25 Ott 2018

Infrastrutture, lo “strumento” preferito della geopolitica cinese

Il segno indubbiamente più evidente del nuovo corso cinese nell’era di Xi è il ricorso più frequente e diffuso alla politica economica al di fuori dei confini nazionali. Non soltanto attraverso la politica commerciale e la politica degli investimenti diretti all’estero, che hanno reso la Cina una potenza economica e mercantile. Il suo strumento geo-economico […]

Il segno indubbiamente più evidente del nuovo corso cinese nell’era di Xi è il ricorso più frequente e diffuso alla politica economica al di fuori dei confini nazionali. Non soltanto attraverso la politica commerciale e la politica degli investimenti diretti all’estero, che hanno reso la Cina una potenza economica e mercantile. Il suo strumento geo-economico più innovativo è la politica di costruzione e finanziamento di infrastrutture. Nell’epoca che è stata efficacemente definita da Parag Khanna l’“era delle alleanze infrastrutturali”, non contano soltanto le infrastrutture fisiche, ma anche, a pieno titolo e con pari importanza, quelle digitali e istituzionali. L’obiettivo ultimo è diventare leader di una nuova fase di globalizzazione, nuova potenza economica a fianco di Stati Uniti ed Europa, i vecchi fautori della globalizzazione, e allo stesso tempo interlocutore e partner principale dei paesi emergenti così come di quelli ancora in povertà. 

Le infrastrutture fisiche – reti di produzione, logistica e trasporto – sono un elemento chiave in questo disegno e la Cina, traendo ispirazione iniziale dall’esperienza delle economie più avanzate dell’Asia orientale, è oggi all’avanguardia nel loro utilizzo. Ma le ambizioni della Cina si estendono al mondo virtuale, dove stanno spingendo un’agenda della sovranità informatica, sfidando il modello aperto e multilaterale per la governance di Internet difeso dagli Stati Uniti, per consentire ai governi nazionali di controllare i flussi di dati e controllare Internet all’interno delle loro giurisdizioni. E la leadership cinese sta rafforzando sempre più il suo controllo sui fornitori di Internet e tecnologia. Con la più grande comunità di cittadini della rete (quasi 700 milioni di cittadini cinesi ora usano internet regolarmente, circa 600 milioni attraverso i dispositivi mobili), la Cina ha un peso relativamente maggiore di quello di qualunque altro paese. Inoltre, mentre Pechino rimane un attore attivo all’interno delle istituzioni internazionali esistenti, promuove e finanzia anche strutture parallele come l’AIIB e la SCO. L’obiettivo generale di questi sforzi è una maggiore autonomia, principalmente dagli Stati Uniti, e un’espansione della sfera di influenza cinese in Asia e oltre.

L’iniziativa Belt and Road non è volta solo a collegare fisicamente la Cina alle città di tutta l’Europa e l’Asia, da Bangkok fino a Budapest, da Jakarta fino a Londra, e a sviluppare la costa eurasiatica. Gli obiettivi ultimi sono esportare la sovracapacità produttiva della Cina, ampliare il suo accesso alle materie prime e ai mercati di esportazione, espandere l’area di circolazione del renminbi, aumentare il peso finanziario e istituzionale della Cina in un numero crescente di regioni, incluse Africa e America Latina. Infine, costruire un contrappeso asiatico al potere delle istituzioni multilaterali nate dal Washington consensus. Ben oltre i progetti di logistica e trasporti, le nuove vie della seta sono la trama e l’ordito di tutta la diplomazia cinese. Poiché le infrastrutture fisiche, digitali e istituzionali rappresentano al contempo, rispettivamente, lo scheletro, la circolazione e l’alimentazione dell’economia globale, la Cina si appresta a diventare un leader nella governance dell’economia globale, dal momento che si prefigge di controllarne ambiti sempre più ampi.

Di conseguenza, l’approccio cinese all’integrazione regionale differisce dal regionalismo in stile ASEAN o UE. Invece di utilizzare i trattati multilaterali per liberalizzare i mercati, la Cina promette prosperità collegando i paesi alla sua continua crescita attraverso infrastrutture fisiche come ferrovie, autostrade, porti, oleodotti, parchi industriali, servizi doganali di frontiera e zone economiche e commerciali speciali; infrastrutture virtuali come reti di pagamenti e di connettività virtuale; infrastrutture istituzionali come finanza per lo sviluppo, accordi commerciali e di investimento bilaterali e forum regionali di cooperazione, come nel caso dell’iniziativa 16+1. Questo approccio non solo non apre i mercati in modo non preferenziale, ma crea dipendenza economica, finanziaria e di fatto politica dalla Cina.

Sebbene lo spirito sia idealmente inclusivo e tendenzialmente cooperativo, la Cina non sta costruendo e finanziando tutte queste nuove infrastrutture per essere percepita come generosa, ma per accedere alle materie prime e portarle a casa per le sue industrie manifatturiere ed edilizie, per utilizzare le zone economiche speciali dove avviene lo smistamento e la lavorazione delle esportazioni vicino ai principali mercati per accrescere il suo fatturato, per gestire lo spazio virtuale di attività di milioni di individui, per raccogliere i dati di milioni di consumatori, per diventare creditore di un numero crescente di paesi a garanzia di un atteggiamento cooperativo nelle decisioni multilaterali.

La Cina è stata maestra nel capire come inserirsi nell’economia e nelle istituzioni globali, dai quali dipende interamente la sua crescita, ma soprattutto ha capito che, dal momento in cui non può essere indipendente, la strategia migliore è rendere i propri partner più dipendenti di quanto essa stessa non lo sia. È questo obiettivo di aumentare l’interdipendenza reciproca in modo asimmetrico che ha reso la Cina di oggi estremamente influente, e al contempo relativamente poco influenzabile.

 

 

 

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