Sono fautore di una «Chiesa votata alle anime» che non interferisca con lo Stato laico, tuttavia nutro riconoscenza politica nei suoi confronti sia per il «risultato» delle fondamentali elezioni del 1948, sia, soprattutto, per la grande eredità culturale lasciataci dal nostro passato medioevale e rinascimentale. Un’eredità da riconsiderare come cura per il disfacimento morale di terzo millennio. Medioevo e Rinascimento, infatti, sono state stagioni storiche che hanno visto la Chiesa assumere un ruolo vitale che andrebbe oggi ben studiato per riuscire a contrastare una situazione di malessere spirituale diventata ormai endemica, alla quale purtroppo ci stiamo abituando. Non a caso Benedetto Croce nel 1942 scrisse il suo celebre Perché non possiamo non dirci «cristiani», (Bari, 1943) dove fra l’altro dichiarava: “[…] si vuole unicamente affermare, con l’appello alla storia, che noi non possiamo non riconoscerci e dirci cristiani […] Il cristianesimo è stata la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta […] ebbe una lunga età di gloria che fu chiamata il Medio Evo […] nella quale […]tenne le parti della esigenza morale e religiosa che sovrasta a quella unilateralmente politica […]”.

Indro Montanelli introducendo il Medioevo in L’Italia dei secoli bui, racconta della vita di San Benedetto da Norcia che nel sesto secolo dettò la sua famosa «Regola», riassunta nell’Ora et labora, per regolare la vita dei Monasteri fra i quali quello celebre di Montecassino. La dominazione gotica e quella longobarda - scrive Montanelli - aveva trasformato l’Italia in un immenso deserto di barbarie. Le ombre dei secoli bui si erano allungate sulla Penisola cancellando le ultime tracce di una civiltà ormai in avanzato stato di putrefazione. Ma in questa specie di necropoli vide la luce il più straordinario fenomeno religioso e sociale del Medio Evo: il Monachesimo”. Ancora Montanelli: “I grandi conventi, a poco a poco, si trasformarono in città fortificate, autarchiche, chiuse, isolate dal resto del mondo” avendo peraltro reso “il più prezioso di tutti i servigi: il salvataggio dell’eredità culturale di Roma. Furono le biblioteche dei grandi conventi benedettini infatti a conservare e a tramandarci […] [opere] che sarebbero andate altrimenti perdute, travolte dalla furia devastatrice dei barbari”.

Riconoscenza - L’Occidente ha dunque un grande debito di riconoscenza con la Chiesa per aver conservato quel grande patrimonio culturale. Ma forse, in senso propositivo, ancora più significativa è stata l’azione che nel Rinascimento ha portato pontefici illuminati a organizzare la celebre Biblioteca Vaticana e a realizzare straordinarie opere artistiche delle quali ancora oggi anche l’Italia può andare fiera.
Lo storico Antonio Forcellino, nello scrivere Il Secolo dei Giganti, romanzo della vita del grande genio rinascimentale Leonardo da Vinci, dedica i diversi capitoli ai pontefici, da Niccolò V (1447-1455) ad Alessandro VI Borgia (1492-1503), considerandoli emblemi di quel periodo aureo.

In un altro importante trattato, Viaggi fra i libri – Le biblioteche italiane nella letteratura del Gran Tour (Serra, 2018), la studiosa Fiammetta Sabba indaga sulle presenze culturali, nelle biblioteche di diverse città italiane, di molti grandi viaggiatori settecenteschi, rilevando che a Roma tutti frequentarono con assiduità la Biblioteca apostolica Vaticana. Ancora, in un libro straordinario, coinvolgente e curioso – Verità nascoste sui muri dei Maestri (Artemide 2016) - Maurizio De Luca, storico dell’arte e restauratore presso i Musei Vaticani, descrivendo le opere sulle quali è personalmente intervenuto, racconta i grandi maestri che le hanno realizzate facendo rivivere per il lettore le loro personalità e le particolarità dei loro interventi.
Visitiamo così “l’universo quattrocentesco nella Cappella Sistina”, avviato da Piero Perugino, abile pittore e “manager ante litteram”, e poi da Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio e ancora altri grandi artisti attivi nel centro Italia chiamati da Sisto IV della Rovere (papa dal 1471 al 1484) per “promuovere la trasformazione dell’austero «stanzone fortificato» della Cappella Sistina” in modo che “sui dipinti sistini si trovano compendiate tutte le possibili offerte della pittura murale”.
Nelle splendide sale vaticane il Pinturicchio, pittore di valore e grande organizzatore, sarà “il cantore” dell’epopea di Papa Alessandro VI Borgia (dal 1492 al 1503), con “un arte ricca ed esibizionista” di inconsueta tecnica, mentre il giovane Raffaello Sanzio chiamato dal successivo pontefice Giulio II della Rovere (papa dal 1503 al 1513) a decorare il suo “nuovo appartamento che si trova esattamente sopra a quello Borgia”, dipingerà fra l’altro la famosa Scuola di Atene il cui cartone di prova oggi è conservato presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano. Sono di Raffaello anche i disegni degli arazzi intessuti a Bruxelles e donati alla Cappella Sisina da Leone X (papa dal 1513 al 1521).
Sette sono i chilometri di Musei Vaticani in cui è esposta la più famosa collezione di capolavori noti in tutto il mondo e frequentati ogni anno da milioni di visitatori che arrivano a Roma per ammirare queste straordinarie opere raccolte da pontefici di grande sensibilità culturale ed estetica che resero la grande arte strumento per propagandare la fede.

