28 Set 2018

Focus paese: Egitto

Focus Mediterraneo Allargato n.8

A sei mesi dal netto successo elettorale che ha conferito a Abdel Fattah al-Sisi un nuovo mandato fino al 2022, il presidente sembra aver confermato gli indirizzi finora intrapresi in politica interna: rafforzamento del processo di sviluppo economico e inasprimento delle misure di sicurezza rimangono infatti i capisaldi della sua azione anche nel secondo mandato. La stabilizzazione del quadro politico e di sicurezza passa attraverso una nuova fase di repressione nei confronti di media liberi, attivisti e quelle porzioni di società civile rimaste ultime forme di opposizione al regime. Un connubio di leggi e azioni di polizia che stanno garantendo un consolidamento del regime e una denuncia costante da parte delle Ong internazionali, le quali accusano il governo di passi indietro considerevoli nella tutela e salvaguardia dei diritti civili. Sul fronte regionale e internazionale, invece, non si riscontrano particolari cambi di direzione né si segnalano sostanziali mutamenti nei principali dossier (Gaza, questione israelo-palestinese e Libia) in cui l’Egitto gioca un fondamentale ruolo di mediazione. Da segnalare infine la crescente sintonia – più personale che politica – tra i presidenti al-Sisi e Donald Trump, nonché un ritrovato dialogo strategico tra il paese nordafricano e l’Italia sui diversi temi di cooperazione bilaterale (immigrazione, energia, Libia, lotta al terrorismo), dopo l’insediamento del nuovo esecutivo a Roma.

Quadro interno

Ancora una volta l’Egitto sarà chiamato a confrontarsi con le sfide strutturali che lo attendono: consolidamento della crescita economica, rilancio delle riforme sociali, lotta al terrorismo e, non meno importante – benché certamente impellente a causa del suo costante deterioramento –, l’avvio di un processo di salvaguardia dei diritti civili e politici nei confronti delle opposizioni politiche e della popolazione egiziana. Tra tutte, in termini di prossimità e rilevanza per la stabilizzazione anche del quadro politico e di sicurezza, la principale sfida che investirà il nuovo governo guidato dal neo premier Mostafa Madbouly (ministro dell’Edilizia nell’esecutivo uscente di Sherif Ismail) riguarderà ancora una volta il piano economico. Il governo dovrà quindi muoversi con maggiore attenzione nell’attuazione di quelle riforme necessarie a evitare una situazione di forte malcontento sociale e di pieno e definitivo rilancio del quadro di sviluppo nazionale.

Dopo gli anni di crisi post-rivoluzionari, il contesto economico vive una condizione di moderato miglioramento, confermando il trend già in corso dalla seconda metà del 2017. La politica economica dovrebbe rimanere focalizzata sulla definizione e attuazione di riforme fiscali strutturali, come previsto dall’accordo triennale condizionato firmato nel novembre 2016 dall’Egitto con il Fondo monetario internazionale, che ha permesso al paese nordafricano di usufruire di due delle tre tranche di prestiti (finora sono stati liberati 6 miliardi di dollari) per un valore complessivo di 12 miliardi di dollari1. Ad oggi, il governo ha mostrato un fermo impegno nella ristrutturazione della spesa pubblica in modo da garantire risparmi sostanziali in materia di welfare. Nello scorso luglio sono stati introdotti infatti nuovi aumenti, compresi tra il 33% e il 75%, per i prezzi del gas naturale, dell’elettricità, dell’acqua potabile e dei biglietti dei mezzi pubblici, i quali inevitabilmente hanno alimentato malumori nelle fasce più basse della popolazione. Misure, queste, che vanno ad aggiungersi ad altre quali l’Iva, l’adozione di una politica di cambio più flessibile e i tagli a una serie di beni sussidiati (carburante, cibo, zucchero). Sempre in tale ottica, l’Egitto ha adottato altre misure (tra cui una nuova legge sugli investimenti, una sui fallimenti delle società e, infine, una relativa alla regolamentazione dell’Autorità di controllo amministrativo) atte ad attrarre gli investimenti esteri e a combattere due mali della società, come l’assenza di trasparenza e l’alto tasso di corruzione. In pratica, tali misure si sono prefissate di aumentare la liquidità bancaria del paese e le riserve estere, di stabilizzare il potere di acquisto della valuta e di alleggerire gli oneri fiscali da parte dello stato.

