14 Set 2018

Il foreign fighter italiano catturato dai curdi: un profilo

Giovedì 13 settembre le YPG (in curdo sigla di Unità di Protezione Popolare), le forze a maggioranza curda del nord della Siria, nemiche del cosiddetto Stato Islamico (Islamic State, IS), hanno annunciato di aver catturato un membro italiano del gruppo di Abu Bakr al-Baghdadi in fuga verso la Turchia, nel corso di un’operazione speciale avvenuta […]

Giovedì 13 settembre le YPG (in curdo sigla di Unità di Protezione Popolare), le forze a maggioranza curda del nord della Siria, nemiche del cosiddetto Stato Islamico (Islamic State, IS), hanno annunciato di aver catturato un membro italiano del gruppo di Abu Bakr al-Baghdadi in fuga verso la Turchia, nel corso di un’operazione speciale avvenuta il 27 agosto.

Nel comunicato ufficiale pubblicato dalla milizia, il giovane, chiamato “Semir Bogana”, viene presentato come un esponente di spicco dell’IS, responsabile del trasferimento di armi a favore della propria organizzazione (secondo le YPG, per conto dello stato turco) e delle attività dei foreign fighters jihadisti nel Rojava, l’area della Siria settentrionale controllata proprio dai curdi. Dopo la cattura, l’uomo avrebbe rivelato numerosi dettagli sull’organizzazione di appartenenza.

Nelle ore successive le YPG hanno anche diffuso un breve video (meno di un minuto) in cui Bogana, apparentemente in buone condizioni e mostrando un’ottima conoscenza dell’italiano, conferma nome, provenienza e appartenenza all’IS e dichiara che dopo “due – tre anni” in Siria ha deciso di prendere moglie e figlie per raggiungere la Turchia. Il piano dell’uomo, interrotto dall’intervento delle YPG, sarebbe stato quello di recarsi presso un consolato italiano per cercare di ritornare nel nostro paese.

Gli elementi emersi in merito a Bogana coincidono con quelli relativi a uno dei 125 profili di foreign fighters legati all’Italia che l’Osservatorio sulla Radicalizzazione e il Terrorismo Internazionale dell’ISPI ha analizzato in questi mesi, sulla base di informazioni originali fornite in esclusiva dal Ministero dell’Interno.[1]

Secondo il nostro database, l’uomo è nato nel 1994 in provincia di Brescia, da almeno un genitore immigrato in Italia. Nel 2012 ha acquisito la cittadinanza italiana, in aggiunta a quella marocchina. Il soggetto rientra così nella minoranza di foreign fighters nati nel nostro paese (solo 11 su 125) e con nazionalità italiana (24 su 125; di cui 10 con doppio passaporto).

Nel 2010 il giovane si è trasferito a Bielefeld, in Germania. Qui ha iniziato il suo percorso di radicalizzazione, allacciando relazioni con soggetti salafiti e radicali islamisti. È importante notare che, sulla base delle informazioni disponibili, in Italia non aveva fatto parte di reti estremistiche né aveva avuto contatti con altri foreign fighters. L’uomo è riconducibile a quel drappello, non ampio, ma meritevole di attenzione, di “espatriati” jihadisti che si sono radicalizzati nell’ambito di esperienze maturate fuori dai confini nazionali;[2] si pensi, d’altra parte, che dei 14 foreign fighters sui 125 studiati con cittadinanza soltanto italiana, la maggioranza (8) era appunto residente all’estero.

Non risulta che il giovane avesse un lavoro, ma le sue condizioni di vita non apparivano disagiate. Non ci sono elementi per sostenere che presentasse disturbi psicologici. Non aveva avuto problemi con la giustizia (prima di partire per la Siria): il fatto non è trascurabile, se si considera che il 44% dei foreign fighters esaminati aveva precedenti penali, il 22% aveva un’esperienza in carcere e il 19% aveva fatto uso di sostanze stupefacenti.

Alla fine il giovane, non ancora ventenne, dalla Germania si è imbarcato su un volo per la Turchia, e da lì ha raggiunto la Siria nel novembre 2013, prima che lo Stato Islamico, con la rapida conquista di Mosul e la proclamazione del sedicente Califfato nel giugno del 2014, diventasse noto in tutto il mondo.

Molti aspetti relativi alla vicenda di Bogana devono ancora essere chiariti, dalle responsabilità effettivamente assunte all’interno dello Stato Islamico ai reali propositi durante la fuga dalla Siria.

Di certo questa vicenda evidenzia nuovamente la rilevanza del problema dei foreign fighters di ritorno (returnees), tanto più dopo il recente crollo del Califfato in Iraq e Siria. Secondo stime recenti, negli ultimi anni soltanto dall’Europa sono partite circa 5.000 persone, comprese donne e bambini; di queste circa 1.500 avrebbero già fatto ritorno a casa,[3] in molti casi presumibilmente senza aver abbandonato la causa jihadista.

È vero che il contingente italiano appare di dimensioni piuttosto limitate (135 combattenti, secondo l’ultimo conteggio ufficiale),[4] rispetto a quelli di altri Paesi europei, come la Francia (circa 1.900), il Regno Unito e la Germania (circa 1000 ciascuno).[5] Nondimeno, casi come quelli di Bogana, considerato pure il ruolo che avrebbe ricoperto nel gruppo armato, raccomandano di mantenere alta l’attenzione, anche nel nostro Paese.

 

Note

[1] F. Marone e L. Vidino, Destinazione Jihad. I Foreign Fighters d’Italia, Rapporto, ISPI, giugno 2018.

[2] Vedi L. Vidino e M. Olimpio, Gli oriundi del jihadismo italiano, Commentary, ISPI, 17 novembre 2017, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/gli-oriundi-del-jihadismo-italiano-18843.

[3] Europol, European Union Terrorism Situation & Trend Report (Te-Sat), giugno 2018, p. 26.

[4] Dossier Viminale Ferragosto 2018.

[5] Tra gli altri, vedi R. Barrett, Beyond the Caliphate: Foreign Fighters and the Threat of Returnees, The Soufan Group, ottobre 2017.

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