Il presidente Usa al Palazzo di Vetro non risparmia i suoi avversari, Iran compreso. Mentre diventa ottimista sulla Corea del Nord

La Cina sta interferendo nelle elezioni Usa di midterm del 6 novembre 2018. Donald Trump, intervenendo a una riunione del Consiglio di sicurezza dell'Onu per la prima volta da lui presieduta, ha sfoderato questa pesante accusa contro Pechino: "Non vogliono che io vinca o che noi (repubblicani ndr.) vinciamo perché sono il primo presidente ad aver mai sfidato la Cina sul commercio", ha aggiunto.

Accusa immediatamente smentita da Pechino tramite il suo ministro degli Esteri presente alla stessa riunione, Wang Yi: "La Cina ha sempre rispettato il principio di non ingerenza negli affari interni di un Paese"; "respingiamo le accuse pronunciate contro la Cina e chiediamo agli altri Paesi di rispettare la Carta delle Nazioni unite e di non interferire nei nostri affari interni".

L'accusa di ingerenza alla Cina, per la verità, non è nuova, ed era già stata respinta dal gigante asiatico, ma adesso giunge da un palco internazionale e in un momento in cui Trump teme sempre di più una sconfitta dei repubblicani al Congresso nelle elezioni del 6 novembre. Il tutto mentre è in corso la pesante guerra commerciale fra i due Paesi. Al Consiglio Onu Trump è tornato poi ad attaccare l'Iran, annunciando che le sanzioni Usa (reimposte a seguito del ritiro di Washington dall'accordo sul nucleare del 2015) saranno "pienamente" in vigore all'inizio di novembre e poi ne arriveranno altre. Dura la replica in merito del presidente francese Emmanuel Macron: la crisi iraniana non si può ridurre a una "politica delle sanzioni e di isolamento" dell'Iran, e piuttosto "dobbiamo costruire insieme una strategia di lungo termine per la gestione di questa crisi".

Quanto alla premier britannica Theresa May, ha sottolineato che l'accordo del 2015 resta – nonostante il ritiro Usa – il modo migliore di evitare che Teheran sviluppi armi nucleari. E poco dopo, parlando in conferenza stampa, il presidente iraniano Hassan Rohani si è detto sicuro che gli Usa finiranno un giorno per rientrare nell'intesa.

Dopo Cina e Iran, il tycoon repubblicano ha aperto poi un altro fronte, tornando a scagliarsi contro il Venezuela: "Tutte le opzioni" sono sul tavolo, comprese quelle più "forti", "e voi sapete cosa intendo per forti", ha detto a margine dell'Assemblea Onu. Il tutto mentre il presidente venezuelano Nicolas Maduro partiva per New York per recarsi proprio al Palazzo di vetro: "Vado all'Assemblea generale delle Nazioni unite per difendere la verità del Venezuela", ha detto accompagnato dalla moglie Cilia Flores, contro la quale martedì il Tesoro Usa ha annunciato sanzioni. "Il Venezuela respinge fermamente le dichiarazioni bellicose del presidente degli Stati Uniti, che spingono a un'insurrezione militare nel Paese", aveva denunciato poco prima il ministero degli Esteri di Caracas.

Nella visione di Trump motivi di ottimismo sono invece Corea del Nord e Medioriente. Il magnate ha detto di avere ricevuto una nuova "lettera straordinaria" da Kim Jong Un, con il quale dovrebbe avere "rapidamente" un secondo summit dopo quello di Singapore a giugno; cionondimeno il presidente Usa ha chiesto di continuare a rispettare in modo rigido le sanzioni Onu fino alla denuclearizzazione.

Per quanto riguarda il Medioriente, infine, Trump promette di presentare un piano di pace entro quattro mesi, forse anche prima, e per la prima volta si dice favorevole a una soluzione a due Stati. Ma la risposta dei palestinesi non si fa attendere: "Le parole non sono supportate dalle azioni", lo stronca Husam Zomlot, capo della missione diplomatica palestinese a Washington recentemente chiusa. 

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