19 Feb 2019

Il difficile equilibrio tra Israele e Russia in Siria

Alla fine ce l’hanno fatta. Dopo tanti rinvii, una serie di telefonate dai toni più o meno cordiali e un fugace incontro a margine della Conferenza sulla Pace di Parigi del novembre scorso, il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e il presidente russo, Vladimir Putin, si incontreranno il prossimo 21 febbraio a Mosca. Si tratta […]

Alla fine ce l’hanno fatta. Dopo tanti rinvii, una serie di telefonate dai toni più o meno cordiali e un fugace incontro a margine della Conferenza sulla Pace di Parigi del novembre scorso, il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, e il presidente russo, Vladimir Putin, si incontreranno il prossimo 21 febbraio a Mosca. Si tratta del primo incontro formale tra i due leader dopo l’incidente dello scorso 17 settembre, quando la difesa aerea siriana attaccò l’Ilyushin Il-20, un bombardiere russo di ritorno alla base aerea di Hmeymim da una missione di perlustrazione delle coste del Mediterraneo. Il mezzo russo era stato colpito per errore a causa dell’ingresso nello spazio aereo siriano di quattro F-16 israeliani che avevano attaccato alcune strutture militari del regime – più verosimilmente dei depositi per armamenti di Hezbollah – a Latakia. L’incidente provocò 15 morti tra le fila russe, ma soprattutto causò un brusco irrigidimento nelle relazioni tra Tel Aviv e Mosca, che in tempi recenti avevano invece costituito un tassello strategico nelle dinamiche in costante evoluzione del Medio Oriente contemporaneo.

Come annunciato dagli uffici stampa di Mosca e Tel Aviv, i colloqui al Cremlino saranno catalizzati principalmente sulla Siria e sulle sfide della futura fase post-conflitto, soprattutto allorquando lo Stato islamico sarà sconfitto anche nella sua ultima enclave siriana, nei pressi di Deir az-Zor. Inoltre, sempre secondo i comunicati ufficiali, Netanyahu e Putin discuteranno di questioni regionali di massima importanza, nonché di trovare nuove chiavi operative per migliorare il coordinamento tra gli apparati militari di Russia e Israele in Siria. I due paesi avevano istituito nel settembre del 2015 un meccanismo di coordinamento atto perlopiù a prevenire incidenti di percorso come quello appunto occorso all’aereo russo nel settembre 2018.

Benché si scriva Siria, in realtà l’incontro tratterà quasi esclusivamente di Iran ed Hezbollah, e in particolare di tutti i tentativi da parte di Teheran e del suo alleato sciita libanese di stabilire una presenza militare permanente in Siria che possa minacciare la sicurezza nazionale israeliana. Da tempo infatti il coinvolgimento crescente di Israele nel paese è stato giustificato dal costante timore di poter subire attacchi a sorpresa promossi dalle milizie sciite presenti lungo il confine siro-libanese in direzione Golan. Al di là della priorità dei temi e delle questioni discusse – che non rappresentano alcun fattore di novità all’interno degli equilibri del conflitto – quel che emerge di nuovo è tuttavia l’attitudine con cui Israele si approccia alla crisi siriana. In particolare, il tentativo di re-engagement di Assad da parte della comunità araba e musulmana ha preoccupato Israele per quel che la Siria e il suo regime rappresentano ai loro occhi, ossia un cliente iraniano con poca autonomia.

In passato, nella maggior parte delle situazioni riguardanti gli aspetti cardine della sicurezza nazionale, Israele aveva scelto di conservare nei limiti del possibile un certo status quo regionale anche dopo le Primavere arabe del 2011, preferendo una certa inazione piuttosto che adottare un approccio proattivo, che avrebbe potuto anche favorire un migliore perseguimento dei suoi obiettivi strategici nazionali. Anche la Siria non ha fatto eccezioni, ma dal gennaio 2013 questa situazione ha conosciuto una prima svolta con il bombardamento di un deposito di materiali militari e chimici nella periferia di Damasco. Il problema in quel dato momento storico veniva riconosciuto in Hezbollah e nel timore che il movimento sciita libanese fosse equipaggiato dall’Iran per favorire un attacco contro Israele dal suo fronte settentrionale. Oggi l’obiettivo dichiarato è di impedire all’Iran di consolidare il suo potere e la sua influenza in Siria, continuando ad equipaggiare Hezbollah in funzione di deterrenza armata.

Data la consapevolezza israeliana che gli equilibri militari e politici stanno cambiando in Siria, il nodo centrale di tale strategia consiste nell’interpretare in maniera adeguata una politica di escalation controllata nel tempo e nello spazio. Parimenti, Tel Aviv dovrà stare attenta a non minare alle fondamenta quella convergenza strategica instaurata con Mosca sulla Siria, utile a garantirle un sicuro controllo delle frontiere settentrionali. Uno scenario che potrebbe vedere nel prossimo futuro il baricentro – quantomeno militare – israeliano spostarsi verso il Cremlino, anche per effetto delle non scelte di Donald Trump in Siria e nel Medio Oriente in generale. La dissonanza di Obama e Trump nel voler accelerare il ritiro statunitense dalla regione, favorendo al contempo la nascita di un meccanismo di auto-difesa dalla minaccia iraniana a guida saudita e appoggiato dallo stesso Israele, ha creato un senso di sfiducia tra gli alleati mediorientali della Casa Bianca – tra cui gli stessi israeliani –, che ha incoraggiato le iniziative russo-iraniane nel Medio Oriente post-americano. In questo senso la svolta verso Mosca di Tel Aviv è emblematica della visione di deterrenza permanente che Netanyahu vorrebbe applicare nei confronti della minaccia portata dall’Iran, dalla Siria e dal Libano e che vede nel Cremlino una sorta di protettore anche se di parte della sicurezza israeliana

Ecco perché per Netanyahu questo vertice con Putin ha molta importanza. Dal suo esito potranno esserci riflessi positivi anche per il futuro del nuovo governo (che sarà comunque trainato da una coalizione di destra nazionalista). Allo stesso tempo, questa triangolazione tra giocatori rivali come Israele-Russia-Stati Uniti, rischia di lasciare Israele stritolato tra gli interessi contrapposti delle potenze internazionali in gioco. Un azzardo nel quale, per Israele, potrebbe emergere un doppio dilemma, tattico e strategico: quanto potersi fidare del vincolo russo di prevenire le minacce contro la sicurezza di Tel Aviv alla luce dell’alleanza esistente tra Mosca e Teheran? Quali margini di manovra potrà conservare Israele dopo l’incidente diplomatico del settembre scorso con la Russia?

Fiducia e libertà di manovra sono stati, per eccellenza, i cardini su cui Israele ha potuto giostrare il suo rapporto storico con gli Stati Uniti. Pur pensando erroneamente di poter replicare lo stesso schema con Mosca, il modello non ha funzionato ed è stato smentito dalla realtà sul campo, che ha mostrato una presenza importante dell’Iran in Siria e una Russia equilibrista nel suo ruolo di arbitro subentrante agli Usa nel disordine mediorientale. Temi e questioni che nel breve-medio periodo potranno avere ancora dei riflessi rilevanti nelle dinamiche siriane, tanto da non poter escludere totalmente il rischio di un nuovo incidente in territorio siriano tra israeliani e russi. Nell’attesa che i troppi nodi vengano al pettine, Netanyahu e Putin dovranno darsi da fare a riconfigurare attentamente e in maniera bilanciata il rapporto bilaterale finora instaurato per non incorrere nell’ennesima escalation fuori controllo di tensioni mediorientali.

 

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