La povertà a Brindisi è ormai diventata... pane quotidiano. La si può “toccare” con mano in ogni anfratto cittadino, la si “respira” nell’aria, vedendo lo sfrattato che chiede aiuti al Comune per pagare la casa o per avere un tetto (anche il più umile e modesto), il pensionato che rovista tra i cassonetti in cerca di qualcosa di utile, la gente che chiede l’elemosina e, soprattutto, la lunga coda sull’uscio della Caritas.
Ecco, proprio la Caritas rappresenta il “termometro” della povertà in città, con i suoi oltre 250 pasti in media distribuiti quotidianamente, di cui un buon 70% (e più) portati direttamente al domicilio di chi - e sono appunto tanti - si vergogna a farsi notare nei pressi di via Conserva.
Sulle tematiche della mensa cittadina, della povertà, dell’accoglienza verso gli extracomunitari e del razzismo, don Pietro De Mita, responsabile della Caritas e sempre vicino alle esigenze degli ultimi, ha sempre tanto da dire.


Com’è impegnata la Caritas nel servizio mensa?
«La mensa è un’esperienza cittadina quotidiana che coinvolge da più di 15 anni tutte le parrocchie di Brindisi. Da noi siedono principalmente cittadini stranieri. Gli italiani bisognosi preferiscono portare a casa il cibo da noi fornito. Offriamo circa 250 pasti al giorno e al funzionamento della struttura collaborano diverse persone impegnate nel volontariato. Siamo molto attenti alla qualità dell’alimentazione e cerchiamo di venire incontro, per quello che è possibile, alle esigenze e alle sensibilità provenienti da culture diverse».


Quali sono gli aspetti legati alla povertà più preminenti a Brindisi?
«La nostra esperienza ci dice che il problema abitativo e la conseguente difficoltà a trovare una casa sono le emergenza più grandi. Insieme a questo metterei i giovani che non lavorano e che riescono ad andare avanti solo rimanendo in famiglia. C’è anche una povertà culturale che è frutto di un certo isolamento nel quale si sono rifugiati i giovani, ma anche del ridimensionamento del ruolo della scuola e, ancora peggio, dell’abbandono degli studi».


Un problema (quello della povertà culturale) che proprio in questi giorni è al centro di un focus della Regione Puglia che spiega che la scelta di abbandonare gli studi è principalmente legata alla condizione economica, sociale e culturale del nucleo familiare di origine. Ma anche la scelta di quale percorso di studi intraprendere non è indipendente dalla provenienza del minore. Ha una correlazione con diversi fattori, tra cui la condizione sociale, professionale e culturale dei genitori. Quale lo stato dell’accoglienza degli extracomunitari secondo lei?
«Il dormitorio è la cartina di tornasole del problema. C’è bisogno di un cambiamento di mentalità e l’integrazione qui non è facile. Reputo positiva la decisione del sindaco Rossi di coinvolgere nella questione le associazioni e la comunità tutta. Si deve trovare una soluzione condivisa e giusta per queste persone più deboli che non possono rischiare di rimanere in strada. Oltre all’emergenza bisogna avere grande spirito di comprensione».


Ma c’è razzismo a Brindisi?
«Non direi vero e proprio razzismo ma indifferenza. Il clima politico non è quello giusto. Di contro c’è tanta gente impegnata nell’integrazione che quotidianamente mette a disposizione degli immigrati».

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