Più di 130 anni addietro un gruppo di imprenditori visionari capitanati da un giornalista altrettanto immaginifico - Martino Cassano (1861-1927) diede vita al Corriere delle Puglie, genitore de La Gazzetta delMezzogiorno. Qualche lustro dopo, una famiglia affermatasi col commercio costruì il Teatro Petruzzelli, uno fra i più fascinosi templi culturali d’Europa.
La domanda è inevitabile. Oggi chi oserebbe emulare, in tutto il Sud, e anche in Italia, gli alfieri di quelle due straordinarie avventure culturali che, nei casi sopra citati, hanno segnato, la storia di una città e di due regioni? Dove sono i «capitani coraggiosi» disposti a proseguirne le gesta? Bah.

Parliamo di casa nostra, della Gazzetta. Dal 24 settembre il giornale è in amministrazione giudiziaria, dopo il sequestro-confisca del patrimonio della famiglia Ciancio, che, con altri imprenditori, aveva rilevato la testata nel dicembre 1997. Ci sono tutte le condizioni perché qualcuno dimostri perlomeno una manifestazione d’interesse nei riguardi di un organo di informazione che da più di 130 anni è leader in due regioni. Invece, almeno per ora, tutto tace. Tutto tace forse perché i potenziali interessati attendono gli sviluppi del procedimento giudiziario. Il che è possibile. Anzi, cogliamo l’occasione per auspicare che la magistratura giudicante si pronunci al più presto sulla vicenda in corso, perché nulla, soprattutto nella vita di un’azienda, produce più sfiducia e disvalore di un prolungato periodo di incertezza.

I giornali, poi, sono imprese particolari. I loro bilanci sono esogeni: metà vendite, metà pubblicità. Quasi mai raggiungono il pareggio di bilancio, non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo. Ciò richiede un approccio per certi versi mecenatistico verso le aziende editoriali. Era così in passato, lo è anche adesso che il settore della carta stampata subisce un assedio micidiale dai nuovi strumenti della comunicazione.
Ma la storia dimostra che nessun nuovo medium ha mai cacciato quelli preesistenti. La radio non ha fatto fuori i giornali. La tv non ha soppresso la radio. La Rete non ha oscurato la tv.

Nel mondo dell’informazione si procede per accumulazione, non per sostituzione. Non a caso, negli Stati Uniti, da sempre avanguardia di mode e tendenze, il cigno nero che ha spiazzato e sconcertato le redazioni ha iniziato a colorarsi di bianco: le vendite dei giornali tradizionali sono in ripresa e gli uccelli del cattivo augurio che pronosticavano la fine della carta sotto la spinta del web hanno dovuto rivedere le loro previsioni catastrofistiche. L’inevitabile non è più così scontato. L’inatteso sfugge a ogni profezia.
Il brand è fondamentale nell’attribuire il valore materiale e immateriale di un’impresa. Figuriamoci di un’impresa multimediale.

E il cospicuo numero dei lettori (500mila stimati in via ufficiale) sta a dimostrare che il brand della Gazzetta è tutt’altro che sbiadito o scolorito. Anzi. La Gazzetta non vanterà i 205 tentativi di imitazione che ha contato La Settimana Enigmistica, ma di sicuro ha fatto e continua a svolgere, insieme con altri fogli cartacei, una funzione di palinsesto, spesso un ruolo di trasfusione, per altre testate e piattaforme della comunicazione. Senza contare poi il fenomeno illegale e immorale della pirateria che saccheggia il prodotto dei giornali, lo diffonde gratis e non paga alcun dazio per questa rapina quotidiana sul lavoro svolto da altri. La beffa è servita: i lettori aumentano, ma risulta il contrario, cifre alla mano, perché i pirati non vengono conteggiati.
Perché è decisivo in democrazia il ruolo di un giornale? Perché le democrazie non possono affidarsi solo al direttismo della Rete, dove l’irresponsabilità non trova freni e filtri e dove il retropensiero della manipolazione incontra il terreno più fertile. E se questa necessità è avvertita al Nord, dev’essere avvertita ancora di più al Sud.

Al Sud non c’è un sistema informativo paragonabile all’omologo del Nord. La stessa dittatura calcistica del Settentrione, che ha fatto incetta di scudetti e trofei vari, viene associata da alcuni studiosi al fatto che il Mezzogiorno non ha mai potuto disporre di megafoni sportivi di diffusione e di influenza nazionale. Un Sud senza giornali, o con meno giornali, è automaticamente un Sud più debole, meno forte, meno incisivo verso i centri decisionali del Paese. È bene non dimenticarlo. Non sarebbe inopportuna, in materia, una ricerca che indagasse sullo sviluppo non parallelo tra Nord e Sud tenendo conto del divario informativo tra le due Italie. Un fatto è certo: più un territorio dispone di un giornale che faccia da suo sindacato, più avrà voce in capitolo nelle stanze che contano.

Purtroppo tutte le istituzioni, salvo eccezioni, appaiono distratte, tendono a sottovalutare questi discorsi, compreso il pericolo che un’area geografica si ritrovi menomata sul piano informativo. Prendiamo, ad esempio, il caso della pubblicità, che costituisce la seconda voce del bilancio di un quotidiano. Che la pubblicità commerciale possa subire una contrazione, ci può stare. Nessuno può o deve imporre agli inserzionisti vecchi e nuovi di investire in promozioni. Ma che debba subire una micidiale e inopinata riduzione la pubblicità istituzionale e legale, ciò provoca sconcerto, oltre che danni incalcolabili per i bilanci delle aziende editoriali. Cosicché: la pubblicità commerciale, grazie alla fiducia delle imprese private, non registra flessioni mentre la pubblicità istituzionale e legale, obbligata per legge a comunicare vendite e aste giudiziarie sui quotidiani, langue ogni giorno perché il grosso degli annunci viene dirottato, esportato sul web (contro lo spirito e la lettera della normativa, che, per ragioni di trasparenza, assegna ai giornali cartacei la priorità nella pubblicazione degli annunci in materia di aste giudiziarie e appalti)

Sembra incredibile, ma è soprattutto questa la nota dolente del bilancio di un giornale come la Gazzetta. Qui nessuno chiede l’indicibile o l’impossibile. Vorremmo solo che le istituzioni tenessero conto che a un quotidiano non può essere sottratta, all’improvviso, una voce importante, decisiva, come quella della pubblicità legale e istituzionale.
Spesso, in questi giorni, qualche rappresentante istituzionale telefona in redazione per chiedere di sapere cosa potrebbe fare per la Gazzetta. La risposta è semplice: senza violare alcuna legge, anzi rispettando rigorosamente la Legge, egli dovrebbe attivarsi per rimettere in circolo quel flusso di pubblicità legale che si è improvvisamente prosciugato. Tutto il resto è noia, direbbe il buon Califano. O passerella mediatica.

Non sappiamo se definire un appello questo scritto. Sappiamo però che un giornale in piena salute non dev’essere solo una premura o una preoccupazione di chi ci lavora, dei cittadini, ma soprattutto un obiettivo dei massimi rappresentanti istituzionali del territorio: da quelli politici a quelli economici, da quelli sindacali a quelli giudiziari. Ne va del destino di una comunità, la cui finestra-altoparlante si chiama giornale.

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