Sei anni di reclusione per don Antonio Calderaro, 51 anni, l’oramai ex parroco di San Costantino di Rivello e quattro a testa per gli altri tre imputati nell’ambito del procedimento per rapporti sessuali con ragazzini che sarebbero stati adescati attraverso i social e poi pagati per consumare rapporti sessuali. È il verdetto della Corte d’Appello di Potenza presieduta da Rocco Pavese che ha confermato così il verdetto di primo grado emesso un anno fa dal Tribunale di Matera.

Oltre a don Calderaro (difeso dagli avvocati Nuccio Labriola di Matera e Gennaro Lavitola di Lagonegro) gli altri 3 imputati, nei confronti dei quali è stata pronunciata la sentenza di condanna a 4 anni di reclusione, sono Rizwan Muhammad, Giancarmelo Varasano e Vincenzo Casanova. Nello stesso procedimento altre quattro persone vennero condannate dal Gup in abbreviato a pene comprese tra i due anni e due mesi e due anni e otto mesi.

Diversa la scelta degli altri 4 tra cui don Calderaro, indubbiamente la persona su cui più si sono incentrate le attenzioni, che hanno seguito il normale iter procedurale e dopo la prima condanna hanno provato il ricorso in Appello. Per il sacerdote, sospeso a divinis appena emersero i fatti, un processo che non era tanto mirato ad accertare la sussistenza dei fatti (lo stesso ex parroco aveva confessato) ma a determinare la pena, così come l’appello.

Facile, a questo punto, che la vicenda prosegua in Cassazione. Per Calderaro si pone anche il problema dell’espiazione della pena. Già oltre metà dei 6 anni li ha scontati (fu arrestato ad aprile del 2015 e ancora è agli arresti domiciliari) e qualora la condanna diventasse definitiva potrebbero anche aprirsi le porte del carcere. Per il tipo di reato, infatti, non è ammesso l’affidamento ai servizi sociali in prova anche se tanto potrebbe avvenire a seguito di una dichiarazione di non pericolosità sociale.

Probabile, quindi, che la difesa coltivi ora entrambe le strade, quella del ricorso in Cassazione, durante il quale Caldararo resterebbe preventivamente ai domiliciliari scontando così un’altra parte della pena, e quella di ottenere la dichiarazione di non pericolosità sociale.

Il prete, lo ricordiamo, finì agli arresti domiciliari il 21 aprile 2015, nell’ambito di un’inchiesta della Procura del capoluogo lucano sull’adescamento di minori, attraverso i social network, poi pagati per consumare atti sessuali. A far partire le indagini la scoperta della sorella di un quattordicenne del fatto che il fratello prendeva appuntamenti via computer. Gli incontri sessuali sarebbero avvenuti nei pressi dei lidi di Rotondella e Nova Siri tra il 2012 e il 2013.

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