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Chiedere foto di nudi è reato?

23 Luglio 2018 | Autore:
Chiedere foto di nudi è reato?

Il sexting, la richiesta, la conservazione e la condivisione di immagini di corpi nudi: cosa ne pensa la giurisprudenza e la Cassazione.

Se il sesso è (ed è sempre stato) il motore del mondo, lo è ancor di più per internet. I numerosi siti di incontri o le piattaforme di video hard ne sono una diretta testimonianza. La Cassazione ha più volte affrontato il tema del sexting, da un lato punendo chi ha usato le foto di nudi per estorcere denaro a chi si è fidato un po’ troppo di una ragazza conosciuta in chat e “si è lasciato andare”; dall’altro lato contrastando i sempre più frequenti fenomeni di pedopornografia. Pedopornografia che, lo ricordiamo, si verifica anche quando al viso del minore viene associato un corpo altrui o non reale, realizzato in computer-grafica. Qualcuno ancora si domanda se chiedere foto di nudi è reato e cosa succederebbe se un giorno la polizia dovesse trovare tali contenuti nell’hard disk. In generale la detenzione di materiale hard all’interno del computer è reato solo quando riguarda minorenni; è pienamente lecita invece se si tratta di video ritraenti persone adulte.  

Inviare foto di nudi via WhatsApp o per chat sul telefono di un’altra persona, quando non richiesti, non configura reato di molestia. L’illecito penale scatta solo quando la condotta viene posta in un luogo pubblico o a mezzo del telefono. Ebbene, a detta della Cassazione, le messaggerie come quella di Facebook Messenger o WhatsApp – per quanto si valgano di apposite app installate sullo smartphone – non sono equiparabili al telefono in senso tradizionale come forma di comunicazione diretta, né possono considerarsi comunicazioni «in luogo pubblico» attesa la riservatezza delle stesse. Il destinatario delle immagini può ben sottrarsi alla loro visione, magari bloccando il mittente o cancellando il contenuto della chat prima ancora di aprirla.

Ma che succede invece a chi chiede foto di nudi? La risposta, come spesso succede quando c’è in mezzo la legge, non può essere uguale in tutti i casi. Dipende innanzitutto dall’età del soggetto a cui viene inoltrata la richiesta e dalle modalità. Nessun dubbio che chiedere foto di nudi a una persona adulta non sia reato, a meno che non venga fatta in forma petulante tramite telefonate insistenti. Se invece viene eseguita tramite sms o email, come abbiamo detto, secondo la Suprema Corte, non è reato. Se la richiesta viene fatta sotto ricatto, allora saremo davanti a reati ben più gravi come quello di estorsione o di minaccia.

È successo di recente che la Cassazione si sia trovata a giudicare il comportamento di un uomo che, tramite un profilo falso, abbia contattato delle ragazzine minori di età per chiedere loro degli scatti da nude. Secondo i giudici supremi non ci sono dubbi: si tratta del reato di pedopornografia [1]. Inevitabile anche la condanna per “sostituzione di persona nell’identità digitale”. Ed ancora sempre la Corte ha detto che sussiste il reato di pedopornografia in caso di gestione di materiale che riprende minori, il tutto a prescindere dal loro consenso [2]. Anche le foto di minorenni in intimo, consegnate spontaneamente, sono qualificabili come materiale pedopornografico. La qualificazione di materiale pedopornografico – dice la Corte – richiede la rappresentazione di atti sessuali espliciti coinvolgenti soggetti minori di età, ovvero qualsiasi rappresentazione degli organi sessuali di minori che renda manifesta la riproduzione delle nudità a fini di concupiscenza e di ogni altra pulsione di natura sessuale

Se chiedere foto di nudi non è reato, non lo è neanche conservare le immagini sul proprio cellulare o in una cartella del computer. Lo diventerebbe invece se tali immagini fossero condivise con altre persone: non c’è bisogno di coinvolgere necessariamente una piattaforma online come YouTube o tutte le altre di filesharing; basterebbe anche l’inoltro dell’immagine tramite WhatsApp a un amico o – peggio ancora – a un gruppo di amici. Ipotesi queste che potrebbero costare care anche in termini di risarcimento per lesione all’immagine della persona. Non c’è quindi solo il penale, ma anche il civile; e si sà… quest’ultimo, anche se dura anni, non va mai in prescrizione. Solo la sentenza di condanna al risarcimento – in quanto titolo esecutivo – potrebbe andare in prescrizione, ma entro dieci anni e sempre che, in tale arco di tempo, non siano inviati solleciti o atti di precetto.

