28 Set 2018

Focus paese: Tunisia

Focus Mediterraneo Allargato n.8

La Tunisia continua a vivere un periodo costituito, da un lato, da innegabili progressi dal punto di vista dell’evoluzione politica e istituzionale legata all’avvio di un processo di democratizzazione dopo la caduta del regime di Ben Ali nel 2011 e, dall’altro, da oggettive difficoltà a modernizzare e far ripartire il tessuto economico del paese. Ciò ha generato, nel corso degli ultimi sette anni, un sentimento di disillusione da parte dei cittadini e di malcontento sociale, che ha trovato il proprio sfogo in diverse forme di opposizione. Non sono rare, infatti, le manifestazioni di dissenso, spesso sfociate anche in scontri violenti, mentre desta molta più preoccupazione il processo di radicalizzazione di numerosi giovani, che mina lo stesso processo di transizione politica, sottoponendo la Tunisia al costante pericolo di attentati terroristici. Le difficoltà che i diversi governi che si sono succeduti alla guida del paese dopo il 2011 hanno dovuto affrontare nascono, prima di tutto, dalla stessa composizione degli esecutivi: in assenza di una chiara maggioranza di una forza politica, la Tunisia continua ad essere governata da esecutivi di coalizione che hanno spesso vedute diametralmente opposte su molti temi, limitandone così l’efficacia. In secondo luogo, all’interno degli apparati burocratici sono diverse le spinte reazionarie che si oppongono a drastiche riforme (soprattutto nei settori dell’economia e della sicurezza) che potrebbero contribuire alla modernizzazione e alla completa democratizzazione della Tunisia. Per effetto di questi due fattori, continuano a pesare sulla ripresa socio-economica del paese alcune deficienze strutturali, come l’ampio disequilibrio regionale tra l’est e l’ovest, il più alto tasso di disoccupazione di tutta la regione nordafricana e un livello di corruzione ancora molto alto, che limita i tentativi di riforma.

Il deterioramento delle condizioni economiche sta portando nuovamente migliaia di tunisini a emigrare verso l’Europa, soprattutto seguendo la rotta verso le coste italiane. La ripresa dei flussi migratori verso l’Italia e il fenomeno dell’immigrazione illegale sono stati posti in cima all’agenda politica dell’attuale governo, che fatica a trovare soluzioni di lungo termine alle problematiche del paese. Nel mese di maggio si sono tenute le prime elezioni locali dalla caduta di Ben Ali, che hanno fatto registrare un bassissimo tasso di affluenza al voto, ennesimo segnale della distanza tra cittadini e mondo della politica. I prossimi mesi saranno cruciali per stabilire se e in che modo la Tunisia sarà in grado di imprimere una svolta definitiva al suo processo di transizione politica ed economica. Il 2019 sarà l’anno delle elezioni politiche, mentre sul fronte internazionale il paese dovrà continuare a mantenere saldi i rapporti con i vicini – anche nella speranza di una soluzione politica al conflitto che interessa la confinante Libia – e dovrà riuscire ad attrarre investimenti e attenzioni politiche da parte dei partner europei in primis, il cui sostegno è di fondamentale importanza per la continuazione del processo di democratizzazione.

Quadro interno

Il settore politico-istituzionale è quello che è stato maggiormente influenzato dai cambiamenti occorsi al sistema paese dopo la caduta di Ben Ali nel 2011 e l’avvio di un processo di democratizzazione. Nel corso degli ultimi sette anni, la Tunisia si è dotata di una nuova Costituzione, ha visto la nascita di nuovi partiti politici e lo svolgimento di più tornate di elezioni che, per la prima volta nella storia repubblicana, sono state contrassegnate dal pluralismo politico e sono state definite libere da tutti gli osservatori internazionali. Tuttavia, dal punto di vista dell’efficacia di governo, il paese risente di una situazione politica molto fragile, derivante dalla mancanza di un blocco o di un partito politico di maggioranza in grado di governare da solo. Le due maggiori forze politiche, il partito di ispirazione islamica Ennahda e il blocco secolare Nida Tounes, sono di gran lunga i due partiti più influenti sulla scena politica, ma in assenza di una maggioranza assoluta si trovano nella condizione di dover governare in coalizione. Vista la differenza che esiste tra le due formazioni politiche, è comprensibile come l’azione governativa ne risenta in termini di efficacia e messa in atto delle riforme più importanti per il paese. Inoltre, i fragili equilibri politici hanno fatto sì che, dal 2014 (anno delle ultime elezioni e della formazione dell’attuale coalizione di governo) ad oggi, si siano susseguiti due primi ministri e siano stati operati diversi rimpasti di governo, fattore che mina la possibilità di pianificare programmi di lungo termine. Le prossime elezioni parlamentari si terranno nel corso del 2019 e, dall’esito delle urne, si capirà se la Tunisia riuscirà a dotarsi di un governo più stabile e coeso, o se continuerà l’attuale situazione di incertezza politica, con possibili ripercussioni negative anche sull’economia.

