25 Feb 2019

Egitto: al-Sisi sempre più potente, opposizioni sempre più deboli

Focus Mediterraneo Allargato n.9

Il 2019 rappresenterà un anno molto importante per l’Egitto alle prese con vecchi problemi e nuove sfide politiche. Dopo il netto successo elettorale del marzo 2018, che ha conferito a Abdel Fattah al-Sisi un nuovo mandato fino al 2022, il presidente ha impostato un’agenda politica basata su alcune chiare iniziative: consolidamento dei fondamentali economici e grandi investimenti infrastrutturali, inasprimento delle misure di sicurezza e lotta al terrorismo islamista, estensione del mandato presidenziale oltre il suo termine naturale. Misura quest’ultima dal grande impatto politico che, qualora passasse in parlamento, potrebbe ridefinire nuovamente le strutture del potere nel paese. Sul fronte regionale e internazionale, invece, non si segnalano sostanziali mutamenti negli indirizzi di politica estera finora intrapresi dal paese. Ciononostante si registra un marcato interesse egiziano verso aree operative non tradizionali come il Mediterraneo orientale e la regione del Mar Rosso e del Corno d’Africa.

Quadro interno

In continuità con il recente passato, l’economia – il consolidamento del sistema e il tentativo di immunizzare lo stesso da shock esterni e interni – rappresenta la massima priorità dell’esecutivo egiziano. Dalla seconda metà del 2017 il paese ha conosciuto una fase socio-economica favorevole, certificata dai dati del Fondo monetario internazionale (Fmi); a ottobre 2018, è stata prevista una crescita del Pil pari al 5,3%, con prospettive di oltre 6 punti percentuali nel periodo 2019-2023. Un risultato positivo favorito anche da una sostenuta ripresa dei flussi turistici (6,3 milioni di visitatori nei primi sette mesi del 2018, il dato più alto dal 2012) e di capitali stranieri, nonché dall’avvio delle attività del giacimento di gas offshore Zohr, che ha ridotto le costose importazioni di carburante dall’estero. A ciò si aggiungono le riforme introdotte dall’esecutivo e concordate con il Fmi, che ha concesso un prestito internazionale da 12 miliardi di dollari (2016-2019). Le misure adottate hanno riguardato per lo più la fluttuazione della valuta, un taglio sostanziale ai sussidi di stato sui beni di prima necessità e l’introduzione di un’ampia gamma di nuove tasse. Alla luce di un trend consolidatosi negli ultimi mesi, il presidente al-Sisi ha annunciato in diretta alla televisione egiziana che la parte più dolorosa del programma di riforme economiche è finita, sebbene ci sia ancora molto da fare. Nel suo messaggio al paese, il presidente ha infatti ipotizzato l’adozione di una serie di misure che nel corso del 2019 (si ipotizza dal 1° aprile) porteranno a un nuovo aumento dei prezzi, presumibilmente su carburanti e elettricità. Non a caso, le riforme del governo hanno alimentato un diffuso malcontento popolare, che ha danneggiato maggiormente i poveri e la classe media. A fronte di ciò, la ripresa economica non può definirsi completa. Esistono ancora numerosi ostacoli di tipo burocratico-amministrativo nell’attuazione di leggi e riforme; inoltre il governo in questi anni ha prestato poca attenzione a sanità e istruzione pubblica, settori cruciali per lo sviluppo e la definizione di un mercato del lavoro coerente con l’alta domanda interna.

