15 Mar 2019

L’attentato in Nuova Zelanda tra violenza e propaganda

Christchurch

I gravi attacchi realizzati in Nuova Zelanda sono diventati subito una notizia di rilevanza planetaria, per quanto molti dettagli della vicenda non siano ancora chiari.

La polizia neozelandese ha tratto in arresto un ventottenne australiano, Brenton Tarrant, ritenuto responsabile di un’azione terroristica contro due moschee di Christchurch, terza città del paese. Il bilancio delle vittime sarebbe di 49 morti e oltre 20 feriti: di gran lunga l’attacco terroristico più grave nella storia della Nuova Zelanda. Tra l’altro, nel paese la stessa minaccia jihadista, che attira solitamente più attenzione, è decisamente meno rilevante della vicina Australia.

Nel pomeriggio di venerdì 15 marzo l’attentatore avrebbe prima colpito la moschea Al Noor, nel centro di Christchurch, e poi si sarebbe diretto in auto verso una seconda moschea nei sobborghi della città. L’uomo ha utilizzato diverse armi lunghe, tra cui fucili a pompa e fucili semiautomatici, e la polizia avrebbe rinvenuto degli ordigni rudimentali all’interno del suo veicolo.

Sulle armi e i caricatori sono invece stati riportati i nomi di altri attentatori di estrema destra, tra cui il norvegese Anders B. Breivik e l’italiano Luca Traini, ma anche di personaggi storici come il Doge di Venezia Sebastiano Venier, comandante della flotta veneziana che sconfisse l’Impero ottomano nella Battaglia di Lepanto del 1571, e personaggi o battaglie rispetto ai quali i musulmani figurano come nemici. Inoltre, l’uomo ha filmato in diretta l’azione: probabilmente il primo caso di vera e propria strage in Occidente trasmessa “live”. Mentre inizialmente fonti giornalistiche avevano ipotizzato l’azione di un commando, l’attacco, condotto con metodi di ispirazione militare, sembrerebbe avere un solo responsabile; presenterebbe quindi una modalità di esecuzione che è ricorrente negli attacchi di estrema destra: l’autore avrebbe pianificato (in questo caso, con grande anticipo e con meticolosità) ed eseguito l’attacco da solo e autonomamente, senza far parte e senza ricevere ordini da un gruppo armato.

Esistono diverse indicazioni di una crescita dell’estremismo violento di estrema destra negli ultimi anni. Per esempio, secondo l’ultimo rapporto annuale dell’FBI sui crimini di odio (pubblicato a novembre 2018), nel 2017 negli Stati Uniti questo tipo di crimini è cresciuto del 17%, con un incremento per il terzo anno consecutivo. Analogamente, un rapporto dell’Anti Defamation League (ADL, un’organizzazione non governativa statunitense impegnata nel contrasto dell’antisemitismo e di tutte le forme di odio), tra il 2009 e il 2018, il 73,3% degli omicidi legati all’estremismo interno negli Stati Uniti erano riconducibili a radicalizzati di estrema destra, il 23,4% a salafiti-jihadisti e il 3,2% a estremisti di sinistra.

Il fenomeno ha coinvolto anche l’Europa. Tra i casi più eclatanti nel Vecchio Continente vi è ovviamente quello di Breivik, responsabile il 22 luglio 2011 di attacchi con ordigni esplosivi e armi da fuoco che provocarono 77 morti e 319 feriti. Altro atto di violenza di rilievo è stato l’omicidio della parlamentare britannica Jo Cox il 16 giugno 2016 da parte di Thomas Mair, cinquantaduenne con problemi psichiatrici, legato a gruppi neo-nazisti. Come accennato, l’Italia non si è rivelata immune da questa minaccia, come dimostrato dalla sparatoria di Luca Traini il 3 febbraio 2018 a Macerata.

Uno degli aspetti più rilevanti legato agli attacchi di Christchruch riguarda la pubblicazione di un vero e proprio manifesto ideologico. Infatti, per giustificare le proprie azioni, l’attentatore australiano ha pubblicato un lungo documento di stampo xenofobo, chiamato “The Great Replacement”, ovvero “La Grande Sostituzione”, con un riferimento alla presunta invasione dei paesi occidentali da parte degli immigrati. Il manifesto, che diversi esperti hanno giudicato simile a quello pubblicato dallo stesso Breivik (“2083: Una dichiarazione europea di indipendenza”, oltre 1500 pagine), getta luce su alcuni elementi del processo di radicalizzazione dell’attentatore. Nel documento l’autore si definisce un etno ed eco-nazionalista, profondamente preoccupato dal crollo dei tassi di fertilità in Occidente e da quella che lui percepisce essere un’invasione da parte di persone “non-europee”. In questa prospettiva, l’autore indica un viaggio in Europa come tappa rilevante della radicalizzazione; durante un soggiorno in Francia venne sorpreso dalla quantità di “invasori” presenti. Nel documento il terrorista australiano non esita a incitare l’uccisione di Angela Merkel, di Recep T. Erdoğan e di Sadiq Khan, identificati come i tre nemici principali.

