Riace non si arresta. Manifestazione di solidarietà al sindaco Domenico Lucano

“Riace non si arresta”. Con questo slogan oggi pomeriggio, dalle 15, manifestazione di solidarietà nei confronti di Mimmo Lucano a Riace. Al clamoroso arresto del sindaco, simbolo dell’accoglienza da vent’anni vero i migranti, alcune organizzazioni politiche e sindacali e associazioni, con un atto di disobbedienza civile e di obiezione della coscienza,  si ribellano di fronte al rischio che in Italia possa risorgere un potere autoritario. Un impegno responsabile di solidarietà e di resistenza che si oppone alle politiche sui migranti che stanno portando avanti il governo Lega-Cinquestelle e al messaggio lanciato dalla Procura di Locri che la Legge non sia fatta per servire l’uomo nei suoi bisogni di umanità e di ospitalità, la Xenia. Si ripropone l’antico conflitto  tra la sacralità dei principi e il Potere autoritario, come nella tragedia di Sofocle Antigone.  “A prescindere dalle conseguenze, coloro che sono onesti con se stessi vanno lontano nella vita” aveva intuito, in uno dei suoi illuminanti aforismi, il poeta rumeno Octavian Paler, ma “la disperazione più grave è il dubbio che possa impadronirsi di una società che comportarsi in modo onesto sia inutile”. Questa amara riflessione invece è di Corrado Alvaro, come piccolo testamento del suo “Ultimo diario”. Come tutte le profonde meditazioni prefigurano la realtà, come il trattamento che la “Legge” ha riservato al sindaco di Riace Domenico Lucano, arrestato perché si è comportato con quella umanità e quell’onestà che la legge o un codice scritto non sa riconoscere. La vera conoscenza è la riconoscenza, perché dentro il suo etimo spirituale vi è la coscienza. L’obiezione di coscienza è magistralmente affrontata da don Lorenzo Milani nella “Lettera ai giudici”. Un testo fondamentale per ogni coscienza che sente la responsabilità etica incarnata dalla parrhesia, vale a dire dal primato della coscienza e dalla responsabilità proprie scelte, come violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che prevede la stessa legge. La “Lettera ai giudici” rappresenta una sorta di vangelo laico che il parroco di Barbiana ha redatto come memoria difensiva contro l’accusa di apologia di reato. In questo suo scritto –  che dovrebbe essere sul tavolo di ogni giudice e nella mente di ogni cittadino – pone al centro la “tecnica di amore costruttivo” perché “chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri”. Appunto, “l’obbedienza non è più una virtù”. Obbedire alla propria coscienza e alle leggi quando si ritengono non offensive della dignità umana, e non essere asserviti al potere del capo e alle leggi ingiuste, che sono al servizio della disumanità. C’è un passaggio che è luminoso: “In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate. La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero. Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola e con l’esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona una obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede. È scuola per esempio la nostra lettera sul banco dell’imputato ed è scuola la testimonianza di quei trentuno giovani che sono a Gaeta. Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri.” Ma come non ricordare ancora le memorabili parole  del padre costituzionalista Piero Calamandrei nel processo in cui è stato coinvolto Danilo Dolci per aver organizzato  “lo sciopero alla rovescia” il 30 gennaio 1956.  