31 Ago 2018

Migranti e bugie

Blog @Slownews

I numeri dell’UNHCR, l’Agenzia ONU per i rifugiati, sono un dato statistico e matematico, non l’opinione di un circolo culturale liberal. I profughi sono 68,5 milioni, cioè l’1% della popolazione mondiale. Nella storia, da che si conta il problema con approssimazione scientifica, non ce ne sono mai stati così tanti.

Di questi, 40 milioni sono sfollati all’interno del loro stesso paese; 25,4 sono profughi e 3,1 milioni richiedenti asilo. Circa la metà dei profughi vengono solo da tre paesi: Siria (6,3 milioni), Afghanistan (2,6), Sud Sudan (2,4).

L’Italia, compresi i buoni cattolici di Rocca di Papa, si è divisa per 130 eritrei. Ma la Giordania e l’Uganda ospitano più di un milione di profughi ciascuno. Facendo un calcolo sulla demografia nazionale però, il record è del Libano: i profughi sono il 25% della popolazione. E questo, secondo gli esperti, è il “punto di rottura” per la stabilità di un paese. Nel 2010, prima della guerra civile siriana, l’economia libanese cresceva dell’8%, ora del due.

Capendo che un paio di slogan elettorali non bastano per affrontare il problema, il CSIS, il Centro di studi strategici di Washington, ha cercato di fare qualcosa di più. Dan Runde, uno dei suoi vicepresidenti, ha messo insieme una squadra di 30 esperti – settore privato e pubblico, accademici, amministratori locali e ong – per studiare un anno intero il problema. Hanno visitato Bangladesh, Giordania, Senegal, Svezia, Turchia, Uganda, Dallas, Detroit, Los Angeles e San Diego.

Il risultato è “Confronting the Global Forced Migration“, un rapporto di 109 pagine. Runde ne ha sintetizzato il contenuto in un articolo per The Hill, il giornale web più letto da deputati e senatori sulla collina del Campidoglio, a Washington. “La migrazione forzata può essere ridotta (ha scritto ridotta, non eliminata, n.d.r.) attraverso lo sviluppo economico, la buona governance nei paesi poveri e la pace“, spiega il vicepresidente di CSIS che è un think tank moderato più vicino ai repubblicani che ai democratici: anche se ai repubblicani più simili a John McCain che a Donald Trump.

Noi italiani siamo convinti che i profughi ci costino più che in qualsiasi altro paese. Invece già nel 2016 la comunità internazionale stava investendo oltre 28 miliardi di dollari. Più o meno la stessa cifra che viene destinata per la lotta all’Aids o alla tubercolosi. Ma, dice Runde, quei 28 miliardi sono solo una risposta alle emergenze, non sono stati investiti per rispondere alle cause profonde delle migrazioni. L’84% di quella cifra è spesa nei paesi “shock absorbers”: Pakistan, Uganda, Turchia, Libano, Giordania, dove il primo impatto migratorio è uno tsunami.

Questa è la realtà dei fatti.

Poi c’è quella di Matteo Salvini. Anche se Runde non fa riferimento al caso italiano, il nostro vice-premier risponde a una definizione del rapporto del CSIS: “analysis paralysis“. La questione è così enorme e senza soluzioni chiare per un tempo determinabile, da provocare una paralisi ideativa nella valutazione del problema. Così Salvini, come molti altri ne approfitta, enfatizzando cifre ed effetti; dando per facili soluzioni inesistenti; trasformando gli sbarchi dal problema che è, in emergenza che non c’è: perché il suo obiettivo è ottenere il consenso di un elettorato già spaventato da una propaganda martellante e un razzismo strisciante.

Come il Washington Post con Donald Trump, anche un giornale italiano dovrebbe incominciare a tenere il conto delle bugie e delle verità distorte raccontate da Salvini. Per esempio i 45mila euro che costerebbero a ogni italiano i profughi che ospitiamo: a naso fanno 2mila e 700 miliardi di euro. O i 20 miliardi che minacciamo di non dare al bilancio UE, che non sono proprio 20 e che se sottraiamo quello che l’Europa da a noi, diventano meno di tre.

Martedì al talk show “Radio Anch’io” della Rai, un autorevole rappresentante della Lega spiegava al conduttore Giorgio Zanchini che è falso pensare che il fenomeno migratorio non abbia una soluzione: tanto è vero che i flussi in Italia sono notevolmente diminuiti. Lo sono, in effetti, e più per merito del precedente governo. Ma sono palliativi, iniziative contingenti per un fenomeno che nel 2018 è sempre lontano da una soluzione. Elevare muri è emergenziale quanto accogliere: l’unica differenza importante è che la seconda scelta testimonia un grado di civiltà e umanità che in Occidente ancora resiste.

La visita a Salvini di Viktor Orbán a Milano ricorda quando Mahmud Ahmadinejad, l’ex presidente estremista iraniano, andava a Beirut a incontrare il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah, ignorando il primo ministro del paese. È la lenta libanesizzazione dell’Italia. A Beirut il premier Sa’ad Hariri conta quanto Giuseppe Conte a Roma: molto poco. Quando Salvini sostiene che “60 milioni d’italiani vogliono il cambiamento”, già trasformando in plebiscito i sondaggi a lui favorevoli, forse è già peggio del Libano.

A proposito del Libano e dell’incombente clima razzista in Occidente, allego un racconto libanese e la rievocazione del discorso “I Have a Dream”, che Martin Luther King fece 55 anni fa a Washigton. Il primo è stato pubblicato sul Domenicale, il secondo nel sito del Sole 24 Ore.

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2018-08-20/beirut-e-capsule-tempo-131000.shtml?uuid=AE5u3TUF&fromSearch

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2018-08-20/beirut-e-capsule-tempo-131000.shtml?uuid=AE5u3TUF&fromSearch   

 

Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI

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