Un termometro di quanto potrà accadere sono state le elezioni per il rinnovo delle istituzioni locali, che si sono tenute lo scorso 6 maggio. Si è trattato delle prime elezioni amministrative dalla caduta di Ben Ali e la loro portata era ritenuta molto importante, sia per testare l’opinione pubblica rispetto all’operato degli attori politici sia per la questione della decentralizzazione (la cui riforma è in discussione al parlamento), che mira a rendere le istituzioni locali più attive nelle scelte politiche che ricadono sui territori, dando loro maggiore autonomia decisionale. Si è votato per il rinnovo di 350 consigli municipali e, complessivamente, si sono candidate 2.173 liste e poco più di 57.000 candidati. Un primo dato emerso con forza è stato quello della bassa affluenza al voto. Su base nazionale, la percentuale di aventi diritto al voto che si sono effettivamente recati alle urne è stata soltanto del 35%.

Ciò non fa altro che confermare quanto già percepito in maniera sempre più evidente negli ultimi anni, vale a dire uno scollamento molto forte tra la popolazione e il mondo della politica. Il disinteresse dei cittadini nei confronti dei processi politici, al punto di scegliere di non votare in un contesto di democratizzazione – per cui l’aspettativa sarebbe che, dopo decenni di autoritarismo, i cittadini vogliano partecipare in maniera più attiva e diretta – è la testimonianza più chiara della disillusione che la società tunisina sta vivendo nei confronti del processo di transizione politica. Ciò è dovuto sicuramente alla mancanza di miglioramenti tangibili nella vita quotidiana, ma anche all’incapacità dei partiti politici di farsi portatori di messaggi e processi di policy innovativi. Al contrario, sia Ennahda che Nida Tounes vengono percepiti da gran parte della popolazione come due riproposizioni dei vecchi attori politici, con nomi e volti nuovi. A conferma di ciò, è interessante il dato dei risultati delle elezioni amministrative di maggio, che ha visto su base nazionale una affermazione dei partiti indipendenti, nei confronti di quelli tradizionali. Questi hanno raccolto più del 30% dei voti, mentre Ennahda ha ottenuto circa il 28% dei consensi e Nida Tounes poco più del 20%. Ciò invertirebbe comunque i rapporti di forza tra questi due ultimi partiti, in quanto alle elezioni del 2014 era stato Nida Tounes a ottenere il numero più alto di voti, proprio a discapito di Ennahda. Quest’ultimo ha conquistato le municipalità della maggiori città tunisine, Tunisi e Sfax, oltre ad altri centri importanti come Bizerte e Kairouan, mentre l’unico centro urbano di una certa rilevanza che ha visto l’affermazione di Nida Tounes è stato Sousse. In particolare, a Tunisi è stata eletta alla carica di sindaco per la prima volta una donna, Souad Abderrahim, capolista di Ennahda.

Le difficoltà che il paese incontra nel far ripartire l’economia sono alla base della situazione di fragilità che la Tunisia continua a vivere, nonostante la transizione politica vada avanti. A preoccupare maggiormente sono l’altissimo livello di disoccupazione e il debito pubblico, oltre che le forti disparità regionali in termini di investimenti, sviluppo e accesso ai servizi di base. Per ciò che concerne la disoccupazione, la Tunisia registra ancora un tasso superiore al 15%, che ne fa il paese con il più alto tasso di disoccupazione di tutta l’area nordafricana. Tale dato è ancora più allarmante per ciò che concerne la disoccupazione giovanile, al di sopra del 35%, e soprattutto quella dei laureati. La difficoltà di questi ultimi a entrare nel mondo del lavoro testimonia un livello del mercato del lavoro inadeguato rispetto al grado di istruzione dei giovani tunisini. In altre parole, si potrebbe affermare che la disoccupazione in Tunisia non sia tanto (o non solamente) caratterizzata da uno squilibrio quantitativo tra domanda e offerta di lavoro, quanto piuttosto qualitativo: a fronte di migliaia di giovani in età lavorativa altamente istruiti, il sistema produttivo del paese è ancora troppo dipendente dai settori tradizionali. Ciò fa sì che l’alto livello di istruzione non trovi riscontri adeguati nel mercato del lavoro. D’altro canto, l’azione del governo in termini di liberalizzazioni e riforme del mercato del lavoro e dei settori strategici dell’economia nazionale è spesso contrastata dalle forze sindacali, soprattutto l’Utgg (Union Générale Tunisienne du Travail, Unione generale tunisina del lavoro), con una fortissima presa sulla popolazione. Non mancano anche fattori congiunturali a determinare la difficile situazione dell’economia del paese, il cui Pil è cresciuto nell’ultimo anno di circa l’1,9% a dispetto degli obiettivi prefissati di almeno il 3%. Tra questi, si annoverano anche gli effetti dei cambiamenti climatici, per cui nel 2018 la produttività agricola – il settore primario è ancora importante per il paese, contando per circa il 10% del Pil – è stata la più bassa degli ultimi anni, contribuendo allo stallo macroeconomico del paese.

