Lampedusa, anniversario di un naufragio

Lampedusa

L’anniversario del 3 ottobre, con Mediterranean Hope (MH), Programma rifugiati e migranti della Federazione Chiese evangeliche in Italia, parte davanti al molo Favaloro a Lampedusa. Lì arrivano i migranti, adesso tunisini su barchini di legno, e negli anni passati eritrei, somali e siriani su grandi barconi di ferro. Il cemento del molo è la prima terraferma che toccano dopo giorni di viaggio; li accolgono uomini in divisa e i ragazzi di MH, in jeans, senza guanti, senza mascherine, con una bevanda calda, una coperta termica e un sorriso.

Lampedusa
La porta di Lampedusa

L’ufficio di MH è una casa bianca nel centro di Lampedusa, dove vivono gli operatori e i volontari. E’ questa la forza di questo progetto che non si definisce come un aiuto ai migranti ma come un presidio sulla frontiera che cerca di fare comunità con tutti quelli che abitano il confine. 

La seconda immagine è quella dell’hotspot, quasi un condominio di periferia, nascosto in gola. Lo guardiamo dall’alto e scorgiamo uomini e donne che ammazzano il tempo in un cortile spoglio, una bambina molto piccola che gioca con un cane. Dovrebbe essere un centro di transito, ed effettivamente in questo momento in cui arrivano pochi gruppi di tunisini il transito è veloce, ma quando i numeri erano alti la permanenza poteva durare mesi. Chi è entrato, come gli operatori di MH, racconta di un luogo di degrado e precarietà; promiscuità tra donne, uomini e minori, un bagno per piano, lenzuola monouso utilizzate per settimane, e niente mensa, gli ospiti mangiano sui letti.

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Più avanti, verso l’entroterra, il cimitero bianco con le sue tombe di famiglie e vecchie sepolture ricoperte da maioliche ormai sbeccate. Nei corridoi tra una tomba e l’altra la natura prende il sopravvento e nascono cespugli di asfodeli e crucianella marittima. Tombe senza nome, croci su corpi perduti, affiorati in mezzo al mare al quale la pietà del guardiano del cimitero ha dato pace sotto la terra. Ma qualche storia si può ricostruire. I ragazzi di MH che vivono l’isola, accolgono i migranti al molo e li incontrano in paese, hanno il tempo di ascoltare le storie di vita e danno un nome, un’identità, una dignità a quei corpi. 

Nel 2013 davanti a quest’isola hanno perso la vita 268 persone, oggi tanti continuano a morire in mare. Uno su 18 di coloro che si mettono in mare non arriva a destinazione, secondo i dati di UNHCR. Uno dei fattori principali dell’aumento della mortalità è costituito dalla riduzione della capacità di ricerca e soccorso al largo delle coste libiche. La guerra contro le ong che lavoravano nel Mediterraneo condotta dall’attuale governo ha centrato i suoi obiettivi. Una vittoria politica che come risvolto della medaglia ha una tragedia umana.

L’unica alternativa reale sono i corridoi umanitari, passaggi legali. Anche questo un progetto di MH che dal Libano porta in Italia, con un visto umanitario, persone vulnerabili. Dal 2016 ne sono arrivate circa 1400, che hanno trovato pace, lavoro, studio. In poche parole integrazione. 

Scende la sera sull’isola sulla quale oggi i riflettori del grande circo mediatico sono stati accesi. Da domani riprenderà la quotidianità degli operatori e dei volontari di MH, che dalla casa bianca nel centro della cittadina continueranno a fare solidarietà e cultura.

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