Ci mancava pure la polemica politica su Sanremo. Baglioni e Bisio, memori della lezione del leader della Lega hanno individuato subito il nervo scoperto: i migranti. Ed è partito il «grande lancio» del Festival della «canzone italiana».
I fatti. Durante la conferenza stampa di presentazione dei co-conduttori Viriginia Raffaele e Claudio Bisio, il direttore artistico Baglioni ha commentato che «se non fosse drammatica la situazione di oggi, ci sarebbe da ridere. Ci sono milioni di persone in movimento, non si può pensare di risolvere il problema evitando lo sbarco di 40-50 persone, siamo un po’ alla farsa. Credo che le misure prese dall’attuale governo, come da quelli precedenti, non siano assolutamente all’altezza della situazione».

Apriti cielo. «Baglioni? Canta che ti passa, lascia che di sicurezza, immigrazione e terrorismo si occupi chi ha il diritto e il dovere di farlo», replica subito via social Salvini. Rintuzza Bisio: «Al Festival parlerò di attualità». Poteva finire così? No. Entra in campo anche la direttrice di Rai Uno, Teresa De Santis, che secondo quanto riportato dal quotidiano La Stampa, spegne ogni velleità di triplete del cantautore romano: «Baglioni? Mai più all’Ariston se ci sono io». La stessa De Santis invia poi una lettera a Dagospia (ma una telefonata a quattr’occhi senza farlo sapere in giro no?): «Sono solo canzonette, o almeno dovrebbero esserlo – scrive - una settimana di grande cerimonia di svago e spettacolo nazionale. Invece, e non solo per responsabilità di Claudio Baglioni, sono state trasformate nel solito comizio».


Curioso che a innescare la polemica sui migranti sia stato Baglioni, quello dei passerotti e delle magliette fini. Fossati o la Mannoia, sarebbero stati più adatti. L’anno scorso proprio la Fiorella nazionale sul palco di Sanremo colpì cantando Mio fratello che guardi il mondo, storico pezzo di Fossati sui disperati che arrivano sulle nostre coste. Il brano arrivò al termine di un monologo, sempre sui migranti, di uno straordinario Francesco Favino. Fu uno dei momenti forti del Festival. Ma erano altri tempi e altri governi. Oggi dei migranti se ne parla in maniera opposta. Però possono servire ancora, per le polemiche e per tener viva l’attenzione su una manifestazione canora sempre più mastodontica e che per la Rai rappresenta una delle maggiori voci di incasso. L’edizione 2018 è costata quasi 16 milioni e mezzo di euro, ma ne ha fruttati oltre 25 in pubblicità.
Per il 2019 – grazie anche al successo dell’edizione Baglioni I – la Rai ha allungato il palinsesto e ritoccato i listini. Oltre alle serate del Festival vero e proprio (dal 5 al 9 febbraio), vi sono stati e vi saranno tutta una serie di appuntamenti per creare l’attesa. Da ben prima di fine dicembre, poi, siamo subissati di spot Baglioni-Papaleo.

Decine di passaggi al giorno con il direttore artistico di volta in volta sacerdote, benzinaio, vigile urbano. Dai costi della pubblicità si capisce la ragione dell’accanimento Rai. Un solo spot durante il Festival, fra le 21,15 e le 22,45 costa dai 163mila ai 220mila euro. Vi sono poi pacchetti e passaggi su vari canali (Rai Premium, social, radio ecc.) che possono arrivare a costare 5-6 milioni di euro. Qualcuno si è divertito a fare una media e ha calcolato che un secondo di pubblicità sanremese costa 10mila euro.


La Rai fa bene il suo mestiere e fa bene a esaltare i prodotti che ha. Ma c’è qualche però. La Rai non è una televisione qualunque. È la tv di Stato che percepisce soldi pubblici attraverso il pagamento di un canone da parte di tutti gli italiani (l’evasione è crollata dopo l’inserimento nella bolletta elettrica). Dunque è un servizio pubblico che deve essere anche attento a non ammorbare i suoi utenti con massacranti campagne pubblicitarie e con programmi-telenovela. Perché di qui a metà febbraio il tema televisivo sarà unico: Sanremo, in ossequio alla logica della ripetitività quale migliore arma di persuasione. Secondo, è l’unica tv a mangiare a due bocche, che sono anche le più voraci. In altri Paesi o c’è un tetto alla pubblicità – che viene proporzionalmente ripartita anche fra gli altri media – oppure chi percepisce un canone non fa pubblicità a pagamento.
Prepariamoci dunque a quest’altra indigestione, dopo le abbuffate natalizie. Da qui al 9 febbraio ci sarà tempo per molte altre polemiche o pseudo tali. Baglioni e Bisio sono già entrati in campo, manca Virginia Raffaele. Magari ne dice una delle sue sul reddito di cittadinanza. Tanto Sanremo non è Sanremo.

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