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Vilipendio alla bandiera italiana

18 Novembre 2018 | Autore:
Vilipendio alla bandiera italiana

Bruciare la bandiera italiana come contestazione è legale o si rischia una incriminazione?

Siamo abituati a vedere al telegiornale scene di manifestazioni politiche, studentesche o pacifiste dove i manifestanti, per contestazione, sono soliti bruciare la bandiera dello Stato. Non avviene solo in Italia ma in molte altre nazioni: lo abbiamo visto nei reportage davanti a Westminister in Gran Bretagna, nelle strade di New York o di Whashington, a les champs elysées di Parigi. Anche i Paesi più evoluti sanno però che, nella libertà di manifestazione del pensiero, possono rientrare gesti simbolici volti ad esprimere un senso di “non appartenenza” per il proprio Stato quando si adottano scelte impopolari. Ciò però non vale in Italia. Da noi esiste una norma del codice penale [1] che punisce il vilipendio alla bandiera italiana.

Ed attento: se credi che si tratti di una legge vecchia, che vive solo sulla carta ma che non viene applicata, ti sbagli di grosso. Come è punito ancora il saluto fascista in pubblico, i giudici allo stesso modo sanzionano chi viene colto a strappare, calpestare o bruciare il tricolore. La conferma viene da una recente pronuncia della Cassazione [2]. Sicché, almeno fin quando questa norma non verrà abrogata, chi compirà atti di denigrazione o di disprezzo verso la bandiera dovrà rispondere del reato di vilipendio.

Corre allora l’obbligo di spiegare quando si rischia un’incriminazione penale e cosa concretamente può succedere a chi, isolatamente o nel corso di una manifestazione (anche “partecipata”), si fa vedere da un pubblico ufficiale mentre compie un gesto di disprezzo verso il tricolore.

Vediamo innanzitutto cosa dice la norma del codice penale che punisce il vilipendio della bandiera italiana.

«Chiunque vilipende la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la reclusione da uno a tre anni.

Agli effetti della legge penale, per “bandiera nazionale” s’intende la bandiera ufficiale dello Stato e ogni altra bandiera portante i colori nazionali.

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche a chi vilipende i colori nazionali raffigurati su cosa diversa da una bandiera».

Vilipendio alla bandiera: dove e quando?

C’è un aspetto molto importante che distingue il reato di vilipendio alla bandiera italiana da quello di «apologia del fascismo» (quello cioè di chi fa il saluto romano in pubblico, alzando il braccio destro come faceva Mussolini). Per commettere vilipendio non bisogna essere necessariamente in pubblico o nel corso di una manifestazione. Il reato può essere commesso anche in privato, nel proprio giardino. L’importante però è che il gesto sia intenzionale, rivolto cioè a danneggiare non l’oggetto in sé, ma il suo significato. Detto in termini pratici, non risponde del reato di vilipendio alla bandiera chi:

  • distrattamente brucia la bandiera che aveva dal balcone per festeggiare una vincita della nazionale di calcio o per salutare il corteo comunale che passa per strada; manca infatti l’elemento dell’intenzionalità;
  • brucia la bandiera per liberarsi di un oggetto ormai vecchio, sporco e rovinato, di cui non saprebbe più che fare. Qui manca la volontà di scagliarsi, con tale gesto, simbolicamente contro lo Stato. Sicuramente ciascuno di noi è libero di buttare una vecchia bandiera, di sporcarla o di bruciarla se non ci serve più. Allo stesso modo non può essere incriminato chi si serve di una vecchia bandiera per accendere un fuoco o per alimentarlo;
  • brucia la bandiera per contestare una sconfitta della nazionale di calcio o di altro sport: qui infatti la reazione non è allo Stato ma a una rappresentazione sportiva.

Dall’altro lato, però, non è necessario prendersela per forza con una bandiera per essere puniti. La norma infatti fa riferimento a qualsiasi altro emblema dello Stato: si può pertanto trattare di una scheda elettorale, di una statua che rappresenta l’Italia, di un nastro tricolore di quelli che portano i sindaci, ecc. Insomma ogni elemento su cui viene riportata la bandiera deve essere rispettato.

