"Così si batte la violenza di genere"

L'intervista a Valentina Grillo, tenente dell’Arma di Empoli

Il tenente dell'Arma, Valentina Grillo

Il tenente dell'Arma, Valentina Grillo

Empoli, 6 marzo 2019 - «La consapevolezza che la violenza non può e non deve essere considerata la ‘normalità’ è in crescita, tra le donne e nella gente in generale. E’ un segnale significativo». Lo spiega il tenente Valentina Grillo, comandante del Nucleo operativo e Radiomobile della Compagnia di Empoli. Ha nel suo curriculum un master in criminologia e scienze giuridiche forensi con specializzazione in violenza di genere. Tenente Grillo, è di questi giorni l’arresto per maltrattamenti in famiglia di un ragazzo di 19 anni.

La violenza è giovane?

«E’ un concetto statisticamente non etichettabile. Non credo sia un fenomeno legato all’età, ma a disagi che ne determinano manifestazione e intensità».

Il rapporto madre-figlio è tra quelli a rischio?

«Tutti i rapporti sono potenzialmente a rischio. E’ più probabile, nell’ambito delle violenze di genere, che il carnefice sia qualcuno conosciuto dalla vittima. Che tra loro ci sia una relazione, che sia genitoriale, amicale, affettiva».

Che cosa possono fare le forze dell’ordine?

«L’Arma dei carabinieri non ha la bacchetta magica, ma offre una mano per affrontare il problema insieme. La vittima che sceglie di afferrarla sa che sta avviando un percorso condiviso. Se c’è pericolo, io ti proteggo: è questo il messaggio».

La violenza di genere è un fenomeno culturale?

«E’ un fenomeno culturale prima ancora che criminale. ‘Uccido una donna in quanto donna’: la molla è questa».

E i fattori scatenanti?

«Possono essere di varia natura. Si va da una relazione malata alla mancanza di fiducia a disagi psicologici, giusto per fare alcuni esempi».

Da vittima a carnefice, il nesso esiste?

«Nel caso di reati legati alla pedofilia, è stato dimostrato che può essere così. Più difficile che chi viene stalkerizzato divenga stalker a sua volta».

L’8 marzo è una giornata dedicata alla donna. E’ un sinonimo di attenzione?

«Può essere strumento di sensibilizzazione, ma la questione deve essere affrontata ogni giorno. La chiave sta anche nella consapevolezza».

La consapevolezza si crea anche sui banchi di scuola?

«Indubbiamente. Credo molto nella diffusione di questi temi anche attraverso il progetto ‘Cultura della legalità’ promosso dall’Arma, svolto nell’Empolese in maniera capillare. Dalle scuole primarie alle superiori. E’ un buon punto di partenza».

Uscire da una relazione malata si può?

«La chiave è il coraggio. Il coraggio di capire che è un fenomeno a cui può essere posta una fine, che lo si può raccontare e che l’istituzione a cui ci rivolgiamo può fornire strumenti per ottenere giustizia e recuperare una quotidianità sana».

Come chiedere aiuto?

«Rivolgendosi al 112. Le segnalazioni possono arrivare anche da chi non è coinvolto: anzi, il più delle volte, un aiuto esterno è determinante per le vittime che non hanno coraggio o possibilità di dare l’allarme».