I fattori energetici, quello turistico e l’edilizia hanno rappresentato i principali motori della ripresa egiziana. La scoperta di nuovi giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo vicino alla costa egiziana e l’avvio di Zohr dovrebbero ridurre il deficit commerciale del paese, garantendo sia l’approvvigionamento interno di energia sia grandi quantitativi esportabili di gas nella regione. Scoperto nell’agosto 2015, Zohr – ad oggi il più grande mai rinvenuto nel Mediterraneo – è diventato operativo alla fine del 2017, con una produzione iniziale di 350 milioni di piedi cubi al giorno. Si prevede che la produzione giornaliera aumenterà fino a 1 miliardo di piedi cubi entro il 2018 e per poi passare a 2,7 miliardi di piedi cubi alla fine del 2019. Anche il settore turistico ha contribuito a trainare la ripresa, a seguito del consolidamento del quadro di sicurezza soprattutto nell’Egitto continentale. Il settore ha ripreso a crescere: dopo aver toccato il minimo storico nel 2016, i ricavi del turismo sono aumentati del 123,5% nel 2017, mentre il numero di turisti (8,3 milioni) che hanno visitato l’Egitto è aumentato del 54%. A conferma del trend positivo vi sono anche i dati relativi al primo trimestre 2018, che registra il dato migliore per numero di prenotazioni rispetto allo stesso periodo di riferimento dal 2010. A contribuire a ciò, vi è sia la recente ripresa dei collegamenti aerei con la Russia – sospesi dal 2015 per via dell’attacco terroristico all’airbus russo nel Sinai centrale – sia la manifesta volontà del nuovo ministro del Turismo, Rania al-Mashat, che ha annunciato di voler lavorare alla diversificazione del flusso turistico e all’attrazione degli investimenti internazionali volti alla trasformazione e alla riqualificazione in chiave sostenibile delle coste egiziane, sia sul Mediterraneo sia sul Mar Rosso. Infine, anche l’edilizia e il settore delle costruzioni hanno funto da traino nel miglioramento del quadro macro-economico egiziano. In collaborazione con numerose società private, il governo ha dato avvio a diversi piani di edilizia pubblica a basso reddito, nonché alla costruzione di grandi opere nel paese, come ad esempio l’edificazione, ad est del Cairo, della nuova capitale amministrativa, che dovrebbe essere completata nel 20202.

Sebbene le condizioni generali dell’economia egiziana siano quindi di moderata ripresa, come sottolineato anche dal Fmi, l’Egitto continua a essere esposto al rischio di una nuova ondata di proteste sociali. Malgrado i cambiamenti positivi nel quadro macro-economico egiziano (taglio della spesa pubblica, riduzione del deficit e della disoccupazione – sebbene quella giovanile ufficiale sia del 24,8%, una cifra considerevole che tocca una forza lavoro pari a un terzo della popolazione) è tuttavia emerso un aggravamento della condizione economica delle fasce più deboli della popolazione e anche della classe media, a causa dell’aumento dell’inflazione (dall’11,4% di maggio al 14,4% di giugno 2018) e della svalutazione della moneta locale (oltre il 50% del suo valore rispetto al dollaro). Nonostante le azioni di protezione adottate per attenuare l’impatto di queste misure, molti egiziani ne hanno subito gravemente i contraccolpi. In assenza di incisive e radicali riforme è a repentaglio la stessa ricerca di stabilità dell’Egitto. Anche alla luce di ciò, deve preoccupare il grado di pericolosità che i problemi economici riflettono inevitabilmente anche sulla tenuta sociale del paese, alimentando rabbia, frustrazione e malcontento, che rischiano di favorire una nuova escalation di violenze, strumentalizzabili anche dai gruppi terroristici. Ed è su questo aspetto che al-Sisi affronta la sua più grande sfida politica nel nuovo mandato3.

