25 Feb 2019

Iran: nuove tensioni all’orizzonte

Focus Mediterraneo Allargato n.9

Nel quarantesimo anno dalla rivoluzione che ha cambiato radicalmente la sua storia e quella della regione, l’Iran vive un momento di crisi, effetto della reintroduzione delle sanzioni da parte degli Stati Uniti, in seguito alla decisione di Washington di abbandonare il trattato sul nucleare (Jcpoa) firmato nel luglio 2015. Nonostante alcuni paesi chiave, partner della Repubblica Islamica, abbiano ricevuto i waivers sul settore petrolifero – esenzioni che permettono di continuare ad acquistare petrolio iraniano in quote via via decrescenti senza incorrere nelle sanzioni statunitensi – molti di loro hanno di fatto già cessato l’acquisto di greggio da Teheran, così come sono molte le aziende, soprattutto europee, che hanno abbandonato il mercato iraniano. Ciò ha comportato perdite economiche considerevoli, con conseguenti possibili contraccolpi sulla stabilità politica interna del paese, che nei prossimi mesi dipenderà in modo sostanziale dalla capacità del governo di attuare le riforme necessarie e di fronteggiare le critiche tanto della popolazione quanto dei propri rivali politici. Sul piano esterno, mentre le relazioni con i paesi europei vacillano sotto il peso delle sanzioni, il paese guarda con rinnovato interesse all’Asia e al rafforzamento dei legami esistenti con India e Cina. Di contro, gli Stati Uniti mantengono la propria posizione sulle sanzioni, supportati dagli storici alleati in chiave anti-Iran, Israele e Arabia Saudita.

Quadro interno

Continuano le manifestazioni di protesta contro il carovita e il peggioramento della situazione economica del paese, legato alla reintroduzione delle sanzioni statunitensi. Anche la valuta iraniana, il rial, ha risentito dell’aumento dell’incertezza economica nel paese, subendo un crollo vertiginoso; l’inflazione, inoltre, ha raggiunto il 40% nel novembre 2018.

La crisi economica si ripercuote anche sul piano politico, investendo le maggiori formazioni politiche iraniane. A essere particolarmente colpita è la fazione dei moderati, il cui esponente principale è l’attuale presidente della repubblica Hassan Rouhani. Rouhani e il suo esecutivo scontano infatti i pesanti effetti politici della crisi attuale, trovandosi a dover affrontare da un lato la protesta popolare per il peggioramento delle condizioni economiche e dall’altro le critiche degli ultraconservatori che lo accusano di aver fatto troppe concessioni sul programma nucleare, in cambio di una contropartita non sufficiente. Forte poi è la disillusione della componente riformista dell’elettorato di Rouhani, che aveva votato il presidente per la sua agenda di riforme sociali e politiche, che nell’attuale contesto di crisi appaiono sempre più lontane. Si presenta poi come sempre più urgente la questione della successione alla Guida suprema, Ayatollah Ali Khamenei, che compirà 80 anni quest’anno.

Esempio evidente dello scontro politico in atto è l’acceso dibattito in corso nelle istituzioni iraniane circa l’adeguamento della normativa iraniana alle norme internazionali sull’antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento dei movimenti terroristici, così come richiesto all’Iran dal Gruppo d’azione finanziaria internazionale (Gafi, in inglese Fatf)1. L’organizzazione ha prorogato ulteriormente la scadenza per Teheran, che era già slittata da giugno a ottobre 2018, portandola a febbraio 2019.

Il dibattito vede opporsi il governo di Rouhani, che preme per l’approvazione delle riforme in accordo con le richieste Fatf, e gli ultraconservatori che siedono nel Consiglio dei guardiani, l’organo giuridico incaricato di vagliare e approvare gli atti legislativi del parlamento, che ritiene invece la normativa troppo intrusiva e lesiva della sovranità nazionale. Nel gennaio 2019 il Consiglio per il discernimento, che ha il compito di mediare e risolvere i contrasti tra il parlamento e il Consiglio dei guardiani, ha approvato la nuova legge anti-riciclaggio2, mentre la legge contro il finanziamento del terrorismo (Cft) è ancora oggetto del braccio di ferro tra le istituzioni3. A dicembre 2018, la Cft aveva già subito degli emendamenti per far fronte alle obiezioni del Consiglio dei guardiani4.

Relazioni esterne

Il 13 e 14 febbraio si è tenuto a Varsavia il Summit sulla pace e la sicurezza in Medio Oriente, organizzato e voluto dagli Stati Uniti e di fatto volto a creare una coalizione in chiave anti-iraniana. Il Forum ha visto la presenza degli storici rivali regionali della Repubblica Islamica, tra cui Israele, Arabia Saudita e molti paesi arabi del Golfo, mentre l’Alto rappresentante dell’Unione europea, la Russia e la Turchia hanno rifiutato l’invito. I principali paesi europei, tra cui Francia e Germania, hanno mandato funzionari di rango inferiore a quello ministeriale, segnalando dunque il proprio aperto dissenso verso la politica di isolamento diplomatico dell’Iran inaugurata da Washington.