Dopo essere stato arrestato per resistenza e istigazione a disobbedire la legge, viene difeso dal grande giurista che in un passaggio della sua arringa esclama: “Ma che cosa sono le leggi se non esser stesse delle correnti di pensiero? Se non fossero questo non sarebbero che carta morta. (…) E invece le leggi sono vive perché dentro queste formule bisogna far circolare il pensiero del nostro tempo, lasciarsi entrare l’aria che respiriamo, metterci dentro i nostri propositi, le nostre sperane, il nostro sangue, il nostro pianto. Altrimenti, le leggi non restano che formule vuote, pregevoli giochi da legulei…” In questa Italia, ha scritto tempo fa Ermanno Rea ne La Fabbrica dell’obbedienza, “terra di nefandezze, abiure, genuflessioni e pulcinellate” dove il potere ha mostrato “il volto demoniaco”, e dove “è stato inventato il fascismo”, la cui storia è contrassegnata da servitù civile e morale, sudditanza, menzogne, opportunismi e ipocrisie, scopriamo che essere onesti e umani è diventato un crimine. Applicare leggi che vanno contro i diritti umani e i principi sanciti nella Costituzione, invece è lecito. Lo abbiamo scoperto proprio con l’arresto di Domenico Lucano,dalle dichiarazioni del procuratore del tribunale di Locri Luigi D’Alessio, che ha affermato che “non possiamo consentire, come Stato italiano, come istituzione della Repubblica, che qualcuno persegua un’idea passando bellamente sopra i principi e sopra le norme, altrimenti consentiremmo a chiunque di predicare quelli che sono i propri convincimenti infischiandosene delle leggi”. Alla luce di questo clamoroso arresto sulla scena mediatica una folta schiera di personaggi “autorevoli” si è fatta paladina della legalità, diventata il fine e non lo strumento per raggiungere “il pieno sviluppo della persona umana, affinché ogni cittadino abbia pari dignità sociale davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali” come recita l’art. 3 della Costituzione. Il sindaco di Riace, assurto nel 2016 a simbolo dell’accoglienza, dichiarato  uno dei sindaci migliori al mondo,e addirittura dalla rivista Fortune, considerato tra gli uomini più influenti al mondo, ora si ritrova agli arresti domiciliari. Un predestinato o un martire? Forse avrà creduto anche di essere in diritto di favorire qualche matrimonio a povere disgraziate per evitarle il ritorno nell’inferno. Forse il procuratore di Locri non avrà letto “L’anello forte” di Nuto Revelli, dove si racconta l’emigrazione matrimoniale degli anni ’60 delle “calabrotte” nelle Langhe o il romanzo “Ti ho visto che ridevi”, del collettivo di scrittura Lou Palanca, che racconta proprio di un matrimonio di una ragazza di Riace, Dora, che emigra nelle Langhe per sposare un contadino del luogo. A fare la prefazione al libro il fondatore di Slow Food Carlo Petrini, il quale esordisce con una affermazione  escatologica: “Ci salvano sempre gli altri, sempre” e conclude con una intensa riflessione dal sapore evangelico: “Non è necessario che impariamo quali e quanti sono gli infiniti modi che la Storia inventa per farci incontrare i nostri salvatori: dobbiamo solo imparare a riconoscerli, quando li vediamo arrivare, e ad aprire le braccia per accoglierli”. Probabilmente Lucano, imbevuto del messaggio di fraternità per gli ultimi – lui che si dichiara ateo – ha preso sul serio già da vent’anni questo spirito cristiano, e lo ha messo in pratica, senza sbandierarlo come ipocritamente molti presunti cristiani fanno andando in chiesa e pronunciando il Padre Nostro, o nutrendosi del corpo di Cristo; ma poi si comportano rinnegandolo, e  non si ha il coraggio di manifestare pubblicamente, alla luce del sole, le proprie idee, i principi in cui si crede, assumendosi la responsabilità politica, etica e civile, si resta nel compromesso, nell’opportunismo, nella zona grigia come aveva denunciato Primo Levi ne “I sommersi e i salvati”. Quando si assume questo comportamento si spegne l’amore per il prossimo, per gli ultimi, e nono si prova la Kalokagathia, la bontà che diventa bellezza nell’accogliere e ospitare gli stranieri. Il peccato imperdonabile che ha commesso Mimmo Lucano è stato proprio quello di aver applicato il dettato