28 Set 2018

Focus paese: Algeria

Focus Mediterraneo Allargato n.8

A poco più di sei mesi dalle elezioni presidenziali, fissate per aprile del 2019, resta l’incertezza riguardo alla possibilità che il presidente in carica Abdelaziz Bouteflika (1999-oggi) si ricandidi per un quinto mandato. Continuano inoltre le manifestazioni di protesta contro il carovita, nonostante il recente rialzo del prezzo degli idrocarburi abbia aumentato le entrati fiscali consentendo al governo di sospendere l’implementazione delle misure di austerity precedentemente annunciate. A questo fragile quadro interno ne corrisponde uno esterno altrettanto instabile, in cui permane la minaccia del terrorismo transnazionale e si inaspriscono le tensioni sulla gestione dei flussi migratori trans-sahariani in cui l’Algeria è coinvolta principalmente come paese di transito. Da registrare come recente evoluzione positiva nelle relazioni esterne algerine è, invece, il tentativo in corso di distensione con il Marocco grazie alla diplomazia sportiva.

Quadro interno

Dall’inizio dell’anno il quadro interno algerino è scosso da un preoccupante moto di instabilità avente come epicentri le proteste socio-economiche contro il carovita e le incertezze politiche riguardo alle prossime elezioni presidenziali, fissate per aprile del 2019.

Dalla fine del 2017 l’Algeria è stata interessata da una lunga serie di manifestazioni popolari e scioperi – perlopiù su piccola scala, con l’eccezione di quelli generali indetti nella capitale lo scorso febbraio – contro le politiche economiche del governo in un contesto di difficoltà economica. I motivi di insoddisfazione sono numerosi, ma le richieste dei manifestanti si sono concentrate soprattutto sull’aumento dei prezzi (con successo, visto che il governo si è visto costretto a rinunciare ai pianificati tagli dei sussidi), gli stipendi del settore pubblico, la forte disoccupazione e l’emergenza abitativa. Con il passare dei mesi quest’ondata di malcontento non si è arrestata, complice l’impossibilità per il governo algerino di reperire in un periodo di debolezza economica le risorse finanziare necessarie per rispondere alle richieste della popolazione. I timori circa evoluzioni violente di queste proteste non sono attualmente giustificati visto il forte apparato di sicurezza a sostegno dell’establishment, lo spettro ancora vivo della guerra civile degli anni Novanta che disincentiva il ricorso popolare alla violenza, e l’incapacità dell’opposizione di veicolare le voci di dissenso e offrire loro una piattaforma politica competitiva. Inoltre, la recente risalita del prezzo del petrolio – resa possibile anche grazie ai tagli alla produzione petrolifera mondiale decisi dall’Opec di cui l’Algeria è parte – è garanzia di maggiori entrate statali (il 60% delle entrate algerine deriva dagli introiti generati dalla vendita di idrocarburi) e, di conseguenza, spesa pubblica più alta. Nonostante i prezzi del petrolio restino comunque più bassi rispetto al periodo 2010-2014, il lieve rialzo degli scorsi mesi ha comunque compromesso la tenuta della disciplina fiscale annunciata dal governo nei mesi passati.

Anche a causa delle preoccupazioni politiche dovute al malcontento popolare, nei mesi scorsi le riforme economiche si sono quindi arenate e il governo algerino ha sospeso molte delle misure fiscali restrittive. Anzi, l’aggiornamento della legge di bilancio del 2018 ha infine proceduto con la rinuncia al taglio ai sussidi introdotti nel 2017 e con la sostituzione degli impopolari divieti alle importazioni con prelievi fiscali più alti sui beni importati. Sono inoltre stati inclusi aumenti nelle spese d’investimento e nelle spese sociali ed è stata estesa la tempistica dell’eliminazione del deficit di quattro ulteriori anni, portandola al 2023. Tuttavia, l’aggiunta di dazi doganali su una serie di beni importati rischia di generare un aumento dei prezzi che, in un momento di frustrazione e malcontento popolare dovuto proprio al già alto costo della vita, rischia di essere politicamente insostenibile sul lungo periodo.

