Il governo dice, a parole, di essere “del cambiamento”, ma a conti fatti la lentezza del suo procedere è quanto mai evidente. Governare un Paese complesso come l’Italia è difficile. A maggior ragione se la coalizione di governo è litigiosa e senza una linea guida. Il premier Giuseppe Conte sembra sempre sballottato a destra (Salvini) e sinistra (Di Maio, onestamente non sa neanche lui dove stia), impossibilitato a far valere il dettato costituzionale, che all’art. 95 recita: “Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei Ministri”.

Qualcuno è in grado di sostenere che Conte dirige, guida e fa valere la sua leadership? Assistiamo per l’ennesima volta a un fiume di parole prima dell’approvazione di un decreto. L’impasse, questa volta riguarda il Decreto crescita, approvato “salvo intese” il 4 aprile e ancora in gestazione. A ieri mattina le intese non erano ancora state raggiunte. A peggiorare il clima ci ha pensato il leader della Lega Matteo Salvini definendo il decreto Salva Roma (12 miliardi di euro di debiti che passerebbero allo Stato, con buona pace dei contribuenti costretti a rimpinguare le casse del Comune di Roma, gestito negli anni in modo spaventoso) come Salva Raggi (Virginia Raggi sindaco di Roma, ndr) e rincarando la dose: “Non ci sono Comuni di serie A e Comuni di serie B. Se in tanti hanno problemi, aiutiamo tutti quelli che hanno i problemi”. La lingua italiana è usata male ma tant’è, alla maggioranza degli italiani piace così.
Di Maio ha risposto da par suo così: “Il Salva Roma lo portiamo comunque in Consiglio dei ministri; se la Lega vota contro, sceglie di aprire la crisi”. A tutto questo can can si unisce il caso di Armando Siri - il sottosegretario leghista, indagato per corruzione – sul quale incombe la mannaia dei 5 Stelle. Il Pm antimafia Nino Di Matteo ha spiegato a Repubblica come “Cosa Nostra può leggere come un segnale la difesa leghista di Siri”. Come possono i 5 Stelle – andati al potere con il grido “onestà” – tollerare una situazione simile?
Naturalmente i contenuti del decreto Crescita passano in secondo piano. Anche perché di qualità ce n’è ben poca. Si parla di un provvedimento “Sblocca cantieri”, ma la farraginosità delle procedure pubbliche rende veramente difficile vedere subito un effetto sulla crescita economica, al momento ferma e immobile, dovuta in gran parte alle aspettative negative generate da questa compagine governativa, all’attacco contro l’Europa, i mercati finanziari (che ci finanziano ogni mese) e tutte le autorità di garanzia, compresa la Banca d’Italia, che purtroppo, aveva ragione da vendere sulla revisione delle stime del pil al ribasso.
Un fatto è comunque certo: il salvataggio di Alitalia. L’ennesimo prestito è stato convertito in capitale, nonostante la contrarietà della Commissione europea. Non si contano negli anni i denari buttati nella fornace della peggiore compagnia aerea del mondo: più vola, più perde. E questo sarebbe il decreto crescita? Si tratta di un ossimoro, come ghiaccio bollente. L’unica cosa che cresce in questo decreto è il debito pubblico, che ha raggiunto i 2.353 miliardi di euro, 70 miliardi in più rispetto all’anno scorso.
Come hanno spiegato gli economisti Reinhart e Rogoff, con un debito pubblico nell’intorno del 132% la crescita economica è molto più difficile da conseguire perchè il costo del debito grava sulle imprese e sugli investimenti pubblici, che infatti da anni languono e spesso sono diretti verso progetti poco rispondenti alle esigenze della popolazione.

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