Diritto e Fisco | Editoriale

L’equo compenso andrà a danno dei consumatori

30 Novembre 2017 | Autore:
L’equo compenso andrà a danno dei consumatori

La restrizione della concorrenza introdotta dalla nuova normativa sull’equo compenso comporterà un aumento di spesa per i consumatori.

La Camera ha appena approvato il cosiddetto «decreto fiscale» collegato alla legge di Bilancio 2018 [1]. Ma tra le nuove norme ne figura anche una che potrebbe avere effetti dirompenti su tutti i consumatori e, in particolare, sui prezzi che questi dovranno pagare alle assicurazioni, alle banche e alle grosse società. Stiamo parlando di ciò che è stato battezzato equo compenso. Questa norma, apparsa come una conquista per il ceto dei professionisti – attualmente quello più investito dalla crisi – ha, in verità, un risvolto negativo per tutto il resto della popolazione. Di tanto si è accorto anche il Garante della Concorrenza a cui, tuttavia, va il demerito di aver lanciare il proprio monito solo qualche giorno prima dell’approvazione della legge. Vediamo meglio di cosa si tratta, cos’è l’equo compenso e quali ripercussioni avrà sugli italiani.

Molti professionisti, tra cui soprattutto gli avvocati, a lungo sono stati protetti da tariffe imposte per legge, come un tempo era per il latte e il pane. Così, se un furbetto neo-abilitato avesse voluto farsi conoscere e praticare prezzi più bassi dei grossi studi, sarebbe incorso in una sanzione disciplinare. Il cliente, così, di fronte l’alternativa di pagare lo stesso importo sia al “piccolo” che al “grande”, sceglieva inevitabilmente quest’ultimo.

Il famoso decreto Bersani ha cancellato questa previsione corporativa. In realtà, Bersani non ha alcun merito, poiché la norma è l’attuazione di una direttiva della Comunità Europea, da sempre preoccupata per la mancanza di concorrenza nel nostro Paese.

Da allora tutti i professionisti sono liberi di concordare le tariffe coi propri clienti. Il prezzo praticato non poteva – e non può – essere motivo di sanzioni.

In Italia, le conquiste di una classe spesso vanno a danno di tutte le altre

Oggi invece si ripristina qualcosa di molto simile al passato. Il decreto fiscale infatti ha istituito il cosiddetto equo compenso: vengono ripristinate le “tariffe minime” ma solo per le banche, le assicurazioni e le grosse società. In questo modo si evita la pratica di molti gruppi, particolarmente forti da un punto di vista economico, che hanno scelto i propri collaboratori imponendo loro delle tariffe estremamente basse. Compensi tuttavia sempre accettati – anche con estremo gaudio – dai professionisti per via dell’elevato numero di pratiche e per la loro ripetitività. Insomma, per tali convenzioni si fa ancora a gara.

«E che mi frega!» dirà il consumatore visto che non è una società e, quindi resta ancora libero di trattare un compenso minimo con l’avvocato, l’ingegnere, l’architetto, l’amministratore di condominio, il consulente del lavoro. «Ti frega», riteniamo noi… frega tutti. Ecco perché.

Le società, specie quelle più grosse, hanno logiche di bilancio rigidissime. Tanto esce, tanto deve rientrare. Se aumentano i costi, questi vengono inevitabilmente spalmati sui clienti, ossia sui prezzi praticati al consumo. Se, ad esempio, dovesse uscire una legge che impone alle assicurazioni di acquistare, per ogni automobilista, una telecamera per registrare eventuali incidenti, la spesa verrebbe ripartita sulle polizze. Se una norma dovesse imporre alle banche di regalare ai propri correntisti uno smartphone per leggere gli estratti conto, questa spesa sarebbe recuperata sotto forma di altri oneri ai danni della clientela.

A pagare gli avvocati della banca non saranno le banche, ma i clienti delle banche. A pagare i periti delle assicurazioni non saranno i bilanci delle compagnie e una riduzione degli utili per gli azionisti, ma gli assicurati.