Per quanto riguarda il contesto politico, esso è ancora fortemente contraddistinto da una persistente polarizzazione nel dialogo con le opposizioni politiche e gli attivisti, ancor di più dopo l’introduzione da parte del governo di nuove norme che ledono ulteriormente le libertà civili e di espressione, individuali e collettive, e l’avvio di una nuova campagna di arresti nei confronti di professori, artisti e potenziali oppositori politici come Masoum Marzouk, ex ambasciatore e sottosegretario agli Esteri, arrestato per aver lanciato dai propri canali social una proposta di referendum popolare sulle attività condotte dal presidente al-Sisi. A far discutere sono state anche l’approvazione di due nuovi dispositivi legislativi da parte del parlamento egiziano, la legge sul controllo dei media e di internet e quella sull’immunità per i militari coinvolti nella destituzione dell’ex presidente Morsi, che hanno ricevuto molte critiche dalle organizzazioni per i diritti umani, le quali sostengono che si tratti dell’ennesima iniziativa del governo volta a reprimere il dissenso interno. Nel primo caso, la nuova norma – presentata come una misura contro i crimini informatici, per ostacolare l’instabilità e combattere il terrorismo – aumenta i controlli su internet e consente alle autorità di bloccare i siti web che pubblicano e trasmettono notizie false o che incitano a violare la legge, alla violenza o all’odio mettendo a repentaglio la sicurezza nazionale e/o l’economia del paese. Sin dal 2013 e dopo il divieto di manifestazioni per via normativa in Egitto (2014), internet e i social media rimanevano uno degli ultimi spazi dove i cittadini potevano esprimere il proprio dissenso contro il regime senza incorrere in infrazioni economiche, o peggio nell’arresto preventivo. Nelle ultime settimane infatti numerosi e noti giornalisti, attivisti politici, blogger, difensori dei diritti umani o comici come Wael Abbas, Shady Abu Zaid e Amal Fathy sono stati vittime della nuova norma e prontamente arrestati dalle forze di polizia. Non meno controversa è stata anche l’approvazione della legge sull’immunità penale e civile per le alte cariche dell’esercito. Il dispositivo, che prevede ampie immunità nei confronti degli ufficiali militari coinvolti in futuri procedimenti per qualsiasi azione avvenuta all’indomani dei giorni che portarono alla destituzione dell’allora presidente Mohammed Morsi, ha rinfocolato tensioni mai sopite all’interno del paese, facendo presagire un possibile ritorno dell’Egitto alle condizioni precedenti le Primavere arabe4.

