27 Lug 2018

L’America ripensa al ruolo italiano in Medio Oriente

La visita a Washington del presidente del Consiglio Giuseppe Conte sarà probabilmente un successo. Lo dice il fatto che, come Conte, anche il presidente americano vuole che sia così o che comunque venga così accreditato. Lo dice l’invito ricevuto a distanza così ravvicinata dalla formazione del nuovo governo. Lo dice la chimica positiva che si […]

La visita a Washington del presidente del Consiglio Giuseppe Conte sarà probabilmente un successo. Lo dice il fatto che, come Conte, anche il presidente americano vuole che sia così o che comunque venga così accreditato. Lo dice l’invito ricevuto a distanza così ravvicinata dalla formazione del nuovo governo.

Lo dice la chimica positiva che si è creata nel rapporto personale tra i due protagonisti, certamente favorita dalla sintonia che la Casa Bianca ha potuto riscontrare in diverse indicazioni di rotta contenute nel contratto di governo, tra le quali possiamo porre in rilievo le seguenti: dalla politica anti-immigratoria al contrasto del terrorismo/jihadismo nel contesto mediterraneo, con epicentro la Libia, dall’approccio sovranista nella gestione del condominio europeo e del binomio tedesco-francese, alle attenzioni riservate al ruolo della Russia, da dover riabilitare, come si legge nel contratto, quale interlocutore strategico e partner per la NATO e l’Unione europea per la risoluzione delle crisi regionali (Siria, Libia, Yemen), come è stato anche ribadito dallo stesso vice-presidente del Consiglio e ministro dell’Interno Matteo Salvini. 

Lo dice la nota diffusa dalla Casa Bianca dove si legge che “l’Italia è un importante alleato NATO, un partner leader in Afghanistan e Iraq, e partner chiave nel portare stabilità nella regione del Mediterraneo… Insieme gli Stati Uniti e l’Italia cercheranno di approfondire la cooperazione nel fronteggiare i conflitti globali e promuovere la prosperità economica tra le due sponde dell’Atlantico. Il presidente e il premier riconosceranno anche i legami storici e culturali tra i nostri paesi, che caratterizzano le relazioni bilaterali”.

A Washington ci si aspetta dunque che da questa visita arrivi la conferma della continuità di partenariato a livello sia multilaterale, leggasi NATO, sia bilaterale, vale a dire nell’ospitalità finora assicurata sul nostro territorio alle basi militari americane. 

Il riferimento al ruolo di “Partner leader” in Afghanistan e in Iraq punta evidentemente a persuadere l’Italia a soprassedere riguardo alla soluzione di ridimensionare il suo impegno militare in quei due teatri – nel primo caso, era stato deciso infatti di riportare il numero delle truppe del contingente da 900 a 700; nel secondo, contraendone lo schieramento intorno alla diga di Mosul, di riposizionare uomini e mezzi nel Kurdistan iracheno e rivedere il proprio sforzo bellico di ricognizione in Kuwait – per poterlo ricalibrare nel Mediterraneo. Si tratta di un ridimensionamento che, è bene precisarlo, era stato già deciso dal precedente governo pur non essendo stato corredato dai necessari provvedimenti operativi, e trova oggi un significativo riferimento nel contratto di governo laddove si legge dell’esigenza di “rivalutare la presenza dei contingenti italiani nelle singole missioni internazionali geopoliticamente e geograficamente, e non solo, distanti dall’interesse nazionale italiano”. 

La Casa Bianca che considera l’Italia un “Partner chiave” per poter ridare stabilità alla regione del Mediterraneo, è attenta in tale contesto a non far menzione né della Siria, dove peraltro il nostro impegno ha natura squisitamente politico-umanitaria, né del Libano dove siamo impegnati nella missione UNIFIL, oggi più che mai di rilevanza strategica anche per gli interessi americani. Nessuna focalizzazione neppure sul Mediterraneo centrale e in particolare sulla Libia, divenuta da tempo la priorità della politica estera e di sicurezza italiana, priorità esaltata dall’attuale governo. 

Ma è del tutto evidente che sul tema della stabilità del Mediterraneo, inteso in senso lato, si giocherà la partita fondamentale della visita americana del presidente del Consiglio. Che vorrà giustamente valorizzare il capitale di credibilità accumulato dall’Italia attraverso il suo multiforme e cospicuo impegno in proposito e ricevere da Washington più che un sostegno diretto – cui Trump non sembra molto interessato – un esplicito segnale di riconoscimento di questo ruolo di “partner chiave” lungo due direttrici principali:

  • maggiore coinvolgimento della NATO sul fianco sud dell’Alleanza attraverso il raggiungimento della piena operatività del cosiddetto hub regionale istituito presso il comando NATO di Napoli su cui si è già ottenuto l’aperto appoggio di Jens Stoltenberg e che l’attuale governo, in sintonia col precedente, sta reclamando. Ciò in parallelo con quella svolta che questo governo sta rivendicando in materia di strategia mediterranea dell’Unione europea soprattutto, ma non solo, sul terreno migratorio;  
  • valorizzazione del ruolo da protagonista dell’Italia nel Mediterraneo centrale e, in particolare, sostegno riguardo al progetto di stabilizzazione della Libia che questo governo si sta preparando a rilanciare attraverso una Conferenza internazionale che – superando l’estemporaneità delle iniziative parigine di Macron e restituendo nuova agibilità all’ormai stentata azione di Ghassan Salamé, il Rappresentante speciale del Segretario generale dell’ONU – metta attorno al tavolo negoziale i veri attori locali, quelli cioè che vantano una rappresentanza territoriale, quindi anche le milizie, e ponendo al suo centro il nuovo assetto istituzionale e la partecipazione/ripartizione della ricchezza nazionale. A questo parterre dovrebbero naturalmente essere associate anche le principali potenze mediorientali e internazionali interessate, tra le quali naturalmente la Russia. 

Difficile dire quale sarà l’equilibrio del do ut des che potrà emergere da questa visita. Certo è che da parte sua il presidente del Consiglio dovrà ben valutare come rispondere alle possibili lusinghe di un rapporto bilaterale preferenziale che sulla scorta della parola d’ordine del cambiamento sia suscettibile di riflettersi criticamente sui fattori che già stanno ponendo in sofferenza la coesione dell’Unione europea.

 

Pubblicazioni

Vedi tutti

Eventi correlati

Calendario eventi
Not logged in
x