Considerando poi che proprio banche e assicurazioni hanno dei rami “legali” molto intasati per via dell’elevato numero di contestazioni e cause, all’aumento dei costi corrisponderà anche un aumento dei prezzi sul mercato. E a pagare le parcelle degli avvocati, dei commercialisti, degli ingegneri saranno i consumatori. Beninteso: anche i professionisti hanno diritto ad essere pagati in modo adeguato, al pari dei lavoratori dipendenti cui la contrattazione collettiva riconosce il salario minimo. Ma il punto è che spesso ci si pone solo il problema – di breve gittata – se la norma sia giusta o meno, senza poi interrogarsi sugli effetti che essa avrà sul mercato. E anche i professionisti diventano consumatori quando devono acquistare una polizza rc auto, stipulare un mutuo o firmare un abbonamento alla pay-tv. «Va bene – ribatterai tu – ma almeno loro li recuperano con le parcelle». Non è così. Sono davvero pochissimi i professionisti che hanno la fortuna di avere clienti importanti. Tutti gli altri resteranno a bocca asciutta, con la soddisfazione – solo morale – di aver vinto una battaglia ideologica a favore della “categoria”, ma con l’amaro di dover pagare da domani dei prezzi più alti di prima. Fregati tutti insomma per favorire pochi. E questo perché il Governo non se l’è sentita di scontentare i rappresentati dei piani alti dei professionisti.

Tutto questo, in un certo senso, lo ha detto l’altro giorno l’Antitrust, secondo cui  l’equo compenso «reintroduce di fatto i minimi tariffari, con l’effetto di ostacolare la concorrenza di prezzo tra professionisti nelle relazioni commerciali». Ed è verosimile che se un domani una società dovesse rifiutarsi di applicare la normativa, arrivando sino alla Corte di Giustizia, l’Europa le darà ragione. La legge quindi «non risponde ai principi di proporzionalità concorrenziale» e addirittura si pone in contrasto «i processi di liberalizzazione» che interessano anche il settore delle professioni regolamentate. Inoltre, il parere sostiene che l’introduzione dell’equo compenso danneggi i «newcomer», cioè i giovani professionisti che arrivano sul mercato e vogliono farsi conoscere; ed infine la previsione di compensi minimi tutelerebbe gli interessi di categoria piuttosto che quelli della collettività. Forse proprio per questo, ieri il presidente della commissione Bilancio di Montecitorio, Francesco Boccia, ha annunciato già delle modifiche al testo appena licenziato dal Parlamento: l’equo compenso resta ma sarà sottoposto a un restyling. Una affermazione pronunciata durante la manifestazione proprio sull’equo compenso organizzata a Roma dal Comitato unitario delle professioni (Cup) e dalla Rete delle professioni tecniche (Rpt).

note

[1] Legge di conversione del Dl n. 148 del 16.10.2017.

Autore immagine 123rf com

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12 Commenti

  1. Sciocchezze. La passata abolizione delle tariffe minime non ha arricchito i consumatori ma, in compenso, ha impoverito i professionisti e la qualità delle prestazioni.

  2. Articolo coraggioso, come tutto ciò che caratterizza questo blog. Sono sicuro che tutta la classe non accetterà, il che confermerà il valore del pezzo. Del resto in Italia avere delle proprie idee non paga.

  3. Io solitamente vi apprezzo, ma questo articolo non può che essere definito vergognoso.
    L’abolizione dei minimi tariffari ha ridotto sul lastrico centinaia di migliaia di professionisti a causa di chi lavora con prezzi da concorrenza sleale e con prestazioni piene di pressapochismi ed errori scandalosi. Riempiendo le nostre città di porcherie al di sotto della soglia della decenza, dando da campare chi ha preso una laurea coi punti del supermercato e lavora un tanto al chilo.
    Siamo sicuri che la sciura Maria che, risparmiando sulla pratica, si ritrova in mano quello che è un pezzo di carta igienica abbia veramente risparmiato e non abbia subito un danno? Specie se pensiamo ai sovracosti dovuti al rifacimento di pratiche, correzione di errori ed applicazione disperata di pezze ai mal lavori di professionisti cheap ed incapaci, cause legali, ecc.
    Ma del resto parlare è facile per chi i minimi li ha sempre avuti e pure con tariffe lobbistiche ben al di sopra di quelli di altre categorie…

  4. Si dovrebbe tornare a mettere al centro non il mercato ed il consumatore, ma la dignità della persona e del lavoratore ( qualunque lavoratore) la cui retribuzione dovrebbe garantire una vita dignitosa (art.36 Cost), ed impedire ogni tipo di sfruttamento.

