«Il Giudice ha accertato la pericolosità sociale qualificata da parte di Mario Ciancio Sanfilippo fondata sulla verifica del fatto che vi é stato un apporto costante e di rilievo nei confronti di Cosa nostra». Lo ha detto il Procuratore a Catania Carmelo Zuccaro incontrando la stampa in merito al sequestro dei beni per almeno 150 milioni di euro dell’imprenditore e editore, Mario Ciancio Sanfilippo. La dda catanese sostiene che Sanfilippo abbia imposto «la linea editoriale della testata giornalistica con più lettori in Sicilia Orientale, improntata alla finalità di mantenere nell’ombra i rapporti tra la famiglia mafiosa e le imprese direttamente o per interposta persona controllate dalla medesima». 

LE PAROLE DEL PROCURATORE ZUCCARO - «Il Tribunale, letti i documenti e ascoltate le argomentazioni del pm e della difesa, ha ritenuto che Mario Ciancio Sanfilippo sin dall’avvio della sua attività, nei primi anni '70, e fino al 2013 abbia agito, imprenditorialmente, nell’interesse proprio e nell’interesse di Cosa nostra e che in ragione di ciò il suo patrimonio si sia implementato illecitamente, giovandosi anche di finanziamenti occulti e che anche il predetto sodalizio mafioso si sia rafforzato grazie ai fortunati investimenti realizzati per il tramite del Ciancio. L'età avanzata e il tempo risalente degli ultimi accertamenti (2013) hanno indotto il Tribunale a escludere l’attualità della pericolosità sociale, ma tale conclusione, per disposto di legge, non consente al soggetto ritenuto pericoloso di continuare a detenere il patrimonio acquisito in ragione delle illecite cointeressenze, sicché il Tribunale ne ha disposto la confisca»

I 5 PROGETTI INCRIMINATI - Sono cinque le vicende imprenditoriali nelle quali i giudici di Catania hanno individuato l’esistenza di rapporti tra l’editore Mario Ciancio Sanfilippo e ambienti di mafia, dice la Dda catanese. Il caso più rilevante è quello del centro commerciale Porte di Catania, un complesso che ospita 150 negozi.
Nell’affare della costruzione del centro Ciancio era socio, sostengono i giudici, di Giovanni Vizzini e Tommaso Mercadante, vicini a personaggi coinvolti in vicende di mafia. La realizzazione dell’opera venne poi affidata all’imprenditore Vincenzo Basilotta anche se vi era l’intenzione di coinvolgere Mariano Incarbone. Sia Basilotta che Incarbone sono indicati come vicini a Cosa nostra. Basilotta è morto mentre veniva giudicato per associazione mafiosa, Incarbone sarebbe legato al clan Santapola. Da intercettazioni emerge che «l'affare era infiltrato da Cosa nostra» e che Basilotta aveva «lucrato 600mila euro». Li aveva poi consegnati all’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo: sarebbe stato il compenso dell’interessamento di Lombardo al progetto al quale partecipava Mario Ciancio. Tra gli altri affari imprenditoriali contestati all’editore, c'è anche il parco commerciale Sicily outlet di Dittaino, in provincia di Enna. Oltre a essere proprietario dei terreni, Ciancio era socio della Dittaino Development che avrebbe affidato parte dei lavori a Basilotta e Incarobone. Nel provvedimento dei giudici si fa riferimento ancora a tre progetti non realizzati: Stella polare; un insediamento residenziale a supporto della base di Sigonella; la costruzione del polo commerciale Mito. In tutti e tre i casi Ciancio era proprietari dei terreni. A Stella polare era interessato Incarbone come general contractor. Le residenze di Sigonella dovevano essere costruite da Basilotta. Al polo Mito con Ciancio erano interessate «altre persone in rapporti con Cosa nostra palermitana e messinese».