Inoltre, il settore energetico continua a pesare in modo significativo sulle entrate statali e, con una eventuale ricaduta del prezzo del petrolio, si ripresenterebbero gli stessi problemi degli anni scorsi. Pur consapevole di questa volatilità del prezzo del greggio, il programma di diversificazione economica e riduzione della dipendenza dagli idrocarburi annunciato dal governo viene portato avanti con scarso successo. Anzi, in una fase vantaggiosa come quella attuale, le autorità stanno cercando di massimizzare i profitti derivanti dal settore degli idrocarburi (soprattutto dal gas) con il rinnovo dei contratti tra la compagnia nazionale Sonatrach e i partner stranieri. Gli obiettivi economici fissati dal governo per gli anni a venire erano già di per sé molto ambiziosi: la creazione di nuove imprese, nuovi modelli finanziari per il settore privato, la diversificazione industriale, la riorganizzazione della gestione terriera, la sicurezza energetica, il miglioramento della governance economica. Con la risalita del prezzo del petrolio, le proteste contro il carovita e la forte opposizione giunta dalle potenti élite economiche penalizzate dalle riforme, questi obiettivi risulteranno ancor più difficili da raggiungere, soprattutto per quanto riguarda il target del 6,5% del settore non petrolifero nel 2020-30 e il raddoppio al 10% del contributo manifatturiero al Pil entro il 2030. Oggi il Pil è infatti in crescita, ma principalmente grazie all’aumento di spesa pubblica consentito dall’incremento della produzione e della vendita di idrocarburi.

