4 Apr 2019

Adattarsi per sopravvivere: perché la NATO è ancora importante

70 anni NATO

La NATO è tuttora indispensabile per la sicurezza dei suoi membri e quale sostegno della stabilità internazionale, ma l’avvento alla Casa Bianca di un presidente isolazionista ed unilateralista, che si era spinto a mettere in discussione la clausola di difesa solidale dell’art.5 del Trattato Atlantico, ha rinfocolato gli interrogativi sulla ragion d’essere di una Alleanza nata con il confronto Est Ovest. 
Dopo la scomparsa dell’URSS, il quadro strategico globale ha subito profonde modifiche, cui la NATO si è progressivamente adattata, tra salvaguardia della missione originaria di difesa collettiva e acquisizione di funzioni nuove, correlate alla comparsa di minacce o rischi alla sicurezza dei suoi membri di tipo diverso da quelli tradizionali. 

Per essere rilevante anche in futuro, l’Alleanza dovrà continuare ad essere adattabile, non disperdendo il patrimonio acquisito e recependo nuove esigenze ed obiettivi. Dovrà anche evitare che lo sbiadirsi della memoria della massiccia minaccia sovietica, collante della solidarietà e della coesione, e, adesso, l’apparente minor impegno di Washington ad imprimere fermi indirizzi all’Alleanza favoriscano la manifestazione di differenti priorità e valutazioni tra i membri. Deve eliminare alcune fragilità come la bassa spesa militare degli europei, trovare un giusto equilibrio tra industrie europee e americane per le commesse militari, nonché gestire la problematica posizione della Turchia.

Le rinnovate tensioni tra gli occidentali e Mosca rilanciano le ragioni che indussero il mondo libero a stipulare 70 anni fa il Patto Atlantico. È improprio parlare di ritorno alla Guerra fredda ma l’intervento russo in Ucraina, le pressioni sui paesi limitrofi, le interferenze negli affari interni di taluni paesi, la spregiudicata politica nel Mediterraneo ed in Medio Oriente, così come i programmi di modernizzazione delle armi nucleari e convenzionali, fanno dire che il presidente russo Vladimir Putin ha fatto riscoprire la NATO e ha raffreddato gli entusiasmi di quanti (anche in Italia) si facevano paladini di diluizioni della Alleanza in un organismo di sicurezza collettivo.
Ammettere comportamenti destabilizzanti della Russia e attrezzarsi per farvi fronte non significa disconoscere che anche l’Occidente abbia responsabilità per la perdita della scommessa volta a creare, nel post Guerra fredda, un’area euro-Atlantica cooperativa che coinvolgesse la Russia o rinunciare a lavorare per esplorare come giungere con Mosca ad intese, per non parlare del talvolta evocato “Grand Bargain”, per stemperare le tensioni. Esonerato dalla accusa di collusioni con i russi durante la campagna presidenziale (ove tuttavia tentativi di Mosca di danneggiare Hillary Clinton appaiono dimostrati), il presidente americano Donald Trump dovrebbe riacquistare spazio di dialogo con il Cremlino. La guida americana rimane a tal fine indispensabile anche per comporre le diverse sensibilità che nei confronti della Russia animano gli alleati europei.
Ma una risposta russocentrica per giustificare la NATO non sarebbe sufficiente e trascurerebbe l’impatto delle ambizioni della Cina, destinata a rappresentare per gli Stati Uniti l’avversario più importante da contenere.
Esponenti USA menzionano la minaccia cinese anche nel contesto di discussioni sulla Alleanza Atlantica. Ciò non implica che gli Stati Uniti immaginino ruoli diretti della NATO nei confronti della Cina. Stanno però già indirizzando attenzione prioritaria e risorse imponenti verso il Pacifico. Questa tendenza non è neutrale per l’Alleanza e in parte può spiegare le brutali messe in mora di Trump agli europei ad aumentare le spese militari e ad impegnarsi di più nelle zone di loro più diretto interesse. La disponibilità a discutere costruttivamente di questi temi servirà a mostrare all’amministrazione che la componente europea della NATO non si arrocca in una visione strategica circoscritta e superata.

Dopo la fine della Guerra fredda, l’Alleanza ha allargato i suoi compiti, segnatamente alle operazioni di stabilizzazione e pacificazione, dai Balcani all’Iraq, all’Afganistan, per contrastare focolai di crisi da cui, pur geograficamente lontani, provenivano minacce per i suoi membri, dovute a collassi statuali, con i disordini conseguenti, terrorismo, migrazioni di massa, ecc. Questo potenziale della NATO si è rivelato prezioso per la nostra sicurezza, come per la stabilità generale, ed ha anche aiutato in maniera incisiva la capacità di intervento degli Stati Uniti. In una fase in cui gli USA annunciano di volere ridurre il loro impegno militare all’estero, bisognerà chiedersi come e se la NATO potrà in futuro svolgere operazioni del genere, senza o con un più ridotto concorso americano.
Significativo segnale di pronto aggiornamento è stata l’attribuzione alla NATO di competenze nella cibernetica, considerato il prossimo terreno di scontro.
Ma la ragione conclusiva della attualità della Alleanza è offerta dal fatto che essa costituisce il veicolo, al momento senza alternative, per assicurare il legame transatlantico ed uno spazio di sicurezza unitario tra Stati Uniti ed Europa. A dispetto delle tensioni, il “Coupling strategico” è un valore da preservare e largamente avvertito su entrambe le sponde dell’Atlantico.
Gli effetti della presidenza Trump si fanno sentire anche nel dibattito sulla difesa europea, con ricadute sulla NATO. Autorevoli voci sollecitano i paesi dell’UE a prendere in mano la tutela della loro sicurezza. È un esercizio necessario anche se le tendenze degli elettorati e le divisioni che pesano sui paesi dell’UE non alimentano l’ottimismo quanto ai risultati.

Siamo tra coloro che ritengono che uno sforzo per creare una forte capacità militare europea vada finalmente intrapreso, ma che tale progetto debba essere complementare, e non contraddittorio, con l’impegno nella NATO. La larga sovrapposizione di membership tra NATO ed UE spinge in questa direzione, per non parlare di altri fattori, quali affinità di esigenze di sicurezza, risorse da razionalizzare ecc. La complementarietà risolve anche il cruciale problema della deterrenza nucleare. Ai nostri giorni, non esiste difesa, nel senso pieno del termine, se non sorretta dall’arma nucleare. Una tale componente comune europea non è all’orizzonte, né suona credibile la possibilità che la Francia (il Regno Unito si accinge a lasciare l’Unione e non sappiamo che tipo di rapporto futuro verrà stabilito con la PESD) rivoluzioni la propria dottrina militare che risale a Charles de Gaulle o che i partner siano disposti a mettersi sotto l’ombrello protettivo di Parigi, con le conseguenze politiche che ne seguirebbero anche in termini di gerarchia di potenza. Forse un giorno le cose cambieranno ma oggi si discute essenzialmente di accrescere, e di razionalizzare, le capacità degli europei ed anche il linguaggio politico andrebbe modulato di conseguenza. La NATO rimarrà a lungo lo strumento della difesa comune. 
Quando si affrontano temi di difesa e sicurezza, che attengono alla pace e alla guerra, si evocano questioni cruciali, che vanno al cuore della sovranità e dell’interesse nazionali. Sarebbe auspicabile che esse venissero dibattute anche nel mondo politico italiano affinché il nostro Paese possa dare un contributo adeguato alle riflessioni in corso.

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