IL PARERE DEL LEGALE DI CIANCIO - «Mario Ciancio è vicino ai mafiosi per decreto del Tribunale. Non perché lo abbiano percepito i cittadini di Catania che lo hanno avuto accanto per tutta la vita, non perché abbia commesso fatti eclatanti noti alla opinione pubblica, non perché abbia avuto frequentazioni poco chiare, ma per decreto. Un decreto che ha raccolto un mosaico variegato di sospetti e li ha fatti diventare il presupposto di un giudizio di pericolosità sociale. Quella persona che per tanti anni è stata al centro della società catanese, oggi è additata come persona che addirittura avrebbe riciclato il danaro della mafia. Editore di un giornale asservito alla mafia, i cui giornalisti sarebbero stati privi della libertà di pensiero». Lo dice in una lunghissima nota l'avvocato Carmelo Peluso uno dei difensori dell’imprenditore Mario Ciancio Sanfilippo. La nota ripercorre alcuni passaggi della vita imprenditoriale dell’editore catanese, gli inizi, l'espansione degli interessi in agricoltura e nell’editoria e ricorda episodi come quando «il principe Carlo d’Inghilterra, con la moglie Diana, nell’anno 1984, decidono di visitare la Sicilia» e sono ospiti di Ciancio. «Una ospitalità passata, inevitabilmente - dice il legale - attraverso il filtro delle indagini del prefetto di Catania Verga - poi nominato Commissario antimafia - nonché dei servizi segreti di sua Maestà britannica per verificare il rigore morale e la trasparenza assoluta della famiglia che avrebbe accolto Carlo e Diana in Sicilia». «E' bene sapere che il procedimento di prevenzione antimafia si fonda sul mero sospetto e non sulla prova rigorosa della responsabilità, che è l’unica che può dar luogo ad una sentenza di condanna - spiega Peluso - Il Tribunale della prevenzione emette un giudizio sulla pericolosità sociale di un soggetto in funzione del sospetto di una sua 'appartenenza' a sodalizi mafiosi. Ciò basta per rendere inquietante questo giudizio, che deve essere condotto con grande equilibrio, proprio per non indulgere al sospetto privo del requisito di 'concretezza' che la legge impone». «Il solo auspicio è che il Giudice di appello abbia la serenità di valutare correttamente il materiale proposto dall’Accusa», spiega Carmelo Peluso. «Infinitamente difficile è fornire la prova di tutti gli investimenti effettuati in quarant'anni di vita dal Ciancio, essendo impossibile reperire presso le Banche documenti risalenti ad oltre un decennio - sottolinea - La Difesa ha ricostruito quanto possibile, con attenzione e dovizia di particolari, dovendo arrendersi solo davanti all’assenza di dati ultraquarantennali. Oggi, però, fa male leggere nel decreto del Tribunale che Ciancio nei primi anni Settanta avrebbe riciclato due miliardi e mezzo di lire provento di attività mafiose, solo perché è difficilissimo reperire la documentazione relativa alla provenienza di quel danaro. Che era danaro della famiglia ricca, di cui si è detto». «Pensiamo, però - prosegue - alla assurdità dell’accusa fiondata sul solo sospetto senza prova, un giudizio senza processo. Se è vero che storicamente la mafia divenne imprenditrice solo alla fine degli anni Ottanta, quale mafioso avrebbe accumulato quella fortuna negli anni Settanta? E con quali attività? Anche la fonte illecita quindi è stata individuata solo per la 'intuizionè del Giudice, che si fonda sul sospetto e no sulla prova. Due miliardi e mezzo ricavati dalla mafia (quale mafia?) da attività illecite (quali attività?) e consegnate a Ciancio (perché a Ciancio e non ad altri Cavalieri più titolati di lui per 'vicinanzà ad ambienti mafiosi?). Due miliardi e mezzo in un tempo il cui la benzina costava cento lire al litro e un impiegato guadagnava 250.000 lire al mese. Viene voglia di definire il sospetto del Tribunale un incredibile falso storico. Nonostante tutto, però, noi crediamo nel Giudice di appello». 

LA SITUAZIONE DELLA "GAZZETTA" - «Piena fiducia per l’operato della magistratura e una forte preoccupazione per i riflessi che nell’immediato potrebbero toccare la Gazzetta del Mezzogiorno e tutti coloro che contribuiscono quotidianamente all’uscita del giornale» vengono espressi in un documento comune da Slc/Cgil, Fistel/Cisl, Uilcom/Uil in merito all’inchiesta che ha coinvolto l'editore Mario Ciancio Sanfilippo e «prodotto riflessi sulle molteplici attività nelle quali era impegnato».
«Da anni - si legge nella nota - persiste una situazione di difficoltà che attanaglia il giornale e in questa particolare fase vi è un tavolo sindacale aperto per il rinnovo degli ammortizzatori sociali. L’avvenuto fatto di cronaca genera delle difficoltà che potrebbero rimbalzare in maniera ostativa sul tavolo del confronto in quanto, nel momento in cui scriviamo, non ci è dato di sapere se l’attuale Direzione Aziendale è legittimata a sottoscrivere accordi con i rappresentanti dei Lavoratori, ovvero bisognerà attendere un incontro con i Commissari Giudiziari».
«Ciò detto - prosegue la nota - risulta del tutto evidente che il sindacato aderirà ad ogni percorso finalizzato alla messa in sicurezza di tutti i lavoratori e valuterà come proseguire la trattativa e soprattutto con chi». Insieme con la Rsu, i sindacati «confermano il proprio impegno a difesa di uno dei pilastri portanti della informazione, non solo nel nostro territorio, e si adopereranno sia con una richiesta formale ai Commissari Giudiziari, sia con il coinvolgimento di tutte le forze sane presenti in Puglia, ivi compresa Area Metropolitana e Regione. Tutti a insieme con l’obiettivo di difendere il perimetro occupazionale e la tenuta del giornale». 