Sempre in tema di nudi e di riprese fotografiche o video, la Cassazione ha da ultimo detto che chi filma un rapporto sessuale in casa propria, all’insaputa del partner “ospitato”, non commette reato. Cosicché quest’ultimo, quand’anche venga a sapere di essere stato oggetto di una telecamera nascosta non potrà né chiedere la cancellazione del file, né denunciare il responsabile.

note

[1] Cass. sent. n. 33862/18 del 19.07.2018.

[2] Cass. sent. n. 34162/2018.

[3] Cass. sent. n. 27160/18 del 13.06.2018.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 8 giugno – 19 luglio 2018 n. 33862

Presidente Sabeone – Relatore Tudino

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Milano ha confermato la decisione del Gup del Tribunale in sede del 12 ottobre 2016 con la quale era stata affermata la penale responsabilità di Da. Ro. per i reati di sostituzione di persona nell’identità digitale, detenzione di materiale pedopornografico e violenza privata.

La corte territoriale ha ritenuto, pur all’esito delle deduzioni defensionali, che l’imputato – previa istituzione di un profilo facebook recante l’immagine di altra persona ed al fine di acquisire la fiducia di minori – avesse intrapreso rapporti telefonici con diverse giovani, alle quali aveva richiesto fotografie a sfondo erotico nella quali le medesime erano riprese svestite, inducendole alla consegna attraverso la prospettazione di diffondere in rete immagini già in suo possesso.

2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso l’imputato, per mezzo dei difensore, articolando tre motivi.

2.1. Deduce con la prima doglianza, falsa applicazione della legge penale e correlato vizio di motivazione in riferimento al reato di cui all’art. 494 cod. pen. per averne la corte territoriale affermato la sussistenza sulla scorta delle dichiarazioni delle persona offese dalle quali non emerge, invece, alcuna sostituzione di persona.

2.2. Censura, con il secondo motivo, violazione della legge penale e correlato vizio di motivazione in riferimento al reato di violenza privata, per non avere i giudici di merito considerato il contenuto di una intercettazione telefonica dalla quale risulta come l’imputato fosse vittima delle continue telefonate di No. De Ca., per interrompere le quali avrebbe prospettato alla medesima di diffondere in rete le fotografie in suo possesso, con conseguente assenza di intenti ricattatori, e per avere valorizzato la deposizione della persona offesa Ba., senza considerare la spontanea iniziativa di costei nel trasmettere proprie fotografie all’imputato.

2.3. Il terzo motivo deduce analoga censura in riferimento al reato di cui all’art. 600 quater cod. pen., in presenza delle dichiarazioni generiche di Gi. Gu., non potendo le immagini in contestazione, spontaneamente consegnate all’imputato dalle persone offese, definirsi di contenuto pedopornografico, bensì ritraenti giovai donne in intimo, e per essere i video realizzati con la minore Gi. Il. mera documentazione, a ricordo, della relazione intercorsa con l’imputato.

Considerato in diritto

1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono infondati.

2. Secondo il consolidato orientamento di legittimità, integra il delitto di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.) la creazione ed utilizzazione di un profilo su social network, utilizzando abusivamente l’immagine di una persona del tutto inconsapevole (Sez. 5, Sentenza n.25774 del 23/04/2014Ud. (dep. 16/06/2014), Rv. 259303), trattandosi di condotta idonea alla rappresentazione di una identità digitale non corrispondente al soggetto che lo utilizza. Sotto il versante soggettivo, il dolo specifico del delitto di sostituzione di persona consiste nel fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio, anche non patrimoniale, ovvero di recare ad altri un danno. (Sez. 5, Sentenza n.41012del26/05/2014Ud. (dep. 02/10/2014) Rv. 260493 N. 3207 del 1981, N. 13296 del 2013 Rv. 255344).