Vilipendio alla bandiera: elementi del reato

Vediamo quali sono gli altri essenziali elementi del reato di vilipendio alla bandiera.

Si tratta, innanzitutto, di un reato procedibile d’ufficio; quindi non c’è bisogno di una querela da parte di un privato (il quale potrà comunque segnalare l’episodio): sono già le stesse autorità che possono far partire la segnalazione alla Procura della Repubblica perché si proceda direttamente contro il colpevole.

L’articolo del codice penale che prevede il vilipendio alla bandiera è l’articolo 292. Esso è rivolto a tutelare l’interesse dello Stato a salvaguardare la propria personalità interna, tutelando in particolare il prestigio della bandiera o di altri simboli dello Stato.

Si tratta di reato comune: lo può cioè commettere chiunque, non solo il manifestante o un pubblico ufficiale ma anche il privato cittadino dal balcone di casa.

Soggetto passivo del reato è lo Stato italiano: sarà quest’ultimo a costituirsi parte civile nel processo.

Per bandiera nazionale si intende la bandiera ufficiale dello Stato e ogni altra bandiera portante i colori nazionali.

Invece per emblema dello Stato si intende ogni simbolo materiale che rappresenta lo Stato.

Il delitto, per l’ipotesi di cui al comma 1, si consuma nel momento in cui si attua la condotta di vilipendio; per l’ipotesi di cui al comma 2, nel momento della produzione dell’evento dannoso sulla bandiera o sull’emblema, trattandosi di reato di danno.

La pena prevista per il reato di cui all’art. 292, comma 1, c.p., è la multa da euro 1.000 a euro 5.000; essa è aumentata da euro 5.000 a euro 10.000 nel caso in cui il fatto sia commesso in occasione di una pubblica ricorrenza o di una cerimonia ufficiale. La pena prevista, invece, per l’ipotesi di cui al comma 2, è la reclusione fino a due anni.

Il giudice competente è il Tribunale monocratico.

Vilipendio contro la nazione 

Il reato di vilipendio alla bandiera non va confuso con quello di vilipendio alla nazione italiana, molto simile ma differente come condotta. La norma che lo precede è l’articolo 291 del codice penale. Anche qui l’interesse tutelato è quello dello Stato a salvaguardare la propria personalità interna, tutelando in particolare il prestigio della nazione italiana.

Soggetto passivo è la nazione italiana, intesa non come istituzione ma come comunità di persone.

La norma punisce chiunque offenda pubblicamente la nazione italiana.

Come nel reato di vilipendio della bandiera è necessaria la coscienza e la volontà di compiere l’azione. Il delitto si consuma nel momento in cui si attua la condotta di vilipendio. È richiesto che essa sia idonea a determinare la lesione, ma non che si produca un effettivo danno.

La pena prevista per il reato di cui all’art. 291 c.p. è la multa da euro 1.000 a euro 5.000.

Bruciare la bandiera è reato

Nella sentenza della Cassazione che abbiamo richiamato in apertura si dice che bruciare la bandiera, anche se in una manifestazione di protesta, è reato, quello appunto di vilipendio. C’è piena consapevolezza e intenzionalità nel gesto: l’elemento soggettivo del reato consiste nel dolo generico e nella coscienza di esprimere offensivi giudizi nei confronti delle istituzioni.

Secondo la Cassazione, per far scattare il reato di vilipendio alla bandiera, è necessario un atto di denigrazione o di disprezzo nei confronti strettamente della bandiera nazionale; non è sufficiente quindi una condotta diretta nei confronti dei colori nazionali raffigurati su cosa diversa dalla bandiera. Ad esempio, il reato di vilipendio scatta nei confronti di chi, anche per scopi di protesta o di denuncia, brucia, calpesta o strappa la bandiera italiana in pubblico (si pensi a un corteo). È necessaria l’intenzione specifica di arrecare offesa all’istituzione, anche attraverso i suoi simboli, mentre restano irrilevanti i motivi alla base di tale azione e le finalità perseguite dal soggetto agente quali, ad esempio, la volontà di pronunciare frasi ad effetto per riscuotere consenso elettorale o nel corso di una manifestazione di protesta sebbene autorizzata dal Prefetto.

