La Nuova Sardegna

La comunità di Sant’Egidio anche a Sassari: «Vogliamo dare speranza»

di Claudio Zoccheddu
La comunità di Sant’Egidio anche a Sassari: «Vogliamo dare speranza»

Il presidente Impagliazzo: «La pandemia ha aumentato difficoltà e distanze»

20 settembre 2021
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SASSARI. La comunità di Sant’Egidio è una multinazionale della solidarietà, con sedi in 73 Paesi e un numero impressionante di persone sostenute in tutto il mondo. Il presidente è il professor Marco Impagliazzo, nato a Roma ma originario della Maddalena e, da qualche tempo, legato all’isola anche dalla nascita di una filiale sassarese della comunità immaginata e realizzata dall’accademico Andrea Riccardi nel 1968.

Impagliazzo, sabato, era sul palco di Piazza d’Italia, a Sassari, in occasione del 130esimo compleanno della Nuova Sardegna: «Nell’epoca della globalizzazione abbiamo l’occasione di fare della Sardegna un luogo di incontri e una terra da riscoprire. È stata isolata per troppo tempo, non per sua colpa, e conosciuta solo dal punto di vista turistico ma l’isola ha tante risorse. La più importante l’ho scoperta proprio a Sassari e sono i giovani, che sono una forza e spero che non emigrino. Nel tempo di internet siamo tutti collegati e si può fare tanto da un punto che non è più isolato come una volta. La Sardegna, poi, ha la forza della sua cultura, delle sue tradizioni e dei suoi anziani, che hanno una grande sapienza da trasmettere. Certo che sarebbe tutto più facile se si risolvessero i problemi dei trasporti».

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Sulla sede di Sassari, poi, Impagliazzo entra nello specifico: «È nata da un progetto di monitoraggio attivo degli anziani. Abbiamo un programma nazionale studiato per permettere agli ultraottantenni di evitare i ricoveri in ospedale per piccoli problemi, come invece capita spesso. Basta poco, una telefonata o una visita a casa. Abbiamo scelto Sassari per dare una mano agli anziani e poi è nato un doposcuola per i figli degli immigrati che si riuniscono nella chiesa di Santa Caterina. Per questo ringrazio il vescovo Saba che ci ha concesso la chiesa e che segue con grande attenzione lo sviluppo della comunità. Ora speriamo che il nostro progetto possa crescere e riesca a dare una mano a tutte le persone che ne hanno bisogno».

Un numero che cresce di giorno in giorno a causa degli effetti della pandemia: «Anche a Sassari distribuiamo tanti aiuti alimentari che, come nel resto del Paese, siamo stati costretti praticamente a quadruplicare a causa del numero di richieste cresciuto in maniera esponenziale». Ma gli operatori delle comunità non si sono scoraggiati: «Siamo abituati all’emergenza, dal momento della nostra nascita siamo sempre stati tra i poveri e gli emarginati e all’aumento delle richieste d’aiuto è corrisposto un impegno maggiore da parte di tante persone, soprattutto giovani, che si sono messi a disposizione. Tutto sommato è stato risvolto positivo che ha rivelato la forza delle persone più giovani».

Tamponare le emergenze, però, non è il metodo migliore per uscire dai guai. E se la politica desse una mano, si potrebbe parlare di prospettive concrete: «Non dobbiamo disprezzare il reddito di cittadinanza che ha sostenuto tante persone in difficoltà ma ora la politica deve affrontare il problema dell’occupazione e trovare nuovi modi di creare lavoro. Con i soldi del Pnrr tutto questo potrebbe essere possibile. Mi riferisco alla green economy e al lavoro per la cura della persone, alla sanità e al sostegno alle famiglie, ai bambini e agli anziani. Investire sull’assistenza vuol dire creare di posti di lavoro per infermieri, badanti, personale sanitario». Un altro capitolo di stretta attualità è quello che riguarda i migranti e la gestione dei flussi migratori: «Basta parlare di migrazione come emergenza, dobbiamo occuparci dell’accoglienza e dell’integrazione, come dice Papa Francesco. Abbiamo bisogno dei migranti e della loro forza lavoro. Lo ius soli è il primo passo, ma dobbiamo anche garantire la cittadinanza anche a chi ha frequentato almeno un ciclo scolastico».

E soprattutto evitare l’immigrazione clandestina e i pericoli che comporta per gli stessi migranti: «Utilizziamo i corridoi umanitari, bisogna dirlo con forza, perché sono una via legale. Dobbiamo anche sfruttare e allargare il “Decreto flussi”, favorire i ricongiungimento umanitari, al momento previsti solo per i figli minorenni e per i coniugi, È un concetto ristretto che non corrisponde a alle culture di provenienza. Tra l’altro, chi già vive in Europa può spiegare meglio come inegrarsi».
 

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