Deciso a uscire dall’angolo in cui si è cacciato con la terza sconfitta elettorale in meno di un anno al voto regionale in Sicilia, il segretario del PD, Matteo Renzi, sta cercando di alzare il livello dello scontro politico sulla crisi delle banche italiane, mettendo nel mirino il sistema dei controlli, ovvero Bankitalia e i due governatori che si sono succeduti negli ultimi anni: Ignazio Visco (dal 2011) e niente di meno che l’attuale capo della BCE, Mario Draghi (2005-2011).

Il primo sarà ascoltato dalla Commissione d’inchiesta sulle banche entro la fine di novembre e pare che nelle settimane successive dovrebbe essere il turno del suo illustre predecessore.

La settimana scorsa, sempre davanti alla Commissione, è andata in scena una gazzarra tra i rappresentanti di Consob e Bankitalia con tanto di rimbalzo sulle responsabilità, specie sulla tempistica della comunicazione formale delle irregolarità riscontrate per la fissazione dei prezzi delle azioni delle due banche venete (Popolare di Vicenza e Veneto Banca), rivelatisi palesemente gonfiati. Secondo la Consob, Palazzo Koch sapeva da molti anni prima di averne dato comunicazione che i due istituti sopravvalutassero il loro capitale, argomentazione respinta proprio dalla Vigilanza bancaria. (Leggi anche: Crisi banche, come la Commissione d’inchiesta rischia di colpire i mercati)

Perché Renzi attacca Draghi

Evidente il tentativo del PD di tirare in ballo Bankitalia con una triplice finalità: allontanare da sé le accuse mediatiche di essere stati conniventi o scarsamente vigili sulle banche, ampliando la platea dei presunti responsabili; non lasciare ai grillini il monopolio delle critiche al sistema bancario; screditare l’operato di Draghi, che da tempo viene considerato un potenziale premier per quando avrà lasciato la guida della BCE nell’ottobre del 2019. E proprio di quest’ultimo aspetto ha paura Renzi, che teme di dovere dire addio definitivamente al suo sogno di tornare a Palazzo Chigi, nel caso in cui dovessero salire effettivamente le quotazioni dell’uomo-chiave di Francoforte in uno scenario post-elettorale eventualmente confuso.

A difendere l’operato di Draghi, invece, si è speso ieri un altro ex premier, Silvio Berlusconi, che ha invitato Renzi a non coinvolgere Bankitalia per finalità elettorali e, in particolare, l’uomo che ha probabilmente salvato l’euro e sostenuto l’economia italiana in questi ultimi anni. Così come non ha mai sostenuto la linea dell’attacco ad esponenti del PD per diversi coinvolgimenti di familiari in inchieste giudiziarie sulle banche, continua il leader di Forza Italia, altrettanto non sarebbe accettabile che si faccia lo stesso ai danni dei vertici di Palazzo Koch, generalizzando e non, invece, analizzando i singoli casi. (Leggi anche: Come Draghi ha comprato all’Italia un altro anno di tempo)

Perché Berlusconi difende Draghi

Perché Berlusconi si è spinto fino a difendere pubblicamente con un post su Facebook l’attuale governatore della BCE? Chiaramente, anch’egli in prospettiva post-elettorale. Reduce da un anno di successi alle urne, da ultimo quello incassato in Sicilia, dove il centro-destra non solo strappa la presidenza, ma ottiene persino la maggioranza assoluta al Parlamento, galvanizzandosi in vista delle politiche dell’anno prossimo. E sempre Berlusconi crede alla vittoria, almeno ostenta ottimismo, rincuorato dai sondaggi, che danno la coalizione tra Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia e altri in prima posizione nel suo complesso, specie in termini di seggi conquistati con il sistema uninominale.

Tuttavia, non può escludere (e in cuor suo lo sa), che il centro-destra arrivi primo, senza ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. In quel caso, serviranno alleanze con il PD e una figura autorevole e super-partes, che consenta all’ex premier di diventare azionista di maggioranza di un esecutivo in grado di riscuotere simpatie e segnare punti sullo scacchiere internazionale.

Alla cancelliera Angela Merkel e al PPE, Berlusconi avrebbe assicurato di utilizzare toni congrui sulle banche, in modo da non trasformarle in un tema di campagna elettorale, al contempo intestandosi così la battaglia contro il rischio populismo dei 5 Stelle. Draghi sarebbe la figura perfetta per questa operazione d’immagine, perché anche in grado di eliminare alla radice eventuali dissensi nel PD. Chi non avallerebbe, infatti, nel centro-sinistra un governo da lui guidato? Chi lo facesse, finirebbe marginalizzato nell’arena politica, tacciato di populismo, accusato di inseguire il Movimento 5 Stelle sul suo stesso terreno della propaganda demagogica e inconcludente. D’altra parte, lo stesso Berlusconi aveva fatto il nome di Draghi nell’estate passata come possibile futuro premier.

Su Draghi, quindi, si sta giocando una partita tra i due schieramenti, o meglio tra Berlusconi e Renzi, che vede il secondo indebolito dalle sconfitte rimediate l’una dopo l’altra non solo sul piano elettorale, ma anche su quello più propriamente politico, con il governo Gentiloni ad avere ratificato la rielezione di Visco contro il parere del segretario del principale partito della maggioranza. La polemica contro Bankitalia non sta sortendo effetti positivi per il PD, che rischia di diventare alle politiche uno spettatore della vera sfida, quella tra centro-destra e grillini. Dopo tutto, sul terreno della lotta al sistema, i pentastellati appaiono molto più credibili del mondo renziano, che a torto o a ragione viene percepito proprio una proiezione dell’establishment sul piano politico. E anch’esso, in realtà, avrebbe mollato Renzi. (Leggi anche: Draghi premier, perché Renzi rischia di finire male)