Parimenti rilevante è la questione relativa alla mancata protezione dei diritti civili e umani. Le leggi che restringono le libertà dei media e del web, l’operatività delle Ong egiziane e internazionali sul territorio del paese, così come quelle riguardanti la sicurezza nazionale e la lotta anti-terrorismo sono state definite in più occasioni come “liberticide” da Human Rights Watch e Amnesty International, sottolineando ancora una volta la capacità pervasiva delle istituzioni locali nel fare ampio affidamento a poteri extra-giudiziali come strumento di governo e repressione. Un fenomeno evidente già nei mesi precedenti le elezioni presidenziali di marzo 2018, ma rafforzatosi nelle settimane immediatamente successive con gli arresti preventivi di potenziali oppositori politici, blogger, giornalisti e lavoratori sindacalizzati. Quel che emerge è una forte restrizione di qualsiasi spazio di dissenso. Ad alimentare tali timori vi sono inoltre alcune proposte di riforma costituzionale, tra le quali spicca quella relativa all’articolo 140, riguardante i termini del mandato presidenziale1. Secondo tale ipotesi di lavoro, rilanciata anche dal principale quotidiano indipendente egiziano Mada Masr, verrebbe eliminato il limite di due turni consecutivi e sarebbe estesa la durata del singolo incarico presidenziale, che passerebbe da 4 a 6 anni. Sempre secondo il quotidiano, il servizio segreto nazionale e l’ufficio di presidenza negli ultimi mesi avrebbero condotto una serie di colloqui informali per definire una serie di proposte correlate alla modifica dell’articolo 140. Tra le misure proposte, quelle maggiormente rilevanti, che interesserebbero anche le funzioni dell’ufficio di presidenza, riguardano la riorganizzazione dei sistemi di intelligence sotto l’egida del General Service Intelligence (Gis), la riduzione del numero dei parlamentari (i quali passerebbero dagli attuali 595 a 350 membri) e la reintroduzione del Senato (abolito dall’attuale Carta costituzionale del 2014), la nomina di due vice presidenti (uno dei quali scelto dal presidente stesso). A gestire il dossier sarebbero Mahmoud al-Sisi, figlio del presidente e membro di rilievo nel Gis, e il generale Abbas Kamel, a capo del servizio nazionale di intelligence, i quali vorrebbero arrivare entro la fine di marzo 2019 con un testo definitivo di riforma approvato in al Parlamento e da sottoporre a referendum popolare nel giugno successivo. A rafforzare queste tempistiche vi sarebbe inoltre la petizione parlamentare presentata da 120 deputati del partito di maggioranza “Alliance to Support Egypt” (3 febbraio 2019) per avviare l’iter di revisione della riforma costituzionale che consentirebbe un’estensione senza alcun tipo di vincolo del mandato presidenziale di al-Sisi oltre il 2022. Sebbene le prime proposte in merito fossero state avanzate già nel settembre 2015, solo dalla seconda metà del 2018 tali ipotesi di lavoro sono divenute ufficiosamente elementi di dibattito all’interno della cerchia ristretta del potere egiziano. In tal modo e in maniera retroattiva, al-Sisi non terminerebbe più il mandato nel 2022, bensì almeno nel 2026. A rendere ancor più opaca tale proposta vi è inoltre la possibile istituzione di un nuovo organo dello stato, il Consiglio superiore per la protezione della Costituzione (Hcpc), che affiancherebbe l’ufficio di presidenza, con poteri di vasta portata volti a proteggere l’identità dello stato e a salvaguardare la sicurezza nazionale. L’Hcpc avrebbe poteri molto simili a quelli del Consiglio supremo delle forze armate (Scaf), ossia l’istituzione egiziana che durante le fasi post-rivoluzionaria tra il 2011 e il 2012 ha assunto il potere nel paese per gestire la transizione. La differenza sostanziale tra i due organismi risiede nell’esercizio del potere: lo Scaf si attiva in situazioni straordinarie o di gravi crisi – come appunto quella del 2011 –, l’Hcpc avrebbe funzioni pressoché simili ma operanti in un contesto di legittimità e ordinarietà. Infine, aspetto non meno controverso di tale riforma risiede nella possibilità che il presidente al-Sisi potrà presiedere tale organismo a vita, indipendentemente dal fatto che resti o meno nel pieno delle sue funzioni dopo il 2026. In sostanza, qualsiasi legislazione di emergenza verrebbe normalizzata e istituzionalizzata in quadro legale e ordinario2.

Sul piano meramente securitario, e parzialmente collegato al problema della repressione socio-politica, si registra ancora una importante minaccia terroristica in tutto il paese. Sebbene i numeri di attacchi e vittime causate dal terrorismo di matrice islamista sia in discesa rispetto agli anni precedenti, esso rappresenta ancora una minaccia viva, concreta e in costante mutazione. I target principali del Wilayat Sinai, il responsabile di gran parte degli episodi terroristici in Egitto, sono turisti stranieri e membri della comunità copta. Dopo l’attacco a un sito archeologico a Giza (28 dicembre 2018), il quale ha provocato 3 morti e 12 feriti, e il fallito attentato contro una chiesa copta nella nuova capitale amministrativa a Est del Cairo (7 gennaio 2019), il presidente ha esteso nuovamente lo stato di emergenza per la durata di altri tre mesi, per la settima volta consecutiva dall’aprile 2017. Il rinnovo dello stato di emergenza permetterà al personale militare e alla polizia di prendere le misure necessarie ad affrontare la minaccia terroristica e a mantenere la sicurezza in tutto il paese. In linea con questa decisione, il decreto presidenziale espande i poteri di arresto e di sorveglianza della polizia, la quale potrà altresì limitare la libertà di movimento dei sospettati. Una strategia giustificata dal governo per proteggere il turismo e i capitali stranieri rientrati faticosamente in Egitto dopo la lunga crisi di questi anni. Nell’ottica dei terroristi, colpire il comparto turistico crea un danno diretto all’economia egiziana: basti soltanto pensare che il settore prima delle rivoluzioni del 2011 e 2013 e della nuova stagione terroristica in corso rappresentava circa l’11% del Pil nazionale, con una ricaduta occupazionale, diretta e indiretta, pari al 60-65% della forza lavoro. Allo stesso tempo, queste azioni, compresi gli attacchi stragisti nei confronti delle comunità copte e sufi, oltre ad aver un grande impatto emotivo, hanno un significato politico ben preciso e mirano a lacerare il più possibile il tessuto sociale egiziano, con l’intento duplice di promuovere sia una campagna settaria all’interno del paese (musulmani contro cristiani), sia di danneggiare l’immagine del regime, dimostrando inadeguatezza e incapacità delle forze di sicurezza, polizia ed esercito, nel contrastare la minaccia terroristica in Egitto.