Ad alimentare questo malcontento economico contribuisce, almeno in parte, anche la disillusione degli algerini nei confronti del sistema politico, incapace di riformarsi. Nonostante gli 81 anni e le precarie condizioni di salute, sembra infatti sempre più probabile che il presidente Abdelaziz Bouteflika correrà per il quinto mandato alle presidenziali dell’aprile 2019. Dal punto di vista legale Bouteflika, al potere dal 1999, può ricandidarsi grazie alla modifica costituzionale del 2016 che, pur reintroducendo il limite del doppio mandato presidenziale (rimosso nel 2008 per consentire a Bouteflika di candidarsi a un terzo mandato), non è retroattiva. Restano enormi dubbi circa le sue capacità di svolgere le funzioni presidenziali dopo aver subito un attacco di cuore nel 2013, ma ad oggi non è emerso nessun vero erede. Anzi, sia il partito al potere, il Fronte di liberazione nazionale (Fln), sia il primo ministro Ouyahia (e il suo Raggruppamento nazionale democratico) hanno recentemente espresso il proprio sostegno alla ricandidatura di Bouteflika. La questione dell’eventuale successione alimenta però tensioni e divisioni tra le varie fazioni interne al regime e tra gli alleati, incluso l’establishment militare. Bouteflika stesso non si è ufficialmente espresso circa la propria intenzione di correre per un quinto mandato, ma anche nel 2014 il presidente aspettò i due mesi precedenti il voto per confermare la propria candidatura. Qualora non dovesse ricandidarsi, sarà comunque il candidato scelto dal regime ad avere le maggiori chances di successo vista la debolezza dell’opposizione, incapace di incanalare la diffusa frustrazione popolare in una forte movimento politico alternativo. Alcuni partiti politici, tra cui Jil Jedid (Nuova generazione) e l’Unione per il cambiamento e il progresso, hanno cercato di alimentare un movimento di protesta popolare contro la ricandidatura di Bouteflika ma senza risultato, visto il loro scarso peso all’interno dell’establishment politico e di sicurezza. In un ipotetico scenario post-Bouteflika, tra i possibili candidati vi sarebbe senza dubbio il primo ministro Ouyahia che, seppur privo di ampio supporto popolare, gode di buoni rapporti sia con i principali vertici dell’establishment sia con i militari. Poco probabili sono invece Said Bouteflika, fratello e consigliere speciale del presidente, considerato esposto a proteste popolari a causa del legame di parentela familiare; il generale Ahmed Gaid Salah, capo dell’esercito e stretto alleato del presidente, ma di età avanzata e troppo vicino all’apparato militare; e Chakib Khelil, ex ministro dell’energia ma a rischio idoneità vista la doppia cittadinanza (dal 2016 chi ricopre alte cariche pubbliche non può avere la doppia cittadinanza). Chi invece ha il potenziale di riscuotere un certo sostegno popolare come Mouloud Hamrouche, ex primo ministro moderatamente critico del regime, difficilmente avrà il sostegno dell’establishment come successore di Bouteflika. A spingere per la ricandidatura di Bouteflika è soprattutto l’entourage del presidente che punta a preservare il potere accumulato negli anni di presidenza. Esautorare eventuali sfidanti rientra nella strategia di supporto alla candidatura del presidente. In questa è possibile far rientrare il recente licenziamento, tramite decreto presidenziale, del capo della polizia Abdelghani Hamel, un tempo vicino a Bouteflika e a lungo considerato suo possibile successore, e il respingimento di due proposte di riforma economica per indebolire il primo ministro Ouyahia. Il licenziamento di Hamel in realtà si inserisce in una più ampia operazione di anticorruzione legata al traffico di droga che nei mesi di giugno e luglio ha portato all’arresto di decine di esponenti tra le forze di polizia1. Sotto la direzione di Hamel, la polizia algerina – una forza ben equipaggiata e addestrata che tra il 2009 e il 2014 è più che raddoppiata giungendo ad avere circa 200 mila effettivi – ha guadagnato costantemente importanza ma ha altresì sofferto una lotta interna tra dipartimenti, esacerbata dallo scioglimento del potente servizio di intelligence, il Département du Renseignement et de la Sécurité (Drs) nel 2016. Nella politica algerina, licenziamenti o dimissioni improvvise di funzionari di alto livello per scandali o tensioni con l’establishment sono frequenti: solo un anno fa l’allora primo ministro fu costretto a dimettersi per divergenti visioni economiche con la presidenza. Il fatto che Hamel avesse criticato pubblicamente gli altri rami del sistema, soprattutto il potere giudiziario, ha senz’altro generato inquietudine tra i vertici del regime.

Relazioni esterne

Sul fronte delle relazioni regionali ed internazionali, l’islamismo militante resta la minaccia principale. Anzi, la presenza di gruppi militanti transnazionali attivi in Nord Africa e nel Sahel preoccupa sempre di più Algeri alla luce dei disordini che hanno interessato il vicino Mali nei mesi antecedenti le elezioni presidenziali di luglio-agosto, della continua instabilità in Libia e dei problemi che tormentano alcune aree confinanti con la Tunisia. Per quanto concerne la sua politica libica, Algeri – da sempre sostenitrice del processo di pace delle Nazioni Unite e del governo di unità nazionale – sta provando a sfruttare il proprio peso diplomatico per promuovere un’intesa tra le fazioni libiche non jihadiste che favorisca una graduale transizione verso una Libia unificata. Sempre tra gli sforzi diplomatici, è da poco emersa la notizia che, dall’inizio dell’anno, dietro accordo segreto con Mali e Francia2, il ministero della Difesa ha lanciato un’amnistia per i jihadisti del Sahel che si arrendono alle autorità algerine consegnando gli armamenti in loro possesso. Nei primi 7 mesi si sono costituiti 88 jihadisti, tuttavia il successo di questa misura deve ancora essere appurato, dato che finora a sfruttare questa opportunità sono state solo figure di basso rango, fatta eccezione per Abu Ayoub3 e Sultan Ould Bady4, figure di alto livello del jihadismo saheliano. Parallelamente all’impegno diplomatico, si sono intensificate le operazioni militari di antiterrorismo e di confisca dei depositi di armi nelle province meridionali. Dopo l’Egitto, l’Algeria ha il più grande esercito africano5, con circa 147.000 effettivi che salgono a 460.000 includendo anche personale militare di riserva e i corpi di polizia. Inoltre, il bilancio nazionale della difesa, attorno ai 10,2 miliardi di dollari nel 2016, è il più alto nel continente e il sesto nell’area del grande Medio Oriente. Nonostante il calo delle entrate causato dal crollo del prezzo del petrolio, l’Algeria ha comunque mantenuto il livello della propria spesa militare superiore ai 10 miliardi di dollari annuali anche negli anni economicamente più difficili (2014-2016), a riprova della volontà del governo di isolare il settore militare dalle misure di austerità. Anzi, tra il 2012 e il 2016 l’import di armi, quasi tutte (80%) di provenienza russa, è cresciuto del 277%, facendo dell’Algeria il quinto maggiore importatore di armi al mondo e il terzo principale acquirente mondiale d’armi russe (10% del totale, dietro solo India 31% e Cina 22%). Dei 4 miliardi di dollari di interscambio tra Algeria e Russia nel 2016, due terzi erano attinenti alla sfera militare. Tuttavia, nonostante gli sforzi diplomatici (incluse le amnistie), l’intensa attività di antiterrorismo dell’esercito e l’alto livello di spesa pubblica per la difesa, il rischio di attacchi terroristici sul suolo algerino resta alto.

