Il pane fresco deve essere venduto entro e non oltre la giornata in cui è stato prodotto. Sembrerà strano ma c’è voluta una legge per stabilirlo definitivamente.
Con l’avvento della grande e gigantesca distribuzione, infatti, il settore della panificazione (e la piccola economia “glocal”) è stato sconvolto con l’avvento di pane surgelato, precotto, pronto ad essere consumato giorni dopo la sua effettiva produzione. Ma venduto come “caldo di forno”.
È stata approvata all’unanimità la legge regionale che tutela panificatori e consumatori. Soddisfatto per un grande successo che coinvolge e tutela tutta categoria, fino ai consumatori finali, il neritino Franco Muci, presidente provinciale dell’associazione panificatori provinciali artigiani di Lecce (Appal), vice-presidente nazionale della Federazione Italiana panificatori, panificatori-pasticceri ed affini (Fippa) e promotore del disegno di legge. Si tratta di quindici articoli finalizzati a tutelare il pane ed i panificatori pugliesi, ma anche e soprattutto, come si è detto, i consumatori. Tra le voci più rilevanti che disciplinano l’attività di produzione e di vendita si trova la modernizzazione e sviluppo, la formazione professionale, rispetto delle buone pratiche e la valorizzazione della filiera pugliese.


Rimarcata anche l’importanza di azioni finalizzate al recupero e alla ridistribuzione delle eccedenze. Particolare attenzione è stata riservata alle “modalità di vendita”, definite dall’articolo 6 che inizia così: «Il pane fresco deve essere venduto entro e non oltre la giornata in cui è stato concluso il processo produttivo». Un aspetto molto sentito sia dalle associazioni di panificatori che hanno presentato il disegno di legge che dall’intero consiglio regionale, chiamato a votare.
L’articolo continua specificando che il pane conservato va posto in vendita in scomparti igienicamente idonei ed appositamente riservati, con una dicitura aggiuntiva che ne deve evidenziare lo stato ed il metodo di conservazione. Inoltre si specifica che sarà obbligatorio smerciare pane fresco in scaffali distinti e separati rispetto ai prodotti ottenuti dagli intermedi di panificazione. «Il settore della panificazione – commenta e spiega Franco Muci - era carente di regolamentazione dal 2006, ovvero dopo il decreto Bersani che liberalizzò il settore. Da quel giorno molte persone, senza alcuna competenza si sono sentite autorizzate ad avviare un’attività nel mondo della panificazione.

Senza arte né parte, hanno pensato che per arricchirsi bastava mescolare farina, acqua e sale. Si è creata così una forma di concorrenza sleale e la mancanza di competenza ha gettato nel discredito l’intera categoria, aumentando la diffidenza tra i consumatori. Si è così creato un forte squilibrio nella fornitura di pane ai commercianti e alla grande distribuzione. Tutto questo, per ben dodici anni, ha impedito che i panificatori venissero retribuiti secondo gli investimenti effettuati per svolgere professionalmente il loro duro lavoro quotidiano. Grazie all’impegno dell’associazione Appal di cui sono presidente regionale da ben diciott’anni e da qualche anno vice-presidente nazionale. I continui solleciti e stimoli ricevuti in questi anni si sono tradotti in un costante impegno e finalmente possiamo dire di aver ottenuto un grande risultato per tutti i lavoratori impegnati in questo settore, dall’operaio all’imprenditore».

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