Ciononostante, il presidente e il governo continuano a godere di un ampio sostegno popolare, frutto anche dei risultati parzialmente positivi raggiunti sul fronte della sicurezza, in particolare nell’Egitto continentale. Infatti il ripristino della sicurezza e dell’ordine legale nel paese hanno garantito una certa stabilità all’Egitto, rappresentando di fatto il maggior successo del primo mandato di al-Sisi. Al di fuori del Sinai settentrionale – dove si concentra la principale forma di resilienza del terrorismo nazionale –, la violenza politica e le proteste sono state contenute, tanto che i dati mostrano una decrescita del fenomeno, con un calo sostanziale degli attacchi. Il numero di attacchi violenti al di fuori del Sinai settentrionale è sceso da 671 nel 2015 a 131 nel 2016. Inoltre, ci sono stati solo tre attacchi al di fuori del governatorato del Nord Sinai nel primo trimestre del 2017, rispetto ai 75 attacchi durante lo stesso periodo nel 2016 e 261 durante il primo trimestre del 20155. Al miglioramento della situazione ha contribuito anche l’avvio dell’ampia offensiva anti-terrorismo, lanciata nel febbraio 2018 in tutto il paese da al-Sisi in persona, che vede una forte concentrazione di forze armate proprio nel Sinai settentrionale, nel tentativo di ripristinare l’autorità centrale sul territorio, strappandolo ai jihadisti dello Stato islamico che hanno forti radici nella regione e hanno sfruttato lo storico risentimento anti-governativo per attaccare le istituzioni civili e militari egiziane nell’area. Sebbene le operazioni militari stiano riducendo il numero di attacchi e migliorando almeno parzialmente la reputazione dell’Egitto come destinazione turistica e meta di attrazione di investimenti esteri, il Sinai settentrionale si trova a vivere una nuova stagione di precarie condizioni umanitarie e di insufficiente stabilizzazione. Al fine di migliorare le condizioni di vita della popolazione locale e di contrastare il fenomeno terroristico lo scorso agosto il governo egiziano ha annunciato lo stanziamento per i prossimi quattro anni di un pacchetto di 15,4 miliardi di dollari per progetti di sviluppo nella penisola del Sinai.

Relazioni esterne

Anche nel secondo mandato di al-Sisi, le priorità del governo egiziano rimarranno sostanzialmente invariate e incentrate sul mantenimento di legami cordiali con Stati Uniti e Unione europea, cercando al contempo di rinforzare le relazioni strategiche con Russia e Cina, nonché a massimizzare – soprattutto in chiave economico-energetica – il sostegno fornito in questi anni dagli stati arabi del Golfo. Fin dalla destituzione di Morsi nel 2013, le petro-monarchie guidate dall’Arabia Saudita hanno rimpinguato con oltre 30 miliardi di dollari, gran parte dei quali sotto forma di donazioni di carburante e di prestiti bancari, le esanimi casse egiziane. In tal senso l’Egitto continuerà il processo di allineamento nei confronti dell’Arabia Saudita, mantenendo a livello regionale una stretta cooperazione politica e di sicurezza sui principali dossier mediorientali. In questo caso, Cairo e Riyadh saranno allineate con un approccio duro nei confronti di Qatar e Iran, mentre manterranno diversità di vedute – anche per evidenti retaggi storico-culturali – in merito al conflitto israelo-palestinese e alla questione di Gaza, nei quali l’Egitto ha mostrato una grande reattività giocando più partite a diversi tavoli contemporaneamente. Al Cairo, infatti, si tengono da inizio agosto una serie di colloqui multilaterali gestiti dall’intelligence militare egiziana per mandato diretto del presidente al-Sisi. Mentre i rappresentanti egiziani dialogano con Hamas e l’esercito israeliano nel tentativo di stipulare una tregua di breve periodo che appiani le crescenti tensioni sorte nei mesi scorsi lungo i confini della Striscia di Gaza, gli stessi discutono con membri di Fatah e Hamas in Cisgiordania per ridare fiato all’accordo inter-palestinese – mai entrato in vigore – siglato tra l’agosto e l’ottobre del 2017. L’intesa prevedeva la formazione di un governo di unità nazionale, l’indizione di nuove elezioni presidenziali e legislative in entrambi i territori e garantire uno storno di fondi per la ricostruzione di Gaza. Parallelamente i servizi di sicurezza egiziani discutevano con il Coordinatore speciale dell’Onu per il Medio Oriente, il bulgaro Nickolay Mladenov, e i mandatari politici israeliani (la stampa israeliana e il ministro delle Finanze israeliano Moshe Kahlon hanno apertamente parlato di incontri segreti tenuti al Cairo tra Netanyahu e lo stesso al-Sisi) della questione di Gaza all’interno del contesto del processo di pace israelo-palestinese. I tre negoziati, quindi, mirerebbero a garantire una stabilizzazione e una ripresa dell’intera Striscia di Gaza, devastata dall’ultimo conflitto del 2014, attraverso una riapertura più prolungata del valico di Erez con Israele e una più stabile di Rafah con l’Egitto. Queste azioni fungerebbero da apripista verso un piano ambizioso – gestito dall’Egitto e con il coinvolgimento diretto di Emirati Arabi Uniti e Qatar – di donazioni internazionali e di investimenti infrastrutturali, come la creazione di nuovi alloggi, di un porto e di un aeroporto da costruire in territorio egiziano – presumibilmente nel Nord del Sinai – sotto il controllo del Cairo, interessato più che mai a spezzare la saldatura di violenze tra i due lati della frontiera e a stabilizzare l’intera penisola sinaitica, che potrebbe fungere da importante chiave di volta anche nei futuri discorsi relativi al cosiddetto “accordo del secolo” mediato da Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita (si veda Contesto, par. 1.2).