Relazioni esterne

Le priorità del governo egiziano rimarranno sostanzialmente invariate e incentrate – più per opportunità che per reale condivisione di intenti – sul mantenimento di legami cordiali con Stati Uniti e Unione europea. Allo stesso tempo, Il Cairo punterà a rinforzare le proprie relazioni strategiche con i nuovi attori globali (Russia, Cina, India e Giappone) e a prestare un forte sostegno alle iniziative diplomatiche degli stati arabi del Golfo in Medio Oriente, benché tra Egitto e monarchie alleate del Golfo permangano posizioni e visioni d’insieme talvolta contraddittorie soprattutto in materia di difesa comune (si veda l’Approfondimento a p. 60). Infine, rimane invariato il tradizionale approccio da mediatore dell’Egitto nei principali teatri di crisi regionale (dalla Libia a Gaza, passando per la Siria e il Libano).

Benché quindi le principali direttrici di politica estera non subiscano particolari mutamenti, il paese sta sperimentando strategie alternative e in parte innovative basate sull’esplorazione di quadranti operativi non tradizionali come il Mar del Levante e l’Africa orientale. Sono aree, infatti, che per motivi economico-commerciali, energetici e geopolitici possono concedere al Cairo un possibile ruolo da broker nel comparto energetico, grazie alle scoperte dei giacimenti Zohr e Noor nel Mediterraneo orientale, e nella salvaguardia delle rotte marittime commerciali da e verso il corridoio Canale di Suez-Mar Rosso, passaggio di circa il 10% delle merci mondiali che collegano il Mediterraneo al Mar Arabico e all’Oceano Indiano occidentale.

Si spiegano anche in questi termini le relazioni sempre più strette con Israele, Cipro e Grecia per la comunitarizzazione delle rispettive risorse energetiche offshore. Una scelta mirata anche a prevenire possibili tensioni geopolitiche in questa ricca porzione di Mediterraneo. Si inserisce esattamente in tale prospettiva il Forum dei produttori di gas del Mediterraneo orientale (Emgf). Riunitosi per la prima volta al Cairo il 14 gennaio 2019, oltre ai paesi rivieraschi, il forum ha aperto le proprie porte a Italia, Unione europea, Giordania e Territori palestinesi, realtà ognuna a vario titolo impegnate a favorire un livello diffuso di cooperazione regionale che nel medio-lungo periodo favorisca una cooperazione rafforzata in materia di sviluppo economico e sicurezza energetica mediterranea e vicino-orientale3. L’Italia ha partecipato all’incontro del Cairo con il sottosegretario per lo Sviluppo economico Andrea Cioffi, rimarcando in tal modo l’impegno e l’importanza che Roma ha voluto dare al forum e alla sua politica energetica mediterranea. Da tempo, infatti, l’Italia è impegnata in favore del gasdotto israeliano EastMed e nel far ciò sostiene anche attivamente la posizione dell’Egitto quale futuro hub dell’energia nel Mediterraneo, anche per via degli innumerevoli interessi che legano le nostre aziende del settore al paese nordafricano (tra tutte è sicuramente rilevante il ruolo di Eni, impegnato in attività di prospezione, ricerca e sviluppo nei fondali del Mar del Levante). Altrettanto innegabile è il valore geostrategico rivestito dall’Emgf, il quale potrà avere un grande potenziale nelle dinamiche geopolitiche regionali e mediorientali in senso allargato, considerando anche le interazioni commerciali ed energetiche con il Mar Rosso e la Penisola arabica. In tale prospettiva, il forum del Mediterraneo orientale punta a posizionarsi come un cartello dell’energia alternativo e in competizione con la stessa Opec.

