La nuova ondata di veleni in Vaticano non sarà senza effetti sul futuro della Chiesa e dell’Italia. Lo stesso cardinale Becciu, nuovo prefetto per le Cause dei Santi, ha dichiarato ieri che «se ci ritroviamo uniti al Papa la Chiesa si salverà. Se invece creiamo divisioni - ahimè - la Chiesa rischia gravi conseguenze». «Uniti al Papa», dice Becciu. Esattamente quel che non accadde per Benedetto XVI che, nel pieno della sua battaglia per togliere la «sporcizia dalla Chiesa», si ritrovò isolato, con i «corvi» in casa che diffondevano ai giornali la sua corrispondenza privata e chissà che altro avrebbero ordito se - con un coraggio senza eguali nella storia - non si fosse dimesso. Ora la battaglia contro la pedofilia è ancora al centro dell’attenzione.

Papa Francesco ha chiesto perdono più volte per gli abusi commessi da uomini di Chiesa, per i vescovi che non hanno vigilato o hanno chiuso un po’ troppo gli occhi, per tutti coloro che in qualche modo hanno avuto un ruolo in queste tristi vicende. Al di là delle accuse mosse nella lettera dell’ex nunzio negli Stati Uniti, mons. Carlo Maria Viganò, e che hanno scatenato la nuova fase dei veleni, resta la domanda fondamentale: è sufficiente quanto si sta facendo per allontanare dalla Chiesa l’incubo pedofilia? Detto in altri termini, quando i fedeli vanno a messa, quando si confessano, quando ricevono l’Eucarestia, si chiedono che sacerdote hanno davanti oppure scacciano questi pensieri e si fidano ciecamente di lui? E i genitori che mandano i figli al catechismo, nei gruppi parrocchiali, all’oratorio sono sereni?

È su questo fronte che l’azione delle gerarchie appare debole. Contro l’insecuritas generata dalle cronache dei casi di pedofilia, non sembra siano state messe in campo le energie e le azioni migliori. La richiesta di perdono di Francesco ha un alto valore simbolico e morale ma non affronta il cuore del problema. E le chiese si svuotano forse anche per questo, perché è intaccata la credibilità dei ministri di Dio.

Per gli italiani ciò accade in un momento delicato e complesso della vita sociale. Oltre alla principale istituzione morale e religiosa, anche le istituzioni laiche sembrano vacillare. La nuova classe politica nel nome del cambiamento sta stravolgendo regole, usi e costumi. E ciò potrebbe anche essere cosa buona e giusta se non fosse che così facendo si stanno abbattendo i pilastri etici e politici che reggono il nostro vivere insieme ma senza sostituirli con altri. La personalizzazione della politica - fenomeno da tempo in atto e la cui principale responsabilità ricade sui media - sta portando alla fine dei partiti (non a caso si parla ormai solo di «movimenti») e alla irrilevanza dei cosiddetti corpi intermedi. Le università, il sindacato non riescono a «personalizzarsi», per cui sono di fatto esclusi dal dibattito pubblico, dominato invece da Salvini, da Di Maio e da pochissimi altri. Lo stesso Pd - al di là della sua crisi di identità - è ai margini della vita pubblica perché il suo segretario non ha lo stesso carisma mediatico degli altri leader.

Tutto questo porta a dire che l’Italia sta cambiando, come è logico che sia, ma lo sta facendo avendo perso molti dei punti di riferimento che aveva, tanto da far teorizzare a qualcuno il famoso «uno vale uno» e dunque ciascuno può essere la guida di se stesso. Un relativismo assoluto che dal piano etico e religioso si è trasferito su quello politico e ora anche su quello sociale: ne sia esempio lo sbandamento dei più giovani, che passano dal bullismo a giocare a fare i razzisti, dagli stupri allo sballo.
In realtà c’è un intero Paese che sta distruggendo molti dei suoi ancoraggi, che non sta facendo manutenzione alle coscienze, per cui i crolli improvvisi, come il ponte Morandi a Genova, sono nelle cronache di ogni giorno. In questa situazione allora il problema non è se alla fine avrà ragione il Papa o mons. Viganò, se Salvini fonderà il suo nuovo partito o se ci sarà una nuova offensiva dello spread. Il problema è da quale razza (non in senso etnico) di cittadini sarà costruito il futuro dei nostri nipoti.

Ma il relativismo di cui si diceva, tutto concentrato sull’oggi e l’adesso, ha portato a cancellare dall’orizzonte politico l’idea di futuro e dunque anche di progetto. E una società che non ha a cuore il suo futuro è destinata al declino e alla morte. È questo un veleno più potente dei «veleni» in Vaticano e contro il quale diventa urgente trovare l’antidoto.

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