Solidarietà a tutti i lavoratori e giornalisti della Gazzetta del Mezzogiorno dopo le notizie sui sequestri delle quote di maggioranza del giornale dell’editore Ciancio Sanfilippo viene espressa unanimemente dal mondo politico pugliese.
Per Fratelli d’Italia il deputato Marcello Gemmato, coordinatore regionale, e il consigliere regionale Saverio Congedo, auspicano «che le vicende ultime non pregiudichino la pubblicazione ed i livelli occupazionali dell’importante quotidiano pugliese da sempre punto di riferimento del giornalismo per la Puglia e megafono dei territori».
Il coordinatore di Puglia Popolare, Massimo Cassano, auspica tempi rapidi per l’inchiesta in modo che la Gazzetta possa "continuare a svolgere il proprio compito a favore della libera informazione con tempi certi sulla propria amministrazione». La giustizia faccia il suo corso - afferma - ma lo faccia con celerità e rispetto per chi è al di sopra di ogni sospetto, restituendo alla Redazione del giornale la serenità per andare avanti».
Per il vicepresidente del Consiglio Regionale, Giuseppe Longo, è un dovere «per le Istituzioni di una Puglia che voglia dirsi moderna, difendere con le unghie e senza remore, le migliaia di copie che quotidianamente ci consegnano il direttore De Tomaso, i giornalisti e i poligrafici della Gazzetta del Mezzogiorno. Il mondo dell’Editoria, è stato tra i più colpiti dalla crisi che si è abbattuta negli ultimi anni sulla nostra economia. La Gazzetta deve restare baluardo della verità e sostegno a quella nuova ed essenziale visione di modernità. Chi sta svolgendo le giuste indagini giudiziarie non può non tenerne conto».
Per il gruppo regionale di Direzione Italia/Noi con l’Italia (Ignazio Zullo, Francesco Ventola, Luigi Manca e Renato Perrini), «La Gazzetta del Mezzogiorno è un patrimonio giornalistico-imprenditoriale-culturale che appartiene a tutti i pugliesi! Una delle più prestigiose e antiche testate del Mezzogiorno si ritrova in queste ore coinvolta in un sequestro a causa di un’inchiesta penale che riguarda il suo editore siciliano. Tutto questo non può e non deve inquinare il lavoro dei giornalisti. Auspichiamo che la giustizia faccia subito il suo corso e chiarezza, ma soprattutto che il futuro imprenditoriale possa essere coniugato in lingua pugliese».
Anche i consiglieri regionali del Gruppo Pd esprimono "vicinanza e solidarietà ai lavoratori e ai giornalisti de «La Gazzetta del Mezzogiorno», e auspicano che «la situazione possa essere chiarita al più presto nelle competenti sedi», ricordando "che La Gazzetta è un pezzo importante della storia della nostra regione». Auspicano, «pertanto, che la situazione possa evolvere in maniera positiva sia per i lavoratori che per l’informazione in Puglia».
Per il capogruppo regionale di Fi, Nino Marmo: «Per un giornale storico del nostro territorio - ha detto - sentiamo di dover interpellare Bari: dal capoluogo emerga una classe imprenditoriale in grado di prendere le redini del quotidiano e restituire ai dipendenti la necessaria serenità. Con questo auspicio, esprimiamo la nostra più sincera solidarietà nella certezza di interpretare il sentimento di tutto il Consiglio regionale».
Anche il gruppo «la Puglia con Emiliano» con il presidente Paolo Pellegrino ha espresso «solidarietà ai lavoratori auspicando rapida soluzione» della vicenda.

FITTO: «SOLUZIONE RAPIDA» - «La Gazzetta del Mezzogiorno non è solo un quotidiano da leggere, è un patrimonio giornalistico, storico, culturale. Per questo le notizie giudiziarie che giungono da Catania e che coinvolgono l’editore, ci preoccupano ed auspichiamo una soluzione rapida a prescindere dalla vicenda penale. Vicinanza e solidarietà a nome mio e di tutto il partito al direttore, ai giornalisti ed a tutti i dipendenti». Lo afferma in una nota il leader di Noi con L’Italia, Raffaele Fitto.

EMILIANO: «GAZZETTA PILASTRO DEMOCRAZIA» - La Gazzetta del Mezzogiorno é un pilastro della democrazia e della libertà di stampa della Regione Puglia del quale il nostro territorio non può fare a meno. Esprimo dunque a nome della intera comunità pugliese la solidarietà più sincera nei confronti dei giornalisti e delle maestranze per il momento di sofferenza incolpevole che stanno vivendo. Faremo ogni sforzo per tutelare la testata e i lavoratori» Lo dichiara il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano.

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