Il timore che l’insicurezza presente nel vicinato possa diffondersi entro i confini algerini influenza dunque in modo preponderante la politica estera di Algeri, incentivando il regime a sostenere forme di cooperazione regionale sia bilaterali sia multilaterali. In questo rientrano anche collaborazioni transfrontaliere di gestione della migrazione. Su questo fronte l’Algeria è stata spesso trascurata in quanto i suoi porti e le sue coste non sono tra i principali punti di partenza dei migranti diretti verso l’Europa. Tuttavia, le vaste distese desertiche del sud attorno all’hub di Tamanrasset sono aree di transito di convogli provenienti dall’Africa occidentale e diretti o in Marocco nella cosiddetta rotta migratoria del Mediterraneo occidentale o in Libia e Tunisia tramite la rotta del Mediterraneo centrale. Il motivo per cui dalle coste algerine non partono migranti è da ricercare nella linea dura adottata dal governo algerino sull’immigrazione, talvolta giungendo a infrangere le norme di diritto internazionale. Recentemente, infatti, si sono fatte più intense le critiche dei media internazionali e dei gruppi per i diritti umani contro Algeri, colpevole di aver radunato migliaia di migranti irregolari presenti sul proprio suolo e di averli respinti oltre la frontiera con il Niger e il Mali con la forza, abbandonandoli nel deserto. Parte delle critiche provengono dallo stesso governo nigerino, che con Algeri ha da tempo stabilito delle procedure per il rimpatrio di cittadini nigerini, ma non di migranti provenienti da altri paesi africani. L’Algeria ha inoltre respinto le proposte dei leader europei di stabilire nei paesi del Nord Africa degli hotspot per l’identificazione dei migranti diretti in Europa.

La stessa posizione è stata assunta dal Marocco, eterno rivale regionale dell’Algeria per le comuni ambizioni egemoniche regionali e la persistente disputa diplomatica sul Sahara occidentale. Recentemente le relazioni tra i due paesi sembravano essersi ulteriormente deteriorate in seguito alla denuncia da parte di Rabat che Algeri avesse sfruttato il supporto iraniano per fornire sostegno al gruppo Polisario nel Sahara occidentale. L’accusa del Marocco era tanto seria che lo scorso maggio il paese è arrivato ad espellere l’ambasciatore iraniano e chiudere l’ambasciata a Teheran (misura già intrapresa nel 2009, poi superata a partire dal 2014).