A tal proposito l’attivismo egiziano mirato a garantire una soluzione per lo più politica alle questioni di sicurezza vicino-orientali ha trovato un grande apprezzamento anche da parte della Casa Bianca. Lo scorso 25 luglio, infatti, l’amministrazione Trump ha sbloccato 195 milioni di dollari in aiuti militari all’Egitto, che nell’agosto 2017 l’allora segretario di Stato americano, Rex Tillerson, aveva congelato a causa delle preoccupazioni per la situazione dei diritti umani nel paese nordafricano, ma soprattutto per le relazioni pericolose tra quest’ultimo e la Corea del Nord. Alla base della scelta di Washington, vi sarebbe la forte considerazione del presidente Trump nei confronti del suo omologo egiziano al-Sisi, nonché la scelta consapevole da parte dell’amministrazione americana di voler preservare, migliorare e rafforzare la cooperazione in materia di sicurezza con l’Egitto, con riguardo particolare alla lotta al terrorismo islamista, in un’ottica di salvaguardia dell’interesse nazionale statunitense. Inoltre, la decisione di sbloccare i fondi americani nei confronti dell’Egitto si inserisce nell’attuale direttrice di politica estera americana condotta dal neo segretario di Stato, Mike Pompeo, e dal consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, nel sostenere la creazione di un blocco politico-militare coeso di paesi arabo-sunniti, con l’ausilio interessato di Israele, nel contenimento dell’estremismo violento islamista e, in particolar modo, del crescente peso politico dell’Iran nella regione.

