Un riconoscimento a metà

C'è qualcosa di surreale nel riconoscimento australiano di una fantomatica "Gerusalemme ovest" come capitale d’Israele

Editoriale del Jerusalem Post

Gerusalemme divisa dalla linea armistiziale pre-’67, dopo l’aggressione giordana del 1948

“Un grazie all’Australia per aver riconosciuto Gerusalemme ovest come capitale di Israele! In cambio noi abbiamo riconosciuto Canberra nord”. Lo hanno scritto su Twitter quelli dell’account satirico “Mossad”. La battuta fa il paio con quell’altra che circola in questi giorni in Israele, alla luce delle rivolte a Parigi dei gilet gialli: “Gerusalemme non riconoscerà la sovranità francese su entrambe le sponde della Senna finché non ci sarà un accordo sullo status finale”.

Scherzi a parte, c’è in effetti qualcosa di surreale nel riconoscimento australiano, simile a quello fatto dalla Russia nell’aprile 2017, di una fantomatica entità denominata “Gerusalemme ovest” come capitale d’Israele. “L’Australia – ha dichiarato il primo ministro Scott Morrison – riconosce ora che Gerusalemme ovest, sede della Knesset e di molte istituzioni governative, è la capitale di Israele. Non vediamo l’ora di trasferire la nostra ambasciata a Gerusalemme ovest, non appena possibile”.

Gerusalemme è una città unita da 51 anni (come è sempre stata nei millenni precedenti, con l’unica eccezione dei 19 anni di illegale occupazione giordana della Città Vecchia e di alcuni quartieri a nord, a est e a sud della Città Vecchia ndr): sebbene non siano mancati problemi e la riunificazione non sia perfettamente compiuta, è comunque un dato di fatto.

Allo stato attuale, sia Israele che i palestinesi vogliono che la loro capitale includa la Città Vecchia di Gerusalemme. Il movimento nazionale ebraico, il sionismo, prende il suo nome da Sion, uno dei termini con cui veniva tradizionalmente indicata l’antica capitale ebraica di Gerusalemme (e per sineddoche la Terra d’Israele ndr). Gli israeliani sanno bene come era Gerusalemme prima che la città fosse riunita sotto Israele. Per secoli gli ebrei hanno avuto un accesso molto limitato ai loro luoghi più sacri: il Monte del Tempio e il suo contrafforte, il Muro Occidentale. E nessun accesso del tutto negli anni tra il 1948 e il 1967.

Gerusalemme dopo il ’67

Per questo non sono disposti a rinunciare tanto facilmente alla loro rivendicazione. Secondo un sondaggio di un anno fa dell’Israel Democracy Institute Peace Index, il 72% degli ebrei israeliani “ritiene che, nel quadro di un accordo di pace completo e stabile tra Israele e palestinesi, Gerusalemme debba restare unita e capitale di Israele”. Solo il 12% degli ebrei israeliani ritiene che la parte occidentale della città debba essere la capitale di Israele e quella orientale la capitale di uno stato palestinese. Per quanto riguarda ciò che pensano che possa realisticamente accadere, metà degli intervistati ha ribadito la prima risposta mentre circa un quarto degli intervistati ha dato la seconda risposta.

Anche i palestinesi rivendicano Gerusalemme come loro capitale, compresi i luoghi più sacri dell’ebraismo. Si tratta di uno di quei casi in cui, come recita l’assioma dei colloqui di pace, “il massimo di concessioni israeliane non corrisponde al minimo delle rivendicazioni palestinesi”.

E’ una situazione che potrebbe cambiare. Ma nessuno, nemmeno i chiaroveggenti diplomatici di Canberra e di Mosca, sa cosa riserva il futuro o quale formula potrebbe portare le due parti a un accordo. Non vale solo per i russi e gli australiani: sono molti quelli che hanno detto che sono pronti a trasferire le loro ambasciate nella cosiddetta “Gerusalemme ovest” quando ci sarà la pace.