Il documento contiene numerosi riferimenti ad altri stragisti xenofobi e razzisti come il pluriomicida della Grande Moschea di Quebec City in Canada, Alexandre Bisonnette (6 morti, il 29 gennaio 2017), e l’autore della strage nella chiesa di Charleston negli Stati Uniti, Dylan Roof (9 morti, il 17 giugno 2015). L’attentatore sostiene di non fare parte di alcun gruppo o organizzazione, ma di aver interagito con diversi gruppi nazionalisti. Inoltre dichiara di aver contattato il gruppo di Anders Breivik, il Gruppo dei Cavalieri Templari, per ricevere la loro grazia. Inoltre, l’autore avrebbe dichiarato le proprie intenzioni di compiere un attacco su un forum chiamato 8chan, dove era in contatto con altri individui che condividevano le sue idee estremiste.

Il documento segnala la volontà di giustificare ideologicamente la propria violenza e di indentificarsi in una causa “superiore”, che, lungi dal chiudersi in un angusto nazionalismo, si estende nello spazio e nel tempo, ampliandosi ben oltre i confini della Nuova Zelanda e abbracciando secoli di storia. Non sorprende che il messaggio presenti una visione rigidamente manichea della realtà, includendo passaggi di natura cospiratoria e tratteggia l’autore della violenza come vittima di dinamiche ingiuste, cui occorre reagire, appunto, con l’uso della violenza, senza limitazioni (comprendendo, per esempio, i bambini come bersagli legittimi).

Per la grande maggioranza dei terroristi, la presentazione, se non la vera e propria spettacolarizzazione degli attacchi è da sempre un elemento fondamentale della propria strategia. L’attività di propaganda, accompagnata dalla copertura mediatica degli attacchi, serve da amplificatore per la diffusione del messaggio estremistico. Importante può essere, appunto, anche la pubblicazione di veri e propri manifesti, che consentano di presentare la propria ideologia e possono essere studiati, riprodotti ed emulati.

Le nuove tecnologie hanno facilitato e reso sempre più sofisticata la macchina di propaganda dei gruppi e dei militanti estremisti. Se in passato, per esempio, i terroristi ceceni diffondevano videocassette di attacchi contro soldati russi, o Al Qaeda in Iraq produceva video compilations di bassa qualità di attacchi bomba contro i soldati americani, il cosiddetto Stato Islamico (IS) ha innovato profondamente la comunicazione e la propaganda del terrore. I canali ufficiali di questo gruppo, specialmente all’apice della sua traiettoria, pubblicavano regolarmente video di azioni di combattimento, attacchi suicidi e decapitazioni, utilizzando anche riprese da droni o da telecamere Gopro montate sui fucili o sulle teste degli jihadisti, consentendo di mostrare anche combattimenti ravvicinati e esecuzioni di soldati nemici. A titolo di esempio, si può ricordare il video della decapitazione di 29 etiopi cristiani da parte del braccio libico dell’IS nel 2015, nel quale un portavoce minacciava le nazioni “crociate”.

Un rischio significativo presentato dalla pubblicazione del manifesto, dal video della strage e dalla notevole attenzione mediatica che ha riscosso l’attacco è l’incoraggiamento di possibili emulatori. L’attentatore ha dichiarato che questa era proprio una delle motivazioni dietro all’attacco; lui stesso ha letto e tratto ispirazione dai manifesti di altri terroristi come Breivik e Roof. Il fenomeno del terrorismo jihadista degli ultimi anni ha mostrato, ancora una volta, quanto possa essere pericoloso il fenomeno dell’emulazione di azioni terroristiche. Lo Stato Islamico ne ha fatto persino un proprio tratto caratteristico, esortando continuamente i suoi seguaci e simpatizzanti ad adottare le tattiche suggerite per compiere attentati eclatanti che il gruppo armato avrebbe poi potuto rivendicare.

Come dimostrato dalla presenza di diversi paesi, il fenomeno ha una dimensione transnazionale internazionale, favorita dall’impiego di internet, attraverso forum, social media e chat rooms, in maniera non strutturata. Nel caso dell’attacco in Nuova Zelanda, l’azione è stata annunciata su 8chan, trasmessa in diretta su Facebook, ri-postata su Youtube e commentata su Reddit e Twitter; il manifesto è stato postato e condiviso online. L’utilizzo del web e in particolare dei social nework si conferma quindi una questione centrale.

Concreto è anche il rischio che, come auspicato dal terrorista, si possano verificare azioni di rappresaglia per il fatto accaduto, che incrementino le divisioni e le tensioni nella società; simpatizzanti jihadisti stanno già diffondendo online messaggi di vendetta.

Infine, occorre tener presente anche l’eventualità che violenza jihadista e violenza di estrema destra si alimentino e rafforzino a vicenda, arrivando anche ad adottare, paradossalmente, metodi simili nell’uso della violenza e nella diffusione dei propri messaggi propagandistici.

Eventi correlati

Calendario eventi
Not logged in
x