evangelico: che l’uomo non è fatto per il sabato ma il sabato per l’uomo, perché è figlio di una terra che sente ancora il canto di Omero e l’archetipo della Xenia, perché sente il richiamo delle parole di Nausicaa  nel canto VI dell’Odissea: “O straniero, davvero né tristo tu sembri né stolto;/ma la felicità partisce fra gli uomini/ Zeus sire d’Olimpo, a chi piú gli piace; ora al buono, ora al tristo./A te diede cordogli, cordogli tu devi patire./Ma or che in questa terra, che in questa città sei pur giunto,/a te non mancheranno né vesti, né nulla di quanto/porger conviene ad un misero, oppresso dai mali, che prega.” Anche Cesare Pavese quando viene confinato a Brancaleone durante il fascismo e si trova in questo paese sperduto, a colpirlo è proprio la Xenia. In una lettera alla sorella esalta la cortesia e l’ospitalità innata della popolazione. E conclude con la riflessione: “la ragione è che ancora c’è la Grecia”. Quando invece dell’uomo si appropria il desiderio di dominio, quando non c’è il sacro rispetto per la divinità e per tutte le creature, si scatena la hubrys, la violenza, la dissacrazione, la tracotanza, perché l’uomo ambisce a sostituirsi a Dio. Ma anche il grande poeta romantico F. Hordellin, che si ispirava agli ideali supremi della grecità, ha affermato che dove c’è il pericolo c’è la possibilità della salvezza. La sacralità si manifesta in ogni momento, quando non vengono considerati per il valore economico, ma per la dignità, come aveva spiegato anche il filosofo I. Kant. Ad esprimere preoccupazione per questa deriva anche la storica Anna Foa. In un suo intervento a “Fahrenheit” (Radio Rai 3, venerdì 5, ore 15) ha affermato che sta rinascendo l’antisemitismo, e ha spiegato proprio perché “a furia di andare addosso ai diversi, non si riconosce l’altro, lo straniero,” per il clima infetto diffuso dal Governo Lega-Cinquestelle, senza che ci sia una reazione da parte di chi ha la responsabilità politica, e ha riferito che anche la senatrice Liliana Segre ha dichiarato che lentamente sta ritornando il fascismo. D’altronde anche Benito Mussolini, in una delle sue ultime  uscite aveva dichiarato: “Io non ho creato il fascismo, l’ho tratto dall’inconscio degli italiani”. Ed è quello che sta avvenendo con l’ondata salviniana. Bisogna mostrare i denti, ringhiare come fanno i cani quando vedono qualcuno che cerca di invadere il proprio territorio. Un po’ di cultura etologica ai leghisti pentastellati, a partire da Konrad Lorenz, tra cui E l’uomo incontrò il cane, e L’anello di Re Salomone, potrebbe aiutarli a comprendere i comportamenti dei loro ministri e capire come e da dove si generano certe reazioni dei cosiddetti Sapiens nordici della specie “homo salvinianus” di fronte alla Xenia che ancora è nel sangue di Lucano, definito “uno zero” dalla grande sapienza darviniana del ministro degli Interni e vice premier, con la complice alleanza del suo braccio destro Luigi Di Maio. Il potere mostra i denti quando ha paura di essere contagiato dall’amore fraterno verso il diverso, e verso lo straniero. Ce lo svela anche uno dei più influenti e profetici critici della civiltà contemporanea, il sociologo canadese dei media  Marshall McLuhan. Quando regna il disordine è il mito che mette ordine. Si evince dall’analisi che si trova nel libro “Gli strumenti del comunicare”, nella parte dedicata alla nascita della scrittura: “il mito greco dell’alfabeto racconta che Cadmo, il re cui si attribuisce l’introduzione in Grecia delle lettere fonetiche, seminò i denti di un drago dai quali scaturirono uomini in arme. Come tutti i miti, anche questo riassume un lungo processo in un’immagine sintetica. L’alfabeto significò potere, autorità e controllo a distanza delle scritture militari”; e più avanti spiega che “i denti sono un ovvio agente di potere”, e il linguaggio “abbonda di