2.1. Nel caso in esame, risulta dalla sentenza impugnata che l’imputato abbia creato un profilo Facebook apponendovi la fotografia di una persona minorenne identificata (Lu. Sa.), al fine dell’agevolazione delle comunicazioni e degli scambi di contenuti in rete con persone iscritte al social network rispondenti ala medesima fascia d’età, così da indurre il ragionevole affidamento di una relazione virtuale paritetica, e con danno della persona di cui è stata abusivamente utilizzata l’immagine. La complessiva condotta dell’imputato risulta ulteriormente connotata da un vero e proprio fine di adescamento in quanto, grazie a siffatto espediente, il Ro. ha contattato diverse minorenni, successivamente intraprendendo con le medesime relazioni a sfrondo erotico documentate con immagini e con scambio di fotografie.

Nella delineata prospettiva, non rileva – in punto di sussistenza della rilevanza penale del fatto – né che l’imputato abbia, successivamente alla creazione del profilo, modificato l’immagine, né che si sia disvelato nella propria identità, trattandosi, all’evidenza, di circostanze postume, sopravvenute alla realizzazione del fine al quale la artificiosa creazione identitaria mirava.

2.2. Le censure articolate a riguardo nel primo motivo di ricorso si appalesano, pertanto, inconducenti.

3. Non sussiste il vizio di travisamento della prova dedotto con il secondo motivo di censura.

3.1. Il ricorrente lamenta la sottovalutazione del contenuto di una intercettazione telefonica nella quale l’imputato aveva riferito all’interlocutrice (Alessia Maroni) di aver “minacciato” No. Di Carlo di diffondere in rete materiale fotografico a sfondo erotico a questa riferibile “al solo scopo di impaurirla” ed al fine di arginare le insistenti richieste della minore, escludendo intenti ricattatori.

3.2. Siffatta prospettazione, in ipotesi rilevante al fine di escludere più gravi fattispecie di reato non contestate, supporta essa stessa in toto la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 610 cod. pen. in quanto ai fini del delitto di violenza privata, è sufficiente un qualsiasi comportamento od atteggiamento, sia verso il soggetto passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, finalizzato ad ottenere che, mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa (Sez. 5, Sentenza n.29261 del 24/02/2017Ud. (dep. 13/06/2017) Rv. 270869, N. 11641 del 1989 Rv. 182005, N. 1195 del 1998 Rv. 211230, N. 3403 del 2004 Rv. 228063, N. 40983 del 2005 Rv. 232459, N. 11907 del 2010 Rv. 246551, N. 8425 del 2014 Rv. 259052, N. 4284 del 2016 Rv. 266020), mentre l’inequivoco – e non contestato – tenore testuale dei messaggi di testo trascritti in imputazione dimostra la formulazione di esplicite minacce di divulgazione chiaramente condizionate a condotte pretese dalle persone offese, rispetto alle quali del tutto irrilevante appare la ricostruzione ex post resa a terzi.

4. E’, invece, parzialmente fondato il terzo motivo di ricorso.

4.1. In attuazione della Direttiva Europea 2011/93/UE in materia di prevenzione e contrasto all’abuso e allo sfruttamento sessuale dei minori e della pornografia minorile, che ha sostituito la precedente decisione-quadro 2004/68/GAI, il legislatore è stato chiamato ad ampliare l’ambito di tutela in materia, in parallelo con il crescente allarme indotto dalla sempre maggior diffusione e diversificazione, a livello nazionale e internazionale, dei reati a sfondo sessuale su minori “in particolare per quanto riguarda l’utilizzo sempre maggiore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione da parte dei minori e degli autori di reato” (Convenzione di Lanzarote, Preambolo).

La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, ha imposto l’adozione di norme più incisive, volte al contrasto del fenomeno della pornografia minorile in ogni sua forma al fine di “proteggere i minori dallo sfruttamento e dall’abuso sessuale, indipendentemente da chi ne è l’autore” (Convenzione di Lanzarote, Preambolo).

