È il vento della Reazione, più che del populismo, quello che spira ormai sul Vecchio Continente: dall’Italia di Matteo Salvini all’Ungheria di Viktor Orbán, dall’Austria di Sebastian Kurz fino alla Francia di Marine Le Pen. Sono loro i leader dei neo-reazionari che, sull’onda dell’emergenza immigrazione e dell’ostilità verso la moneta comune, marciano alla conquista dell’Europa in vista delle prossime elezioni di maggio. Un fronte illiberale e autoritario che punta a impadronirsi dell’Unione Europea per rovesciare, insieme al suo assetto politico-istituzionale, i suoi principi fondamentali e i suoi valori. Questo progetto si fonda su un cambio di paradigma che implica un salto di civiltà: dall’eredità della Rivoluzione francese, all’insegna dello storico motto “Liberté, Egalité, Fraternité”, stiamo passando a una nuova cultura – ammesso che si possa definire tale – in cui l’individualismo, l’egoismo e la rabbia sociale prevalgono sulla solidarietà, sull’appartenenza, sul senso civico. È una “rottura della Storia”, incruenta ma simile a quelle provocate dalle guerre che hanno insanguinato l’Europa nel secolo scorso. E che, per nostra fortuna, non sono più avvenute da settant’anni a questa parte.

Contro che cosa “reagiscono” i neo-reazionari? Reagiscono contro le disuguaglianze, le inefficienze e le ingiustizie del sistema; contro i privilegi e gli abusi dell’establishment che le rappresenta e di cui viene considerato responsabile; contro la disoccupazione e la povertà che avanzano, sotto l’incalzare della crisi economica e sociale. Ma reagiscono anche contro un’Europa tecnocratica e burocratica, astratta, distante dai bisogni reali della popolazione.
È lo “spirito del tempo”, quello Zeitgeist - come si chiama in tedesco – analizzato dalla storiografia filosofica a cavallo dell’Ottocento e del Novecento per indicare una tendenza culturale predominante in una determinata epoca. Un Mainstream, si potrebbe dire oggi in inglese, cioè un flusso, un sentimento collettivo, un senso comune che monta con la forza e la violenza di un fiume in piena. Non mancano purtroppo precedenti drammatici nella storia europea del Novecento: dal fascismo al nazismo, due regimi autoritari arrivati al potere a furor di popolo attraverso regolari elezioni democratiche, a riprova del fatto che non sempre il popolo sovrano ha ragione.

Di fronte a questo “tsunami” continentale, a volte si ha quasi la tentazione di rassegnarsi al fatalismo, abbandonandosi all’idea che prima o poi debba accadere il peggio. E che gli italiani, gli ungheresi, gli austriaci o i francesi siano destinati ineluttabilmente ad “andare a sbattere”, per potersi risvegliare da un incubo collettivo, analogo alle tragedie che gli europei hanno vissuto nella prima metà del XX secolo. Ma poi quello che Antonio Gramsci chiamava “l’ottimismo della volontà”, contrapposto al “pessimismo della ragione” o dell’intelligenza, riaffiora dall’inconscio come un richiamo della coscienza e della responsabilità.

Qualche segnale positivo è venuto la settimana scorsa dal Parlamento europeo che ha approvato a larga maggioranza le sanzioni contro l’Ungheria per il rifiuto dei ricollocamenti dei migranti disposti da Bruxelles e la riforma del copyright per il rispetto del diritto d’autore. Sono entrambi sintomi incoraggianti: l’uno sul piano istituzionale e l’altro su quello culturale. Fa specie, però, che a opporsi alla redistribuzione degli immigrati, sbarcati in Italia e in Grecia, siano proprio quei Paesi “amici” del leader leghista Matteo Salvini che legittimamente la reclama in nome della solidarietà europea. E conforta il fatto che la “proprietà intellettuale” degli scrittori, dei musicisti e degli editori sia stata sancita da una direttiva dell’assemblea di Strasburgo, contro lo sfruttamento commerciale dei giganti del web che utilizzano i contenuti senza alcun corrispettivo.

Può anche darsi che alle prossime elezioni europee queste ultime resistenze vengano investite e travolte dal vento della Reazione. Ma, da qui ad allora, c’è il tempo per rafforzare le difese e costruire una diga di contenimento. Si tratta di contrapporre al fronte sovranista un ampio schieramento liberale e progressista, capace di raccogliere la fiducia e il consenso della maggior parte degli europei. Fino al 26 maggio, quando si apriranno le urne della consultazione, ciascun elettore avrà modo di riflettere sugli effetti e sulle conseguenze di una vittoria dei neo-reazionari contro la democrazia e contro la civiltà. L’Europa sarà chiamata allora a decidere il proprio destino.

© RIPRODUZIONE RISERVATA