testimonianze sulla loro capacità di agguantare e divorare e sulla loro precisione. È quindi naturale e appropriato che il potere delle lettere come agenti di aggressione e precisione debba essere rappresentato come una estensione dei denti di un drago. I denti sono decisamente visivi nel loro ordine lineare; e le lettere, non solo assomigliano loro esteriormente, ma hanno una straordinaria capacità, ben palese soprattutto nella storia dell’Occidente, di affondarsi come denti nella materia con cui si costruiscono gli imperi”. In un Paese che per vent’anni ha creduto alle parabole fantastiche del cavaliere errante che ha inventato le leggi ad personam, per costruirsi il suo impero con i denti ben visibili e affilati della propaganda mediatico-televisiva, e con un harem di corteggiatori e servitori che ne esaltavano le virtù profetiche e maieutiche, non c’è da stupirsi che personaggi come Salvini e Di Maio, possano essere i figli di un matrimonio illegittimo del sire di Arcore. Il cliché è identico, cambiano le maschere, ma il canovaccio della commedia d’arte è sempre lo stesso. Ecco, è servito il governo del cambiamento, con l’effetto ottico negli occhi strabici dei pentastellati, che guardano solo la pagliuzza degli altri ma non vedono la trave conficcata nelle loro pupille strabiliate dal verbo folgorante di Rousseau tradotto anche nella nuova chiesa evangelica di Facebok, di cui sono maestri indiscussi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i due vice premier, fondendo o confondendo la realtà virtuale da “quella effettuale”: il contrario di ciò che ammoniva Machiavelli nel suo Principe.  Ma né la storia né la cultura insegnano. Perché il potere deve digrignare i denti per azzannare, e questo può avvenire quando la materia non è troppo resistente al morso. La cultura è un osso molto duro quando diventa scavo, lavoro, impegno per la libertà di espressione e di condizione; quando diventa coscienza etica, umana, spirituale e dichiara la dignità degli uomini come luce contro l’oscurità della menzogna, della meschinità, della viltà, dell’ipocrisia, del razzismo, dell’opportunismo, dell’odio, dell’indifferenza.  È stato Antonio Gramsci a gridare l’odio verso l’indifferenza più di un secolo fa, l’11 febbraio del 1917: “Odio gli indifferenti. Credo con Federico Hebbel che ‘vivere vuol dire essere partigiani’. Non possono esistere uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica” (11 febbraio 1917). Chissà quanto spirito cristiano si sparge nei campi arati dal consenso al Governo giallo-verde da parte della coscienza più colta dei “Stellati”senza alcuna pietas verso la loro lungimirante adesione al motto machiavellico, “il fine giustifica i mezzi”. Questa fede decantata dagli animi puri come le colombe e astuti come i serpenti, si versa incontaminata e incantata tra i vasi dell’amore per il prossimo, non solo con la pelle tatuata di gialle stelle e di campi verde smeraldo, ma anche disseminata di altri cromi, tinte e colori. Oggi, in questa Italia cattolica e apostolica da “la gaetta pelle” (Canto I, Inferno), cioè maculata, l’amore per il prossimo è reato: non ci sono più i vangeli ma le sacre scritture dei codici e dei codicilli, che si dilettano a danzare sulle note dell’inflessibilità della Legge, ispirati al nodo del carro del povero contadino Gordio, che poi, secondo un aneddoto, Alessandro Magno recide con un colpo secco di spada: “Portategli il discorso su argomenti che richiedono acume e sottigliezza, vi saprà sciogliere il nodo gordiano di tutto, come la sua giarrettiera” (W. Shakespeare, Enrico V, Atto primo, scena prima). Le coscienze civili che ancora sentono il vagito dell’amore per il prossimo, che non rinnegano i fondamentali valori umani, che pongono la sacra dignità di ogni persona al centro della proprio impegno, visione etica e tensione