Nel frattempo, l’UE sta tentando di preservare l’accordo sul nucleare iraniano, mettendo in atto risposte concrete alle sanzioni statunitensi sull’Iran, che colpiscono qualunque paese voglia intrattenere relazioni economiche e commerciali con Teheran – dunque anche gli alleati europei5. Nel mese di gennaio ha visto la luce lo Special Purpose Vehicle (Spv) europeo, denominato ufficialmente Instex (Instrument in Support of Trade Exchanges). Spv funzionerà come una forma sofisticata di baratto, o permuta: le esportazioni iraniane verso l’Europa permetteranno a Teheran di accumulare un credito che potrà essere utilizzato per l’acquisto di prodotti europei. Per esempio, vendendo merci iraniane a controparti francesi, l’Iran disporrà di un credito corrispondente al valore della transazione da utilizzare per l’acquisto di merci italiane.

Continua inoltre in sede europea il dibattito circa il programma missilistico iraniano (missili balistici e da crociera, entrambi a lungo raggio). I paesi europei hanno avanzato l’idea di introdurre sanzioni verso Teheran qualora questo continuasse.

Per contrastare la perdita di diversi accordi economici e commerciali con i partner europei, l’Iran guarda a Est e punta a consolidare i legami con i due più importanti attori regionali in Asia: Cina e India. La partnership tra l’Iran e la Cina, uno dei paesi ad aver ricevuto l’esenzione temporanea dalle sanzioni sul petrolio iraniano, si è evoluta in una duplice direzione. Da una parte, il progetto di riconversione del sito nucleare iraniano di Arak, affidato alla Cina in sede di negoziato sul Jcpoa, sembra essere stato messo in standby da Pechino per timore delle possibili ripercussioni sulle relazioni con gli Stati Uniti. Nonostante Pechino abbia ribadito il suo impegno nel progetto – che non era stato peraltro colpito dalle sanzioni –, da parte iraniana vi è la percezione di un rallentamento e di una riluttanza nel continuare la cooperazione, sicuramente dovute all’aumento delle tensioni tra Stati Uniti e Cina6.

Dall’altra, Pechino rimane il principale compratore di petrolio iraniano e potrebbe dunque arginare il crollo delle esportazioni petrolifere iraniane a seguito delle sanzioni Usa. Inoltre, l’Iran necessita di un nuovo partner cui rivolgersi per l’ammodernamento dei propri impianti. Pare quindi già un work in progress la rinnovata collaborazione sino-iraniana, tanto che la Sinopec, azienda governativa cinese, ha proposto un investimento di 3 miliardi di dollari alla National Iranian Oil Company nel settore petrolifero7.

Prosegue anche la partnership con l’India, rafforzata dall’accordo siglato a ottobre 2018 in relazione al porto iraniano di Chabahar, infrastruttura strategica a livello geopolitico perché volta a garantire all’India una via d’accesso terrestre alle sue esportazioni verso l’Afghanistan, in contrasto all’altro grande progetto infrastrutturale dell’area, lo sviluppo (cinese) del porto pakistano di Gwadar.

Rimangono tesi i rapporti con Israele, specialmente riguardo ai rispettivi ruoli nel conflitto siriano. Mentre l’Iran protesta contro i bombardamenti israeliani sul territorio siriano e continua a supportare Bashar al-Assad, Israele cerca l’intesa con Mosca per limitare l’ingerenza iraniana. Allo stesso tempo, l’Iran chiede che gli Stati Uniti si ritirino dalla Siria come il presidente statunitense Donald Trump aveva preannunciato (decisione, tuttavia, bocciata dal Congresso americano)8.

Infine, le relazioni tra Iran e Iraq sembrano resistere per il momento alla pressione esercitata da Washington su Baghdad. L’Iraq è infatti uno di quei paesi nella regione a subire la pressione statunitense per via della sua partnership energetica con Teheran. Infatti, l’Iran è il solo paese da cui Baghdad importa elettricità, da cui il paese dipende per soddisfare la domanda interna. Il perdurare di questa situazione sta causando scontri diplomatici tra Iraq e Stati Uniti, che vedono il mantenimento di questa partnership come un ostacolo al perseguimento dell’obiettivo di totale isolamento economico dell’Iran9.

 

 

1 Si veda V. Talbot (2018).

3Palermo Bill Hits a Snag at Iran’s Expediency Council”, Financial Tribune, 26 gennaio 2019.

4Iran Parliament Sends CFT Bill to Expediency Council”, Financial Tribune, 20 febbraio 2019.

5 A. Perteghella e T. Corda, USA fuori dall’accordo sul nucleare iraniano. Cosa cambia per l’Italia?, ISPI Focus, 23 maggio 2018.

6 Lee Jeong-ho, “China scales back Iran nuclear cooperation ‘due to fears of US sanctions’”, South China Morning Post, 11 febbraio 2019.

7 B. Khajehpour, “China’s emerging role in Iran’s petroleum sector”, Al-Monitor, 31 gennaio 2019.

8 B. Dehghanpisheh, “‘Get out of Syria’, Iran tells U.S.”, Reuters, 6 febbraio 2019.

9 E. Wong, Trump Pushes Iraq to Stop Buying Energy From Iran, New York Times, 11 febbraio 2019.

 

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