La situazione è resa ancora più difficile dall’ingente debito pubblico tunisino, che dal 2011 ad oggi è quasi raddoppiato, passando da poco più del 35% rispetto al Pil, all’attuale 70%. Anche per far fronte a questa emergenza, il governo ha chiesto a varie riprese l’aiuto del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, che hanno concesso prestiti complessivi per più di 5 miliardi di dollari, ma che hanno vincolato tali concessioni a un programma di revisione delle spese del governo. È per questo motivo che Tunisi sta studiando misure per poter tagliare i sussidi su alcuni prodotti come olio, benzina e farina, e di tagliare i salari pubblici, per far sì che arrivino a pesare per il 12,5% del Pil, contro l’attuale 14%. D’altro canto, tali misure di austerity incontrano la forte opposizione di ampie fette di società e rischiano di provocare nuovi scontri sociali, come accaduto lo scorso gennaio dopo l’approvazione della finanziaria per l’anno 2018, che ha provocato rivolte diffuse in tutto il paese. A ciò si aggiunge la svalutazione del dinaro tunisino, che solo nel corso dell’ultimo anno e mezzo si è deprezzato nei confronti dell’euro di circa il 35%, causando a sua volta un aumento del prezzo dei beni di prima necessità del 15% e mettendo a dura prova la sostenibilità di migliaia di famiglie.

Tutti questi fenomeni sono alla base della ripresa dei flussi migratori dalla Tunisia verso l’Italia. Secondo le cifre fornite dal ministero degli Interni italiano, soltanto nei primi nove mesi del 2018 sono arrivati in Italia più di 4.000 tunisini, diventati il primo gruppo nazionale dei migranti giunti sulle coste italiane negli ultimi 12 mesi. La nuova ondata è dovuta proprio alle difficoltà socio-economiche che il paese sta vivendo, in maniera particolare nelle regioni interne e occidentali, dove i livelli di sviluppo sono decisamente minori di quelli che si registrano nelle aree costiere dell’Est. Proprio nelle aree più depresse, soprattutto ai confini con Algeria da un lato e Libia dall’altro, si è sviluppata una rete di economia informale e sommersa, dedita in particolare al contrabbando di diverse merci, che costituisce una preoccupazione ulteriore per le autorità. Infatti, da un lato, tale mercato nero dell’economia priva lo stato di risorse e costituisce una forma evidente di evasione fiscale, dall’altro è direttamente connessa anche con la questione della sicurezza. Infatti, vi sono delle correlazioni tra traffici illeciti e criminalità organizzata (in alcuni casi anche gruppi jihadisti), che rappresenta un pericolo per la stabilità stessa del paese e contro cui il governo sta tentando da anni di combattere, senza però riuscire a fornire delle concrete alternative a quella parte di popolazione che continua a vivere degli introiti derivanti dall’economia informale, in assenza di opportunità lavorative nel sistema formale.

Relazioni esterne

Le priorità della politica estera tunisina sono legate alle problematiche di sicurezza ed economiche che il paese affronta. Negli ultimi anni il governo di Tunisi sta stringendo rapporti sempre più forti con l’Algeria, soprattutto nell’ambito dell’antiterrorismo. Vi sono diversi progetti di cooperazione in materia di sicurezza, soprattutto alla luce del fatto che entrambi i paesi percepiscono come una minaccia comune la presenza e l’attività di cellule legate al gruppo jihadista al-Qaida nel Maghreb Islamico (Aqim) nella zona montuosa al confine tra i due paesi. Ovviamente, un’altra priorità tunisina è la stabilizzazione del confine con la Libia, che durante gli ultimi due anni e soprattutto a seguito degli attentati terroristici che hanno colpito Tunisi e Sousse nel 2015, è stato a più riprese chiuso. Tunisi ospita la rappresentanza dell’Unione europea che si occupa della Libia ed è spesso usata come base da altre organizzazioni per le trattative di stabilizzazione della Libia, proprio in virtù della sua vicinanza geografica al paese.

Le relazioni con i paesi europei e con gli Stati Uniti sono improntate sulla cooperazione in materia di sicurezza e commercio. In diversi ambiti Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Gran Bretagna e Stati Uniti hanno programmi di cooperazione con la Tunisia per lo sviluppo di sistemi di sicurezza alle frontiere, del pattugliamento dei confini marittimi, oltre che dell’ammodernamento degli equipaggiamenti delle forze armate. Dal punto di vista delle relazioni economiche, invece, l’Unione europea è in assoluto il partner più importante per la Tunisia, il cui interscambio commerciale è per il 65% proprio con i paesi dell’UE, in primo luogo Francia e Italia. Il paese sta negoziando un accordo di libero commercio con l’Unione europea e quest’ultima rimane un partner fondamentale per lo sviluppo della Tunisia e per le politiche di sostegno del processo di transizione politica del paese.

 

 

Pubblicazioni

Vedi tutti

Eventi correlati

Calendario eventi
Not logged in
x