Sarò sincero, in una sera di tanti anni fa, ormai decisamente troppi, dietro le quinte del teatro Petruzzelli il grande Rudolf Nureyev mi palpò una natica, onestamente non ricordo quale, ma mettendomi d’impegno potrei anche riuscire a ricordarlo. Restai di pietra, perché non mi ero mai trovato in una simile situazione, ma feci finta di nulla e mi limitai ad allontanarmi dal grande ballerino. E ancora più sinceramente devo confessare che mai, ma proprio mai, in questi anni mi è passato per la testa che avrei potuto denunciare quella palpatina. Si vede proprio che gli anni del #MeToo erano lontani, ma di una distanza siderale.

Inevitabile il ricordo personale - per il quale il cronista si scusa con i Lettori - davanti all’ennesimo caso di cronaca venutosi a verificare Oltreoceano e che stavolta ha coinvolto non personaggi del mondo dorato - ma quanto poi? - dello spettacolo, bensì un austero (almeno in apparenza) magistrato indicato da Donald Trump per l’elezione alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Brett Kavanaugh, questo il suo nome, viene accusato da due donne di molestie e la notizia domina il mondo dell’informazione a stelle e strisce, dimostrando come il caso del tycoon cinematografico Harvey Weinstein abbia innescato una reazione a catena che ormai dilaga in tutto il Paese e non risparmia nessun ambito, politico o costituzionale che sia. E tuttavia, è quantomeno singolare che le molestie di cui Kavanaugh si sarebbe macchiato - e sulle quali in queste ore si ipotizza un’indagine approfondita dell’Fbi - non siano «recenti», ma risalgano addirittura ai tempi del liceo, nei primi Anni ‘80, aggravate peraltro da una sua presunta condizione di ubriachezza. Intendiamoci, per carità, non è che la molestia «stagionata» sia meno grave di quella «di giornata», né qui s’intende assumere una difesa d’ufficio. E tuttavia è quantomeno singolare che un gesto di per sé comunque odioso venga rivelato e denunciato solo nel momento in cui chi l’ha compiuto stia godendo di una certa notorietà mediatica: nel nostro caso l’elezione alla Corte Suprema che, negli Stati Uniti, sarebbe assimilabile alla nostra Corte Costituzionale. Perché, diciamola tutta, se è vero che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, è anche vero che la legge è uguale per tutti i cittadini, con buona pace di quegli scafati docenti di diritto che allertano i propri studenti insinuando malignamente che le leggi si applicano contro i nemici e si interpretano a favore degli amici. Come dire che l’aver molestato una collega di corso nel dormitorio obbligandola a palpazioni illecite - ché di questo Kavanaugh viene accusato - ha la stessa gravità sia che l’atto venga compiuto da uno studente ubriaco, sia da un personaggio importante. E allora, perché queste reiterate denunce ad orologeria che «esplodono» solo se e quando (si pensi del resto anche al caso Argento-Bennett) possono avere un’eco maggiore?

L’America è un Paese strano, che considera illecito il consumo di alcolici per strada, ma che fa finta di non accorgersene se la bottiglia proibita viene bevuta occultandola in una busta di carta; che tollera la prostituzione, ma punisce il cosiddetto adescamento e si potrebbe continuare a lungo con gli esempi di moralismo bacchettone. Questa volta però c’è altro in ballo e la questione va ben oltre il terremoto che #MeToo ha causato nello showbusiness. L’ipotesi, maldestra, ma accreditata e rilanciata dallo stesso Kavanaugh, è che il tutto vada letto politicamente, come un ulteriore tentativo per mettere in difficoltà uno degli inquilini più imbarazzanti che la Casa Bianca abbia mai avuto. «Vogliono vendicarsi di Clinton», avrebbe spiegato il magistrato, alludendo al caso Lewinsky che inguaiò il presidente democratico, di fatto spianando la strada al repubblicano George W. Bush. Ipotesi quantomeno verosimile, ma sulla quale è saggio non sbilanciarsi. Una cosa è invece certa: se da giovane Kavanaugh aveva le mani lunghe, le sue vittime soffrivano di memoria corta.

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