Inserita centralmente nel percorso museale si colloca la Cappella Sistina, sicuramente il luogo divenuto massima espressione dell’arte del Rinascimento e forse di ogni tempo grazie alle opere di grandi maestri umbri e toscani, ma soprattutto per gli eccezionali affreschi di Michelangelo Buonarroti che vi lavorò a più riprese. Alberto Angela nel suo Viaggio nella Cappella Sistina (Rizzoli 2013) così la descrive: “è innanzi tutto una cappella consacrata, da oltre cinquecento anni dove vengono celebrate importanti funzioni liturgiche” fra le quali “il Conclave, cioè l’elezione del nuovo pontefice”.
Fu Giulio II Della Rovere (pontefice dal 1503 al 1513) a chiamare Michelangelo per affrescare la volta della Cappella e l’artista vi lavorò dal 1508 al 1512 dipingendo La genesi dove fra l’altro ammiriamo la celeberrima Creazione d’Adamo con le mani – l’umana e la divina – che si congiungono in una straordinaria, simbolica raffigurazione. In quella impresa artistica fu aiutato da un altro genio rinascimentale, l’architetto Bramante (1444-1514), che progettò una speciale impalcatura per consentire di raggiungere più agevolmente la volta della Cappella. Michelangelo fu poi richiamato da Papa Clemente VII (dal 1523 al 1534) per affrescare la parete di fondo della Cappella dipingendo l’altrettanto famoso Giudizio Universale, iniziato nel 1535 e terminato nel 1541 sotto il pontificato di Paolo III Farnese (papa dal 1534 al 1549). In quei capolavori pittorici il genio michelangiolesco seppe compiere una stupefacente gestione de “il colore, il tono, e la luce”, elementi che secondo Alberto Angela “distinguono i «geni» della pittura da altri pittori”.

Educazione - Oggi il Vaticano, custode di quei tesori unici al mondo, deve sapere trasformare la generale ammirazione per quelle opere in una forma di educazione estetica e culturale che possa suscitare, come nel Rinascimento, una nuova religiosità in grado di contrastare lo scetticismo ateo che sempre più emerge dalla complessità di Terzo Millennio. Dovrebbe essere questo il modo per promuovere nuovamente sentimenti religiosi proiettando la «chiesa delle anime» verso il futuro.
Un compito arduo, affidato oggi a Barbara Jatta, direttrice dei Musei Vaticani e per molti anni al servizio della Biblioteca Vaticana, illustre docente presso la facoltà di Lettere dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, dotata di grande personalità e di una professionalità che spazia fra governo dell’arte (musei) e la grande cultura (biblioteche) - elementi basilari oggi per contrastare l’ormai incombente oscurantismo di stampo medioevale.

Intervistata per La Gazzetta da Enrica Simonetti in occasione di una sua conferenza a Bari su I musei Vaticani in rapporto con gli altri grandi Musei internazionali, Barbara Jatta ha affermato la sua attenzione per l’innovazione e per il futuro avendo come valori di riferimento “impegno e responsabilità”, premesse indispensabili per affrontare sfide e complessità di Terzo millennio lungo un esaltante percorso, peraltro già intrapreso nel Rinascimento da pontefici che hanno saputo illuminare l’oscurità medioevale restituendo alla Chiesa un ruolo storico di fondamentale importanza. 

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