Le notizie drammatiche provenienti dalla Libia e le indiscrezioni circa coinvolgimenti di Paesi terzi (leggasi Francia) negli scontri tra il Governo di Tripoli e l’esercito del Generale Haftar, definito “signore della guerra” di Bengasi, non mancano di richiamare alla memoria degli storici l’antico “schiaffo di Tunisi” il colpo di mano francese con il quale Parigi occupò militarmente la Tunisia nel 1881 senza che il governo italiano – che aveva anch’esso delle mire sul Paese maghrebino - ne fosse al corrente. A causa delle polemiche l’allora Primo Ministro del Regno d’Italia Benedetto Cairoli dovette dimettersi e la Francia instaurò un Protettorato sulla Tunisia, Paese che divenne indipendente solo nel 1956.

Dallo schiaffo di Tunisi sono trascorsi centotrentotto anni e la situazione politica internazionale non autorizza a parlare di “schiaffo di Tripoli” da parte della Francia a discapito dell’Italia. E’ vero peraltro che all’epoca della creazione del Protettorato sulla Tunisia, questa divenne un importante fornitore di prodotti agricoli e di prodotti minerari (principalmente fosfati) verso la Francia. Oggi Parigi attraverso le sue grandi aziende è certamente molto interessata alla partita dell’influenza sulla produzione petrolifera della Libia, che detiene riserve di greggio stimate in 48 miliardi di barili con una produzione di circa un milione di barili al giorno. Si aggiunge che la gran parte dei pozzi è concentrata nelle zone orientali del Paese, controllate dal Generale Haftar, il quale intrattiene stretti contatti anche con la dirigenza egiziana, con Arabia Saudita ed alcuni Paesi del Golfo oltre che con la Russia di Putin.

La scena della crisi è quindi particolarmente complessa e comprende una molteplicità di attori. Il Governo italiano (l’Italia è il primo importatore di energia dalla Libia) appare alla ricerca di un percorso che le consenta di salvare la dirigenza libica che fa capo ad Al Serraj (peraltro l’unico governante riconosciuto a livello internazionale) e di far accettare alle Parti in conflitto una tregua e dei negoziati di pace nell’attesa che possa riprendere il cammino prospettato dalle Nazioni Unite di addivenire ad una Conferenza Nazionale sulla Libia, già prevista per il 14 aprile 2019, recentemente annullata. Senza dimenticare le conseguenze che la crisi in atto è in grado di far deflagrare sul piano delle urgenze migratorie dal Nord Africa verso le coste italiane.
I contatti di cui si è appreso dalla stampa fra Roma e Berlino sembrano attualmente esplorare una strada quasi obbligata: quella dell’Unione Europea o quanto meno quella dei maggiori membri fondatori dell’Unione Europea. La Cancelliera tedesca potrebbe essere incoraggiata ad utilizzare gli strumenti forniti – secondo quando a suo tempo ebbe a rivelare la stampa internazionale – dal recente Trattato franco-tedesco di Aquisgrana per mettere sul tavolo, coinvolgendo Parigi, la necessità di un’energica azione pacificatrice dell’Unione Europea nei riguardi delle parti che si confrontano in Libia, che però vada al di là delle generiche dichiarazioni finora emesse da Bruxelles ad opera dell’ Alto Commissario per la Politica Estera. Pensiamo a mo’ di esempio alla missione dell’allora Comunità Europea che nel 1991 inviò un contingente politico-militare, la European Community Monitoring Mission, in occasione dei conflitti che vennero originati dalla dissoluzione della Jugoslavia tra Slovenia e Croazia da una parte e Belgrado dall’altra.

Bene ha fatto il Presidente del Consiglio ad avocare a sé la trattazione del dossier libico assieme al titolare della Farnesina. E’ un dossier troppo delicato per essere lasciato a chi improvvisa quotidianamente allo scopo di ottenere consensi di parti dell’opinione pubblica. L’augurio che gli Italiani si fanno è che il modello comportamentale del Governo in questo difficile frangente sia basato sull’approfondimento, sulla serietà, e su competenza, concretezza, lungimiranza e senso dello Stato.

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