Il reato richiede la coscienza e volontà di esprimere offensivi e aggressivi giudizi nei confronti delle istituzioni tutelate, con l’intenzione di produrre l’evento costituito dalla pubblica manifestazione di disprezzo delle stesse, con conseguente irrilevanza dei motivi particolari che possano aver indotto l’agente a commettere consapevolmente il fatto vilipendioso addebitato. La bandiera nazionale è tutelata penalmente non come oggetto in sé, ma unicamente per il suo valore simbolico, suscettibile, per sua natura, di essere leso anche da semplici manifestazioni verbali di disprezzo, la cui penale rilevanza, ai fini della configurabilità del reato, richiede quindi soltanto la percepibilità da parte di altri soggetti.

note

[1] Art. 292 cod. pen.

[2] Cass. sent. n. 51859/18.

Autore immagine: 123rf com

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 9 marzo – 16 novembre 2018, n. 51859

Presidente Mazzei– Relatore Saraceno

Ritenuto in fatto

1. Con la decisione in epigrafe la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza, 22 maggio 2014, del Tribunale della stessa città che aveva dichiarato Ca. Ma. e Vicenzo In. responsabili del reato di cui all’art. 292 cod. pen., commesso il 20.1.2012, e li aveva condannati alla pena, sospesa, di mesi due di reclusione ciascuno.

Agli imputati era stato contestato di aver pubblicamente e intenzionalmente dato fuoco, distruggendola, alla bandiera nazionale italiana.

1.1 A ragione, la Corte territoriale, disattesa in premessa l’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio per indeterminatezza della contestazione, nel merito escludeva che la condotta concretamente tenuta, consistita nel cospargere di liquido infiammabile la bandiera e poi nel darle fuoco, seppure nel corso di una manifestazione di protesta, potesse ritenersi scriminata dall’asserito esercizio del diritto di critica e di libera espressione del pensiero.

2. Per la cassazione della decisione di appello hanno proposto ricorso gli imputati, con atto cumulativo a firma del comune difensore avvocato Gi. Bi., articolando le seguenti censure.

Denunziano:

– (primo e secondo motivo) violazione di legge processuale (in relazione all’art. 552 cod. proc. pen.), reiterando l’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio per indeterminatezza della contestazione e violazione del diritto di difesa. Assumono che l’imputazione elevata era genericamente riferita all’art. 292 cod. pen., poiché non era specificato se ad essere contestata fosse l’ipotesi contemplata dal primo comma, punita con la pena della multa, ovvero quella del secondo comma, punita con la pena della reclusione. Sicché in assenza di precisazioni, doveva ritenersi contestata l’ipotesi base di cui al primo comma, con la conseguenza che i decidenti, irrogando la pena della reclusione, avevano dato al fatto una nuova e diversa qualificazione giuridica in violazione delle cautele imposte dal codice di rito.

– (terzo motivo) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 292, 51 cod. pen. e 21 Cost.. Ad avviso dei ricorrenti, la decisione sarebbe viziata per l’immotivata esclusione dell’efficacia scriminante del diritto di critica politica nel contesto di una manifestazione di protesta contro il governatore della Regione siciliana, nel corso della quale gli imputati non avevano voluto colpire il vessillo in sé, gratuitamente oltraggiando l’emblema dello Stato, ma avevano voluto semplicemente manifestare il proprio dissenso contro l’operato delle istituzioni;

– (quarto motivo) vizio di motivazione per non aver rilevato che la pena richiesta dal P.M. nelle sue conclusioni (Euro 700 di multa) fosse indubbiamente riferibile all’ipotesi di reato nella sua forma base, così come contestata, e non a quella circostanziata di cui al secondo comma del citato art. 292.

Considerato in diritto

Osserva il Collegio che il ricorso appare in ogni sua deduzione inammissibile.