4.2. La L. 172/2012, di ratifica della Convenzione, è intervenuta non solo sul catalogo e sulla formulazione delle fattispecie incriminatrici, ampliandone la portata, ma ha, soprattutto, introdotto nell’ordinamento, all’art. 600-ter cod. pen., una definizione derivata, in termini quasi tralatizi, dall’art. 20, 2. comma, della Convenzione di Lanzarote, secondo cui “per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali”.

Una formulazione, dunque, volutamente molto ampia, ricomprendente “ogni rappresentazione”, realizzata “con qualunque mezzo”, e soprattutto oggettiva, da cui deriva la definizione giuridica di materiale pedopornografico, intendendosi per questo qualunque rappresentazione del minore che ne effigi la nudità con finalità sessuale o che ne ritragga il coinvolgimento in atti sessuali, non richiedendosi, invece, che lo stesso processo creativo a monte sia stato condotto attraverso manipolazioni, né tantomeno attraverso la strumentalizzazione passiva del minore che può, persino, averlo autoprodotto.

In particolare, in virtù della modifica introdotta dall’art. 4, comma primo, lett. L), della legge 1 ottobre 2012, n. 172, per la qualificazione del materiale rappresentativo come pedopornografico non è necessaria una esibizione lasciva degli organi genitali di soggetti minori di anni diciotto, ma è sufficiente una qualunque rappresentazione degli stessi organi per scopi sessuali (Sez. 3, Sentenza n. 5874 del 09/01/2013 c.c. (dep. 06/02/2013) Rv. 254420), in presenza dell’attitudine del materiale stesso alla concupiscenza.

Deve, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto per cui la qualificazione di materiale pedopornografico richiede la rappresentazione, con qualsiasi mezzo atto alla conservazione, di atti sessuali espliciti coinvolgenti soggetti minori di età, ovvero qualsiasi rappresentazione degli organi sessuali di minori che renda manifesta la riproduzione delle nudità a fini di concupiscenza e di ogni altra pulsione di natura sessuale.

4.4. In siffatta prospettiva, l’art. 600-quater cod. pen. sanziona la mera detenzione di materiale pedopornografico, anche a fini di consultazione personale e senza divulgazione a terzi ed a prescindere dalle modalità genetiche e creative attraverso il quale la rappresentazione sia stata eseguita, in linea con agli artt. 3, 27 e 117 Cost. e 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, in quanto la fattispecie incriminatrice si armonizza con gli obblighi internazionali che definiscono un livello “minimale” di tutela e si inserisce in un sistema organico che punisce, in via decrescente, ogni condotta relativa allo sfruttamento sessuale dei minori (V. Sez. 3, Sentenza n.20429 del 02/04/2014Ud. (dep. 16/05/2014) Rv. 259632), mentre la produzione di materiale pedopornografico rileva a prescindere dal pericolo della relativa diffusione (Sez. un., ud. 31 maggio 2018, informazione provvisoria; sez. III, 20 marzo 2017 – 12 aprile 2018, ord. n. 10167).

5. La sentenza impugnata non appare rispondente al necessario standard giustificativo in riferimento all’accertamento della natura di materiale pedopornografico dei reperti ai sensi dell’art. 600 quater cod. pen., come modificato dalla L. 172/2012.

Non è dato, invero, evincere con sufficiente determinatezza se le fotografie ed i video trovati in possesso dell’imputato rappresentassero l’effigie di nudi, riconducibili alle minori persone offese, esplicativi di una finalità sessuale o raffigurassero esplicitamente il coinvolgimento delle stesse in atti sessuali, assumendo pertanto la natura di reperti pedopornografici nei termini declinati dall’art. 600-ter comma VII cod. pen..

6. La sentenza impugnata deve essere, sotto tale profilo, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano perché, in applicazione del principio di diritto enunciato, proceda a nuovo esame limitatamente ai capi D) ed F).

7. Deve essere disposto l’oscuramento dei dati sensibili evidenziati, in considerazione della natura della contestazione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai capi D) ed F) dell’imputazione con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Milano; rigetta il ricorso nel resto.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli atri dati identificativi a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

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