"Doppia vita a Medjugorje aiutato da un prete Ho simulato la mia morte per fuggire dai debiti"

Il racconto dell’imprenditore Davide Pecorelli al procuratore Cantone di Perugia. "A Montecristo a caccia di un tesoro"

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di Erika Pontini

Per quasi nove interminabili mesi mentre la sua famiglia lo dava per morto, ammazzato in un’auto in fiamme nelle campagne di Puke – omicidio che lui stesso aveva simulato – , Davide Pecorelli sarebbe stato "in una comunità di preti vicino a Medjugorie", "grazie all’aiuto di un sacedote cattolico conosciuto in Albania", per poi ricomparire naufrago su un gommone noleggiato sotto falsa identità al Giglio, al largo dell’Isola di Montecristo dove è vietato anche l’attracco, Cercava qualcosa e l’ha rivelato agli inquirenti che stanno indagando sulle sue dichiarazioni. Un tesoro di monete (anche se sembra un romanzo) tanto che in albergo custodiva oggetti che lasciano intuire la sua passione per la numismatica.

"Ho deciso di scomparire perché travolto dai problemi economici. Sono praticamente rovinato", ha ammesso nel corso del faccia a faccia di tre ore con il procuratore capo Raffaele Cantone e con il sostituto Giuseppe Petrazzini, presente anche il capo della squadra mobile, Gianluca Boiano che l’hanno sentito a sommarie informazioni nell’ambito delle indagini sulla scomparsa (fascicolo poi iscritto per omicidio volontario e traffico di droga) e senza l’assistenza di un legale. A ottobre però sarebbe tornato a casa – ha spiegato – ma l’incidente sul Tirreno l’ha fatto smascherare anzitempo e costretto a rivelare il motivo della sue ricerche nell’isola della leggenda del tesoro nascosto.

All’uscita dalla procura di Perugia, Pecorelli, 45 anni, imprenditore umbro-toscano nel campo dei prodotti di parrucchieria, ex arbitro della sezione di Arezzo, capelli tinti di biondo, dimagrito e cappellino calato sul volto – il travestimento della sua nuova vita - non si è sottratto ai cronisti. "I miei familiari non sapevano dove fossi e il motivo della scomparsa non era certamente incassare il premio dell’assicurazione. Sono un imprenditore da 30 anni, l’ho sempre avuta".

"Il procuratore Cantone e il dottor Petrazzini – ha aggiunto – hanno preso atto dei reati che ho commesso anche in Albania". In Italia sicuramente la sostituzione di persona contestata dai carabinieri di Grosseto e, sembra, la simulazione di reato commessa oltremare: quell’auto in fiamme con all’interno frammenti ossei rubati in un cimitero e un telefono cellulare intatto che agli inquirenti italiani ha subito fatto storcere il naso quanto alla verosimiglianza di un delitto maturato nell’ambito di un regolamento di conti della mala albanese. "Non avevo nulla da nascondere" dice ai cronisti. Agli inquirenti aggiunge il peso insopportabile dei debiti. A cominciare dal crac su cui indaga la procura di Arezzo.

Eppure questi quasi nove mesi di mistero sull’asse Albania-Italia nascondono la volontà di scomparire. Gli investigatori Mobile, già nei mesi scorsi, avevano messo nero su bianco che Pecorelli era vivo: lo testimoniavano alcuni indizi, comprese intercettazioni telefoniche. Poi, domenica scorsa la carta di credito, cointestata con la compagna albanese, viene utilizzata: due prelievi da 250 euro a Roma. I poliziotti capiscono che l’ex arbitro è sul suolo italiano. Ieri ha aggiunto di aver preso un autobus dal paese in cui sarebbe apparsa la Madonna per arrivare in Italia e un treno da Roma alla Toscana per arrivare a Montecristo. Il naufragio di venerdì scorso, il motore in avaria, il mare grosso al largo dell’isola leggendaria l’hanno fatto ripiombare in una realtà che voleva scansare. "Voglio parlare con gli inquirenti", aveva detto ai carabinieri. E ieri si è presentato in procura. "Ci sono particolari tragici in questa vicenda", ha detto. "Ora voglio andare dai miei figli, l’unica cosa certa è che non rifarò l’imprenditore in Italia". Magari ha più la stoffa del romanziere.