  5. Forse va anche ricordato che la c.d. legge Bersani ha protetto l’evasione consentendo di fatturare meno
    di quanto percepito impedendo di fatto la possibile contestazione oltre ad avere impoverito la qualità del lavoro professionale. L’autore dell’articolo non ha operato tutte le necessarie considerazioni. Forse un pizzico di maggior obiettività non avrebbe guastato. Condivido quanto scrive Franca che troppi professionisti, anche per questo motivo, sono in grave difficoltà ed aggiungo che il loro “lavoro” non è riconosciuto come tale dal legislatore e dalla gente in genere quando invece è uno dei più impegnativi e stressanti.

  6. Buonasera,
    mi permetto di correggere l’articolo, in quanto l’emendamento inserito da Sacconi nel decreto e poi approvato vale anche per i rapporti con i privati (perlomeno per i professionisti tecnici) e non solo per le società.
    saluti.

  7. Sarebbe opportuno che chi scrive certi articoli, prima di generalizzare si informasse, magari con un’approfondita inchiesta così da conoscere a fondo le questioni che tratta. Visto che nell’articolo si parla di “periti delle assicurazioni” mi piacerebbe sapere se il giornalista conosce quali sono i compensi che attualmente vengono riconosciuti ai “periti” dalle imprese di assicurazione. Se conosce quaali sono le modalità che portano le imprese a sceglere ed a mantenere il rapporto di fiducia con il “professionista” e quali sono i reali vantaggi/svantaggi per i consumatori. Non credo che il giornista sia a conoscenza del fatto che i compensi dei periti sono attualmente più bassi di quelli che erano nel 2001 (anno di entrata in vigore dell’euro) già allora bassi. Non credo che il giornalista sia a conoscenza del fatto che da allora (2001) ad oggi a compensi più bassi corrisponda una richiesta di attività amministrative dieci volte maggiori e quasi tutte a costo zero per le imprese di assicurazione, spalmate sulle spalle dei fornitori (periti). Non credo che sappia, il giornalista, che con le attuali parcelle riconosciute delle imprese occorra efefttuare più di mille pratiche solo per pagare il costo dell’impiegata/o ed altrettanto serve per pagare gli altri costi di di gestione dello studio. Dopo aver fatto oltre 2000 perizie solo per pagare i costi e un amministrativo, che spesso funge da back office per le stesse imprese di assicurazioni (il danneggiato ha più facilità a raggiungere il perito ettenenendo risposte più precise che non i call center delle imprese) quando tempo ritiene, il giornalista, che resti alla partita IVA (pseudo professionista a questo punto) per effettuare le restanti pratiche che gli permettano di avere un equo compenso (almeno pari a quello della propria impoiegata/o) potendolo anche giustificare fiscalmente in caso di controllo (si consideri che le assicurazioni pagano solo dopo presentazione di fattura e spesso a distanza di mesi dalla prestazione) ? Conosce, il giornalista, qual’è attualmente l’imposizione fiscale in capo alla partita IVA? E’ a conoscenza il giornalista che dal 2009 ad oggi il numero di pratiche gestite da periti per conto delle imprese di assicurazione si è ridotto di oltre la metà? Nonostante una così marcata riduzione di incarichi, il mancato adeguamento (dal 2001) dei compensi, risulta, al giornalista, che vi sia stata una benchè minima riduzione delle polizze (dal 2001 non solo negli ultimi 2/3 anni)? Quanto è costato al paese Italia, in termini di consumi, tasse, ecc., il mancato adeguamento dei compensi? Quanto è mancato alle stesse imprese di assicurazione, considerando il calo di premi incassati visto che i “loro fornitori” non possono più permettersi polizze vita, infortuni, incendio, rischi diversi, ecc., per se stessi e per i propri congiunti? Conoce il giornalista che al “raddoppio” degli attuali compensi, il costo per ogni singola polizza (parlo del solo comparto rca) aumenterebbe di un solo euro e quanto invece si potrebbe risparmiare istruendo bene le pratiche? Una perizia ben fatta farebbe risparmiare alla collettività decine se non centinaia di euro. Vogliamo continuare a favorire il lavoro di pressapochisti (per non parlare della corruzione) penalizzando i lavoratori capaci ed onesti invece che premiarli?

