Sono circa 3.500 tra finanzieri e manager di tutto il mondo ad essersi recati questa settimana a Riad, in Arabia Saudita, dove si tiene una conferenza, ribattezzata la “Davos nel deserto”, dal nome della cittadina svizzera, dove ogni anno si tiene il forum mondiale sull’economia. Lungi dall’essere una manifestazione retorica, l’evento sta offrendo spunti estremamente rilevanti, indizi su quello che potrebbe essere la prima economia esportatrice di petrolio al mondo nell’era post-petrolifera. Ad avere attirato maggiormente le attenzioni del pubblico non poteva che essere il Principe Mohammed bin Salman, che all’età di 32 anni sta ogni giorno di più consolidando la sua leadership nel Medio Oriente, intestandosi una volontà di cambiamento a dir poco rivoluzionario.

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Il numero due del regno e figlio di Re Salman ha, anzitutto, promesso non solo che combatterà l’estremismo islamico, ma anche che lo farà “oggi e immediatamente”, perché “con tutta onesta, non possiamo perdere 30 anni” perseguitando gli estremisti. Ambisce a un “islam moderato, in grado di relazionarsi con le altre religioni, con il resto del mondo”. E che la svolta sia tesa a fare dell’Arabia Saudita un’economia di riferimento per i mercati mondiali lo dimostra tutto il resto del suo discorso.

Mette le mani avanti, quasi a rassicurare il suo popolo: “la domanda di petrolio crescerà fino al 2030-2040”, allontanando i timori che il mercato sarebbe già prossimo a un picco di domanda. Allo stesso tempo, però, punta a diversificare l’economia saudita con la sua “Saudi Vision 2030”. Disponendo di un fondo sovrano di 230 miliardi di dollari, meno della metà del totale delle riserve valutarie del regno, la prospettiva principale consiste nel quasi raddoppiare a 400 miliardi al 2020 le dimensioni degli assets del cosiddetto PIF (Public Investment Fund) e un ruolo decisivo nel raggiungere l’obiettivo lo avrà l’IPO di Aramco, la compagnia petrolifera statale, che entro la fine del 2018 sbarcherà in borsa con una quotazione iniziale del 5% del capitale, corrispondente a 100 miliardi di dollari, stando alle stime del governo saudita, anche se per gli analisti di Wall Street, tale quota varrebbe intorno a 50-75 miliardi.

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Il progetto di una città futuristica

A proposito, i vertici di Tawadul, il listino principale della borsa di Riad, spingono affinché l’IPO avvenga esclusivamente in patria, pur aprendo le porte agli investitori stranieri, mentre il governo e la stessa compagnia sarebbero intenzionati ad effettuare quotazioni secondarie in 1-2 borse straniere, tra cui Wall Street, Londra e Hong Kong. Per i dirigenti della borsa saudita, invece, l’IPO sarebbe un’occasione storica per rafforzare il mercato finanziario locale.

Fin qui, nessuna reale novità. Ma ieri, il giovane principe ha svelato un progetto avveniristico e quasi scioccante: la costruzione di una mega-città nel nord-ovest del regno, che abbracci anche pezzi di territorio egiziano e giordano, il cui costo stimato ammonta a 500 miliardi di dollari. Ribattezzata Neom, essa sarebbe estesa per 26.500 km quadrati, sarebbe alimentata totalmente con energie rinnovabili, pannelli solari in testa, e la produzione di cibo avverrebbe grazie a fattorie urbane verticali. Futurismo puro, poi, quando ha aggiunto che saranno i robot a gestire il traffico e a trasportare i passeggeri. La città comprenderebbe 290 miglia di coste immacolate e vasti deserti, e la presenza di valli e montagne sarebbe in grado di generare nel complesso un clima più piacevole di quello che si ha nelle aree limitrofe. (Leggi anche: Modernizzazione in Arabia Saudita passa per repressione)

Neom sarà una City nel deserto

Non è finita, perché Neom sarebbe anche la prima zona economica indipendente al mondo, che opererebbe con le sue regole, avrebbe un proprio sistema di tassazione e leggi proprie.

In soldoni: Riad punterebbe a creare una nuova City per attirare i capitali dal resto del mondo, prendendo forse spunto da una realtà come Hong Kong, che ha beneficiato negli ultimi 20 anni della sua caratteristica di essere una piccola patria del libero mercato, pur appartenendo politicamente alla Cina, che è un sistema ancora oggi retto dal comunismo. Neom sarebbe una sorta di “free zone” nel mondo arabo, in grado di garantire agli investitori stranieri quello che formalmente non potrebbe uno stato islamico, dove vigono regole restrittive sia in ambito finanziario (si veda il tema dei Sukuk), sia in quello più legato agli stili di vita.

Insomma, se la rivoluzione saudita potrebbe generare frutti solo da qui ai prossimi decenni, Mohammed bin Salman intende capitalizzare subito dalla svolta, creando un “paradiso finanziario” on-shore, ma di fatto come se fosse off-shore. E il completamento della prima fase dovrebbe realizzarsi entro il 2025. Il futuro per Riad è adesso e chi ieri si è perso la conferenza di “Davos nel deserto”, forse dovrebbe farsela riassumere almeno a grandi linee, perché sono state appena gettati le basi per una competizione mondiale sul fronte dei capitali, di cui sentiremo parlare con ogni probabilità nei prossimi decenni. (Leggi anche: City contro petrolio a Londra)