Al pari di un rinnovato slancio bilaterale con gli Stati Uniti è da segnalare anche il ritorno a un dialogo strategico tra le istituzioni egiziane e quelle italiane, dopo le visite ufficiali al Cairo dei ministri dell’Interno, degli Esteri e dello Sviluppo economico, rispettivamente Matteo Salvini (18 luglio), Enzo Moavero Milanesi (5 agosto) e Luigi Di Maio (28 agosto), nonché del presidente del Senato, Roberto Fico (16 settembre). Le visite hanno visto il diretto coinvolgimento del presidente al-Sisi con il quale si è toccato inevitabilmente l’irrisolto dossier Regeni. Le parti hanno rilasciato comunicati ufficiali in cui si auspicava la volontà e il grande desiderio di arrivare a risultati definitivi delle indagini in modo da rilanciare in pieno la storica e strategica cooperazione bilaterale. Infatti durante gli incontri si è discusso anche di altre rilevanti questioni di politica estera e di sicurezza che riguardano da vicino i due paesi, come l’integrità e la stabilizzazione della Libia, la lotta al terrorismo internazionale e ai fenomeni criminali transnazionali e soprattutto di gestione dei flussi migratori clandestini attraverso il Mediterraneo. Seppur ancora lontane da un loro pieno recupero, le visite dei ministri italiani a così stretto giro e l’attualità dell’agenda internazionale sembrerebbero indicare una volontà di superamento delle tensioni passate verso un rilancio delle relazioni italo-egiziane, nonostante rimangano ancora aperte le dispute sul caso Regeni. A favorire tale approccio sono in particolare i notevoli interessi che legano i due paesi. Dal punto di vista economico-commerciale, l’Italia è il 2° partner commerciale dell’Egitto in Europa e il 4° a livello mondiale, con un interscambio pari a 5,49 miliardi di dollari. L’Italia è anche il principale importatore di beni egiziani (pari a 1,8 miliardi di dollari nel 2016-2017). Inoltre più di 1000 società italiane operano in Egitto in diversi settori, con investimenti complessivi per circa 9 miliardi di dollari6. Tra queste anche Eni, che grazie alle importanti scoperte di idrocarburi effettuate nelle acque territoriali egiziane (nel 2015 la società italiana ha scoperto Zohr e nel 2018 un pozzo potenzialmente più ricco noto come Noor) e nel Deserto Occidentale (nel blocco di East Obayed), ha elevato lo status dell’Italia a partner energetico del paese egiziano, anche in virtù del convinto sostegno di Roma al progetto di comunitarizzazione transregionale dell’energia, facendo dell’Egitto un hub regionale al pari di Israele e Cipro – detentori anch’essi di ingenti quantitativi di gas e petrolio sottomarino. Ancor di più pesano sulla relazione bilaterale gli interessi politici che legano i due paesi, come la Libia, le migrazioni clandestine e il contrabbando in alto mare, nei quali l’Italia è fortemente impegnata insieme al paese nordafricano.

Infine, ma non per questo meno rilevanti sono le relazioni dell’Egitto con l’Etiopia, che stanno procedendo rapidamente verso una moderata distensione dopo le forti tensioni dei mesi scorsi sorte a seguito dell’avvio dei lavori per la diga del Millennio sul Nilo Azzurro da parte di Addis Abeba. Una volta terminata, la diga potrebbe limitare gravemente il flusso delle acque verso l’Egitto, dove si segnala già forte scarsità di acqua anche a causa di fattori ambientali relativi alla siccità che ha colpito l’Africa orientale. Pertanto, non è improbabile che un acuirsi delle tensioni tra Egitto ed Etiopia possa intaccare anche le relazioni con gli altri paesi rivieraschi africani, come ad esempio il Sudan, che negli ultimi tempi hanno appoggiato politicamente l’iniziativa di Addis Abeba.

 

1 In via ufficiosa molti membri del governo egiziano hanno avanzato l’ipotesi di chiedere un prolungamento del programma di aiuti al Fmi una volta scaduto quello attuale nel 2019, a causa del lungo lavoro che ancora aspetta l’esecutivo egiziano nel definire un processo economico riformato e sostenibile. In sostanza le istituzioni politiche ed economiche egiziane chiederebbero un aggiornamento del prestito a condizioni agevolate per portare avanti il programma di riforme nell’istruzione e nella sanità come segnalato più volte dallo stesso Fmi.

2 “Egypt – Country Report”, Report by Economist Intelligence Unit (EIU), pp. 4-6.

3 C. Teevan, “Is Sisi hindering Egypt’s economic progress?”, Middle East Eye, 20 agosto 2018.

4 Per maggiori approfondimenti sulle nuove leggi si vedano: “Egypt president approves law tightening internet controls”, The Times of Israel, 19 agosto 2018; “Egypt passes law that could shield top military brass from prosecution”, Reuters, 16 luglio 2018.

5 “Egypt Security Watch – Quarterly Report: January-March 2017”, Report by The Tahrir Institute for Middle East Policy (TIMEP), marzo 2017.

6 M. Magy, “Cairo, Rome carefully repairing relations 2 years after researcher’s murder”, al-Monitor, 9 agosto 2018.

 

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