1. Manifestamente infondati sono il primo, secondo e quarto motivo, nei quali è in sostanza diluita e replicata l’eccezione di nullità del decreto di citazione per indeterminatezza dell’imputazione nonché della sentenza di primo grado per aver ritenuto sussistente l’ipotesi aggravata non oggetto di contestazione. È appena il caso di ribadire che, in tema di contestazione dell’accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all’indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia precisato in modo puntuale, la mancata individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità alcuna, salvo che non si traduca in una compressione dell’esercizio del diritto di difesa. Ineccepibilmente, pertanto, la Corte di appello ha ritenuto priva di giuridico pregio l’eccezione formulata, sul rilievo che la condotta integrante l’ipotesi aggravata di cui all’art. 292, comma 2, cod. pen., era stata correttamente e puntualmente descritta in fatto e conforme all’accusa contestata era anche la pena richiesta dal P.M. risultante dal bilanciamento con le attenuanti generiche chieste ma negate dal Tribunale.

2. Manifestamente infondate sono pure le doglianze espresse in ordine all’accertamento di responsabilità, avendo la Corte territoriale già disatteso le identiche, generiche argomentazioni articolate nell’atto di appello, nonché congruamente e logicamente motivato in ordine a tutti gli elementi, fattuali e giuridici, che qualificano le componenti, materiale e psicologica, del reato.

Ed invero ha evidenziato che i due ricorrenti, appartenenti al centro sociale “Spazio anomalia”, nel corso di un corteo di protesta (lo striscione in testa recava la scritta “contro Equitalia caro benzina rivolta popolare”) avevano cosparso di liquido infiammabile la bandiera italiana che recavano con loro e le avevano dato fuoco; ha, quindi, affermato sussistenti i profili di consapevolezza e intenzionalità della direzione dell’aggressione contro uno dei simboli dello Stato, resa palese dalla condotta tenuta dai ricorrenti e ne ha stigmatizzato il carattere gratuito di dileggio e svilimento, correttamente annotando che la libertà di manifestazione del pensiero trova, del resto, limiti impliciti derivanti da altri valori costituzionalmente protetti. Bastando qui solo aggiungere che la giurisprudenza di legittimità ha puntualizzato da tempo che il prestigio dello Stato, dei suoi emblemi e delle sue istituzioni rientra tra i beni costituzionalmente garantiti, per cui si pone come limite ad altri diritti costituzionalmente protetti e la sua tutela non è in contrasto con gli art. 9 e 10 della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, in quanto esplicativi degli art. 21 e 25 Cost. (Sez. 1, n. 6822 del 14/06/1988, dep. 1989, Paris, Rv. 181275); che l’elemento soggettivo del delitto di vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate consiste nel dolo generico, e quindi nella coscienza e volontà di esprimere offensivi e aggressivi giudizi nei confronti delle istituzioni tutelate, con l’intenzione di produrre l’evento costituito dalla pubblica manifestazione di disprezzo delle stesse, con conseguente irrilevanza dei motivi particolari che possano aver indotto l’agente a commettere consapevolmente il fatto vilipendioso addebitato (tra le altre, Sez. 1, n. 28730 del 21/03/2013, Di Maggio, Rv. 256781); che la bandiera nazionale è penalmente tutelata dall’art.292 cod. pen. non come oggetto in sé, ma unicamente per il suo valore simbolico, suscettibile, per sua natura, di essere leso anche da semplici manifestazioni verbali di disprezzo, la cui penale rilevanza, ai fini della configurabilità del reato, richiede quindi soltanto la percepibilità da parte di altri soggetti (Sez. 1, n. 48902 del 29/10/2003, Galli, Rv. 226460).

Di tali condivisi principi i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione, raccordandoli alle emergenze fattuali, debitamente documentate dalle ritrazioni fotografiche in atti, ed hanno giudicato la condotta degli imputati esplicita e consapevole manifestazione di gratuito disprezzo e svilimento dell’emblema, la cui reputazione e onore, insieme allo Stato e alle sue istituzioni, sono oggetto della tutela penale e di diritti tutelati costituzionalmente, al cui interno anche la libertà di opinione trova i suoi limiti.

Di talché, le replicate censure, generiche e anche avulse dalle risultanze processuali là dove assumono essere la condotta tenuta una manifestazione di protesta contro avversate e non meglio precisate “decisioni politiche”, si risolvono in manifestazioni di mero dissenso e sollecitano il riesame nel merito della decisione impugnata, inammissibile in sede di sindacato di legittimità.

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 2.000 ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.

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