Una prospettiva di cooperazione multilaterale che rimane comunque in una fase iniziale e suscettibile di conoscere bruschi e repentini passi a vuoto a causa dell’assenza della Turchia da tale processo. Ankara, come accaduto in questi anni nei settori di mare di Cipro nord, non riconosce gli accordi di demarcazione nelle zone economiche esclusive (Zee) nel Levante, nonché le iniziative diplomatiche tra gli attori rivieraschi che l’hanno di fatto estromessa da qualsiasi potenziale ruolo di hub energetico nel Mediterraneo orientale. In tal senso, l’Egitto ha rafforzato le sue relazioni con paesi europei e asiatici fornitori di hardware militare necessario a proteggere i suoi interessi specifici nel Mediterraneo orientale. Il Cairo infatti ha acquistato sistemi di difesa e sottomarini per proteggere le proprie infrastrutture di gas naturale e per scoraggiare qualsiasi potenziale azione militare della Turchia o di qualsiasi altro attore (ad esempio il Libano) interessato a scoraggiare questo processo di cooperazione regionale4.

Parimenti al Mediterraneo orientale, l’Egitto ha rilanciato un certo attivismo diplomatico in Africa, con una particolare attenzione alle aree del Mar Rosso e del Corno d’Africa. Una scelta politica che troverà nuovo slancio grazie anche all’inizio del mandato nella presidenza di turno dell’Unione africana, valevole per l’intero 2019. Oltre che da una naturale prossimità geografica, la “nuova” politica africana dell’Egitto è giustificata da considerazioni di sicurezza nazionale e da motivazioni di carattere strategico. Da un lato le tensioni in Sudan e le relazioni sempre complesse con l’Etiopia per via della costruzione della diga del Rinascimento sul corso del Nilo azzurro, dall’altro una ricerca di presenza e influenza nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden che risponde anche a esigenze squisitamente geo-politiche. In questo rinnovato interesse egiziano per l’Africa nel suo complesso emerge una duplice interazione che spiega come il dinamismo diplomatico del Cairo sia mirato a contenere il ruolo storico dell’Etiopia nell’area e a mitigare al contempo le iniziative – sempre più ingombranti nella visione egiziana – dell’Arabia Saudita nel Mar Rosso. Ne sono una dimostrazione una serie di recenti iniziative come gli accordi in materia energetica tra Egitto e Tanzania e il tentativo del Cairo di frenare i lavori di costituzione dell’Alleanza del Mar Rosso, un tentativo saudita di creare un consesso informale basato sulla sicurezza marittima dei paesi del Mar Rosso (12 dicembre 2018). Ciononostante è altrettanto innegabile che la salvaguardia del commercio marittimo e internazionale nel Mar Rosso, l’attrazione di investimenti esteri nel Sinai meridionale (in particolare nelle aree di Nuweiba e Taba), la definizione di nuove fasi nella cooperazione bilaterale con tutti i paesi rivieraschi della regione allargata, la lotta all’immigrazione clandestina e ai traffici illegali (armi e droga) rivestono un ruolo centrale nella nuova proiezione egiziana in Africa orientale.

 

 

1 L. Ardovini, President al-Sisi’s Expanding Authority: Rule by Extra Judicial Powers, Foreign Policy Centre (FPC), 13 dicembre 2018; 

2 A. Hakim e A. Soliman, “Egypt’s new political order in the making”, Mada Masr, 4 dicembre 2018, . Si veda anche “Constitutional amendments submitted to Parliament could allow Sisi to stay in power until 2034”, Mada Masr, 3 febbraio 2019, .

3 E. Farouk, “Eastern Mediterranean countries to form regional gas market”, Reuters, 14 gennaio 2019, .

4 Per maggiori approfondimenti i risvolti geopolitici e strategici relativi al Mediterraneo orientale si rimanda a: G. Dentice, “Natural gas in the Eastern Mediterranean: a driver of development”, in MED Report 2018, Building Trust: the Challenge of Peace and Stability in the Mediterranean, pp. 23-26, published on the occasion of the fourth edition of Rome MED – Mediterranean Dialogues, 22-24 November 2018, promoted by the Italian Ministry of Foreign Affairs and International Cooperation and ISPI

 

Pubblicazioni

Vedi tutti

Eventi correlati

Calendario eventi
Not logged in
x