Ecco perché è assai più logico il riconoscimento fatto dagli Stati Uniti di Gerusalemme come capitale di Israele senza clausole o postille. Quando il 6 dicembre 2017 annunciò che riconosceva Gerusalemme come capitale di Israele, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump affermò anche: “Non stiamo prendendo in alcun modo posizione in merito a questioni relative allo status finale, inclusi i confini specifici della sovranità israeliana a Gerusalemme o la soluzione su confini contesi, questioni che sono di competenza delle parti coinvolte”. Trump non ha detto se la città debba essere divisa o meno. Non ha detto che ci sono una parte ovest e una parte est della città. Gerusalemme è la capitale di Israele, ma cosa significa esattamente “Gerusalemme” spetta ai negoziati stabilirlo: questo è quello che ha detto Trump. Ed questa è la posizione di un mediatore equo e corretto. La posizione americana su Gerusalemme riconosce che quelli che devono vivere qui sono gli israeliani e i palestinesi, e che quindi sono loro che devono concordare una soluzione sostenibile.

Imporre idee straniere (oltretutto basate su una linea d’armistizio durata 19 anni durante un’occupazione illegale ndr) a popolazioni che non solo non sono interessate a tali idee, ma che vi si oppongono attivamente, è una cosa che si è dimostrata inefficace e che può anche essere dannosa. Il che è vero non solo in Israele, ma anche in Australia – basta chiedere alla popolazione aborigena – così come in qualsiasi altro paese che debba affrontare conflitti territoriali.

Canberra dovrebbe riconsiderare la sua divisione unilaterale di Gerusalemme e lasciare lo status della città aperto alla voce dei soggetti che vanno davvero ascoltati in questo caso.

(Da: Jerusalem Post, 17.12.18)

Gerusalemme ai primi del ‘900. I due edifici a cupola nella parte bassa della foto sono le antiche sinagoghe di Hurva e Tiferet Yisrael, distrutte dalla Legione Araba quando occupò la parte est della città nel 1948 (cliccare per ingrandire): anche il secolare quartiere ebraico di Gerusalemme vecchia e il “Muro del pianto” sono “territorio palestinese occupato”?

«In realtà, non esiste nessuna “Gerusalemme est” come non esiste nessuna “Berlino est”. Nei suoi tremila anni di storia, la città di Gerusalemme è rimasta spaccata in due da sbarramenti e filo spinato solamente nei diciannove anni tra il maggio 1948 e il giugno 1967 quando la sua parte vecchia entro le mura ottomane (“ripulita” a forza dei residenti ebrei e degli edifici ebraici) più pochi sobborghi prevalentemente arabi che sorgevano subito a nord, a est e a sud di quelle mura rimasero sotto illegale occupazione giordana. Negli anni successivi alla riunificazione Gerusalemme, non essendo una teca da museo ma una città e una capitale, si è sviluppata sotto ogni aspetto: urbanistico, demografico, economico. “La verità è che Gerusalemme è fiorita sotto Israele, non prima – ha scritto David M. Weinberg (Jerusalem Post, 1.4.10) – Israele l’ha trasformata da cittadina depressa, in una splendida metropoli sapientemente aperta a tutte le fedi”. Dopo aver osservato che “non esiste nessun paese arabo o islamico in Medio Oriente dove cristiani ed ebrei possano gestire liberamente le proprie istituzioni religiose”, e dopo aver ricordato le sinagoghe distrutte da giordani e palestinesi a Gerusalemme, nella striscia di Gaza, a Nablus, a Gerico, Weinberg aggiunge: “Né gli ipotetici governanti arabi di Gerusalemme est, né la comunità internazionale custodirebbero adeguatamente gli interessi di tutte le fedi a Gerusalemme: Israele è l’unico custode di Gerusalemme che si sia dimostrato affidabile e responsabile”. E senza nessuna “giudaizzazione” (parola che ha di per sé lo sgradevole retrogusto dalle ossessioni antisemite): tant’è vero che, su un aumento totale della popolazione del 186% negli ultimi quattro decenni, la sola componente araba è cresciuta del 291%.» (Da: M. Paganoni, israele.net, 22.4.10)