  8. Una cosa strana che leggo alle fine di questo penoso articolo : “Richiedi una consulenza ai nostri professionisti”. Io che sono un cittadino e voglio risparmiare vela chiedo e poi visto che non vi piace l’equo compenso , vi ripago con l’equivalente di un pezzo di pizza e una birra. può andar bene?

  9. parlo solo di ciò che conosco ovvero delle professioni tecniche ( architetto,geometra, ingegnere e perito ):
    1- la crisi economica per i liberi prfessinisti è pesante ed innegabile : lo dice questo stesso articolo ma sopratutto le nostre casse di previdenza che ci permettono in questi anni bui di rateizzare
    2 – che l amministrazione pubblica ,ovvero la collettività, paghi 1 € come già è accaduto la prestazione lavorativa di chicchessia è vergognoso ed inaccettabile ( tra privati “vaccinati” la cosa può essere diversa ) ; deve essere imbarazzante proprio per il cittadino sapere di aver “taglieggiato” tramite un amministrazione pubblica un lavoratore costringendolo “al massimo ribasso senza limite”
    3 – non credo che sia logico ed utile effettuare opere pubbliche al massimo ribasso senza limite sia per quel che riguarda progettisti che imprese ….. non voglio che qualcuno di noi debba usufruire di servizi pubblici ( strade, ospedali , scuole ecc ) progettati e costruiti al massimo ribasso limiti
    CZ( ing carlo zunino)

  10. Grande delusione de “La legge per tutti”.
    Non tanto per il contenuto di questo articolo, il cui pensiero può essere condiviso o meno, ma per la mancata verifica di quello che si pubblica, diffondendo disinformazione ed esacerbando, con questo tipo di articoli, ancor di più gli animi dei cittadini delusi nei confronti dei professionisti.
    Forse il lavoro di un professionista merita meno tutela di quello di un dipendente?
    Esistono i contratti collettivi nazionali che prevedono dei salari minimi, a tutela della dignità del lavoratore dipendente.
    Esistevano, ed esistono ancora, anche se non cogenti grazie al c.d. Decreto Bersani, le tariffe professionali, i cui minimi erano posti a tutela della dignità del lavoratore professionista.
    Cosa c’entra in tutto questo la concorrenza?!
    La disapplicazione di tali tariffe ha prodotto un imbarbarimento delle professioni, per cui il lavoratore, pur di accaparrarsi il cliente è costretto a praticare tariffe ridottissime, prostituendo così la propria professionalità e dignità per pochi soldi, e, soprattutto, offrendo al Cliente una qualità inevitabilmente bassa del lavoro prestato (cercando di guadagnare piuttosto sulla quantità).
    Il danno ai consumatori, quindi, lo ha già fatto chi ha abolito i minimi tariffari !!!
    Non si faccia, allora, qualunquismo becero o sterile proselitismo, ma approfondimento delle notizie prima di pubblicare un articolo.

  11. le tariffe minime vigono in tutti i settori , perché non devono riguardare i professionisti ? gli agenti immobiliari hanno tariffe stabilite dalle camere di commercio , come gli artigiani, idraulici , falegnami muratori ecc. i professionisti devono vedere il loro lavoro intellettuale sempre più svalutato ? da quando sono stati aboliti i minimi banche e assicurazioni hanno ottenuto leggi sempre più vantaggiose e a danno dei clienti consumatori, l’abolizione delle tariffe minime oltre che essere anticostituzionale, lede gli interessi dei consumatori , chi lavora sotto la soglia dei minimi , difficilmente prende a cuore il lavoro che sta svolgendo, lo svilimento delle professioni , non porta vantaggi a nessuno ed incentiva sempre meno giovani ad intraprendere l’università.

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