione dei fondi?

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E se Salvini colpisse i vescovi?

Senonché, già da qualche tempo si assiste proprio a destra a uno scollamento rispetto al clero cattolico. Indispettiti dall’atteggiamento “ostile” del porporato e di parte del Vaticano, già lo scorso anno il segretario provinciale della Lega a Varese aveva lanciato una campagna di boicottaggio dell’8 per mille alla Chiesa cattolica. Oggi, però, il Carroccio sta al governo e niente di meno che con il Movimento 5 Stelle, non certo un sostenitore del Vaticano. E se i due vice-premier decidessero di mettere mano proprio alle modalità di ripartizione delle donazioni con l’8 per mille? Basterebbe eliminare quella previsione normativa, che consente ai vari culti, di attingere anche all’imposta netta dei contribuenti che non hanno effettuato alcuna scelta. In teoria, la revisione “punitiva” ai danni dei vescovi potrebbe essere giustificata con ragionamenti sulla libertà decisionale del contribuente, nonché più concretamente con esigenze di cassa. Il Tesoro, oggi come oggi, trattenendosi la quota inespressa, avrebbe a disposizione ogni anno un maggiore gettito stimabile in 400-450 milioni di euro, al netto dei 195 milioni che si becca già dalle donazioni espresse e non. Potrebbe anche vincolare a scopi sociali il maggiore gettito, rendendo più “simpatica” l’operazione.

In conclusione, i vescovi stanno giocando d’azzardo con il nuovo governo. L’ostilità manifestata quasi quotidianamente nei confronti del vice-premier leghista potrebbe ritorcersi loro contro, considerando che proprio le formazioni di centro-destra siano state ad oggi quelle che hanno impedito una revisione dell’8 per mille sfavorevole alla Chiesa cattolica. I preti rischiano di perdere qualcosa come 500 milioni di euro all’anno. Anche solo azzerando tutte le iniziative benefiche di cui sentiamo ogni anno in TV con gli spot primaverili, resterebbe un “buco” di oltre 200 milioni da colmare e che costringerebbe i vescovi a tirare la cinghia essenzialmente sulle opere di conservazione del patrimonio, incluse le ristrutturazioni periodicamente necessarie delle decine di migliaia di chiese. Una conseguenza diretta di un simile scenario sarebbe l’accresciuta dipendenza della CEI dal governo e le amministrazioni locali di turno per ottenere di anno in anno i fondi necessari per tutelare il patrimonio artistico-immobiliare della Chiesa. E allora sì che i vescovi diverrebbero molto meno critici verso chiunque governasse.

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