spirituale, hanno deciso di ribellarsi alla mediocrità e alla bieca e ottusa meschinità, come aveva raccomandato il premio Nobel Rita Levi Montalcini: “Non bisogna rassegnarsi alla mediocrità, ma coltivare il coraggio di ribellarsi”. È lo spirito che sprigiona anche il grande scrittore e giornalista Tiziano Terzani nel libro Un’idea del destino: “Non insegnate ai vostri figli ad adattarsi alla società, ad arrangiarsi con quel che c’è, a fare compromessi con quel che si trovano davanti; dategli dei valori interiori con i quali possano cambiare la società e resistere al diabolico progetto della globalizzazione di tutti i cervelli. Perché la globalizzazione non è un fenomeno soltanto economico ma anche biologico, in quanto ci impone desideri globali e comportamenti globali che finiranno per indurre modifiche globali nel nostro modo di pensare. Il mondo di oggi ha bisogno di ribelli, ribelli spirituali”. Anche Pier Paolo Pasolini già nei primi anni ’70 aveva constatato che la mutazione era insieme antropologica e biologica come testimonia con passione, dedizione e radicalità ne “Gli scritti corsari” e in “Lettere luterane”, facendo emergere l’azione narcotizzante e anestetizzante della ideologia dei consumi che, attraverso “il genocidio culturale” cancellava le diversità e le differenze, creando indifferenza e uniformità, come accade in tutti i regimi totalitari e fascisti, compreso nell’attuale modello del neoliberismo del Pil, del prodotto interno lordo, che di fatto significa violenza, ingiustizia, inquinamento, disumanità (basti soltanto leggersi un passaggio delle parole pronunciate da Robert kennedy 50 anni fa, tre mesi prima di essere ucciso, passato alla storia come Discorso sul Pil). Per questi motivi oggi pomeriggio ci sarà una manifestazione dallo slogan “Riace non si arresta”, per esprimere la vicinanza al sindaco di Riace Domenico Lucano.  Ad organizzarla Cgil Calabria, Anpi, Arci, Articolo 21, Potere al Popolo, Libera e Usb (si riporta il testo del comunicato in calce). È sembrato paradossale che il procuratore di Locri abbia chiamato l’inchiesta “Xenia”. Essere accoglienti in questa Italia populista dominata dal verbo di Salvini con la nuova vulgata pentastellata, è un crimine. Con l’arresto di Lucano anche la Xenia rischia l’arresto, mente si diffonde la xenofobia. Ma il conflitto tra autorità e potere, tra principi sacri e leggi umane, tra la potenza della coscienza e prepotenza del diritto come accade nella tragedia di Sofocle Antigone, si ripropone in tutto il suo dramma. Uno scontro che ha visto anche come protagonisti i Socrate, i Giordano Bruno, i Tommaso Campanella, i  Gandhi, i Martin Luther King, i Nelson Mandela, i Danilo Dolci, i don Lorenzo Milano, e adesso anche Lucano. Ma una domanda scuote le fondamenta della Giustizia: era proprio necessario arrestare il sindaco di Riace? Ci troviamo forse un pericoloso criminale che poteva commettere altri terribili reati, come quelli di cui è stato accusato, cioè dare risposte di umanità di fronte alla disumanità, comportarsi in modo onesto per aiutare i più deboli, disobbedire alle leggi ingiuste, perché al di sopra di tutto c’è il primato della coscienza, l’essere umano con la sua dignità e con i suoi diritti intangibili e inviolabili? In questa Italia della Terza Repubblica, dopo che Salvini ha affermato che non metterà più piede a Riace finché ci sarà Lucano e che il sindaco di Riace “è uno zero”, adesso sarà felice e ha cinguettato questi alti concetti: “Chissà cosa diranno Saviano e tutti i buonisti che vorrebbero riempire l’Italia di immigrati”. Con il nuovo decreto che porta il suo nome, l’Italia sarà ripulita dei più deboli, dei disperati, degli scarti dell’umanità e di tutti coloro che hanno ancora una coscienza per ribellarsi alla disumanità che si cela dietro l’ideologia sovranista e