Tuttavia, nelle ultime settimane si sono aperti alcuni spiragli circa la possibilità di una distensione tra i due paesi nordafricani grazie ad alcune dichiarazioni sportive dai risvolti politici significativi. A luglio, il ministro dello sport e il presidente della federazione calcistica algerina hanno confermato l’interesse a partecipare in una candidatura comune con Marocco e Tunisia per l’organizzazione dei mondiali di calcio del 2030. Lo scorso giugno, poco dopo aver perso la candidatura per i mondiali del 2026 (vinti da Canada, Messico e Usa), il Marocco aveva subito confermato l’intenzione di ricandidarsi a quelli del 2030. La sconfitta fu dovuta principalmente alle carenze infrastrutturali, ma è altresì chiaro che la Fifa sta da tempo privilegiando le candidature congiunte (anche alla luce della necessità di avere a disposizione maggiori stadi in seguito alla recente decisione di incrementare il numero delle squadre ammesse al mondiale). Inoltre, nonostante anni di impegno diplomatico verso l’Africa subsahariana, molti paesi del continente avevano deciso di non sostenere la candidatura di Rabat per il 2026 per motivazioni politiche (il contenzioso sul Sahara occidentale). Tutti questi fattori potrebbero aver influenzato l’inaspettata decisione del Marocco di allearsi con il rivale politico di sempre, l’Algeria. A prescindere dall’esito della candidatura, questa decisione, qualora venisse confermata, avrebbe implicazioni positive per i due paesi, in quanto porterebbe enormi benefici nelle relazioni bilaterali, ma anche per l’intera Unione del Maghreb arabo, il blocco commerciale regionale costituito oltre che dai tre candidati anche da Libia e Mauritania.

Oltre il vicinato regionale, l’Europa rimane un partner di primaria importanza per l’Algeria essendo una delle principali destinazioni del gas algerino. La scorsa primavera i rapporti si erano deteriorati in seguito alla decisione di Algeri di aumentare la lista dei prodotti vietati all’importazione, incoraggiando il commercio con la Cina a scapito di quello europeo. Tuttavia, nei mesi successivi i partner europei, Francia e Italia in primis, hanno recuperato quote di mercato algerino rispetto alla Cina. Inoltre, negli ultimi mesi Sonatrach, la compagnia energetica nazionale, ha rinnovato una serie di contratti per le concessioni di gas naturale con diverse compagnie europee tra cui la francese Total e la spagnola Repsol. A questi se ne sono aggiunti di nuovi sulla fornitura di gas, come quello con la spagnola Gas Natural Fenosa, e sono in discussione i rinnovi con l’Italia, la Francia e il Portogallo. L’obiettivo dell’Algeria è di concludere accordi di fornitura del gas più brevi nella durata (5-10 anni) ma più flessibili nei termini e nelle condizioni di pagamento, offrendo al consumatore la possibilità di riesaminare alcune questioni contrattuali più frequentemente, in linea con l’attuale trend delle principali compagnie energetiche mondiali.

 

1 N. Khider, “Algerian police: After the purge, a restructuring”, Middle East Eye, 29 luglio 2018. 

2 C. Weiss, “Veteran Malian jihadist surrenders to Algeria”, Threat Matrix – Long War Journal, 12 agosto 2018.

3 N. Khider, “Sahel al-Qaeda offered immunity in ‘secret French-backed deal’”, Middle East Eye, 23 aprile 2018.

4 “Speciale difesa: Algeria, arrestato “pericoloso terrorista” Sultan Ould Bady”, Agenzia Nova, 13 agosto 2018.

5 Tutti i dati di questo paragrafo sono tratti da Jalel Harchaoui, “Too Close for Comfort. How Algeria Faces the Libyan Conflict”, Briefing Paper by Security Assessment in North Africa/Small Arms Survey, luglio 2018 e Timofey Borisov, “Russian arms exports in the Middle East” in “Russia’s return to the Middle East. Building sandcastles?”, Chaillot Paper n. 146 by EUISS, luglio 2018. 

 

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