populista della difesa della razza italica. Non sappiamo se ci troviamo di fronte ad un dramma esistenziale come quello di Amleto, o umoristico di matrice pirandelliana come il protagonista del romanzo “Il fu Mattia Pascal” che si riduce alla fine a portare i fiori sulla sua tomba. Eppure le ispezioni della Prefettura avevano elogiato l’operato d Lucano. Cosa è successo nel frattempo? Il governo del cambiamento Cinquestelle-Lega, ha eletto come nodo da sciogliere per il bene degli italiani, la questione dei migranti contro tutti i “buonisti alla Lucano”?. E in Calabria anche la criminalità organizzata e ogni forma di corruzione, rientreranno nella supremazia della Legge? Secondo il postulato insito nelle affermazioni del procuratore di Locri Luigi D’Alessio, possiamo stare tranquilli che a Locri e in tutta la Locride, non ci sarà alcun cittadino che potrà operare fuori dalla legge. E sì, sembra proprio di vivere in un Paese alla rovescia. Non importa sapere cosa ci sia dentro e dietro, le tracce di un percorso, i solchi che hanno scavato le mani, il sangue che scorre nel pensiero e nelle idee, il dolore e la sofferenza patita. Si adora la superficie, la vanità, l’apparire e si cancella l’humanitas e la sua Storia.  Ormai la società è diventata merce per un mercato sempre più social e più ti sai vendere per avere consenso, e metti sul mercato le idee, i principi, i sentimenti, le emozioni, più ci si sente in sintonia con i like. Questa società ama compiacersi, predilige la banalità del male, la vanità delle vanità, come recita l’Ecclesiaste e non “comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra noi” come ammoniva Robert Kennedy nel famoso discorso sul Pil. Quando l’uomo smarrisce il filo di Arianna, il lume della propria umanità, della pietas e della solidarietà, e non è capace di donare l’esperienza assoluta di libertà e di bellezza, che cosa rimane? L’odio, il razzismo, la disumanità, la mostruosità che hanno contrassegnato la storia sia antica che contemporanea. E questo che gli italiani onesti, sensibili, i “cristiani” che non hanno rinunciato ad avere una coscienza, desiderano avere? Quando i populisti evocano il popolo italiano, a quali italiani si rivolgono? Quello che sta accadendo è inquietante e deve farci rabbrividire perché si sta preparando il terreno per una deriva fascista e autoritaria che parte dalla erosione dei diritti umani, dalla negazione della cultura fatta di riflessione, di interrogazione, di scavo, di cura, di passione, di attenzione ai bisogni e al grido di sofferenza dell’altro, di sensibilità alle pelle delle parole, di una visione libera e critica senza pregiudizi, di apertura come la terra che si apre all’aratro e al seme, di lavoro per scavare nei molteplici significati che ha ogni creatura, di rinunce, di responsabilità etica, di impegno per far partorire il bene e il bello. Non certo con la costruzione del capro espiatorio? “Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati” (Bertolt Brecht). Il 2017 è stato un anno nero per quanto riguarda coloro che hanno cercato di difendere i diritti umani come emerge dai dati del Centro per i diritti umani. Sono stati uccisi oltre 300 difensori. Proprio in concomitanza con la marcia della Pace da Assisi a Perugia, in nome dell’amore per tutte le creature espresso nel Cantico da San Francesco, è necessario avere memoria e coscienza di quello che sta accadendo all’anima di questo Paese. La Cgil Calabria, Anpi, Arci, Articolo 21, Potere al Popolo, Libera e Usb sono al fianco di Mimmo Lucano e della sua Riace, una comunità che è ormai  simbolo in tutto il mondo di accoglienza e di straordinaria dedizione nei confronti degli ultimi. Il modello Riace e la sua “utopia della normalità”  testimoniano che l’integrazione non è un miraggio e che l’accoglienza di emergenza può essere trasformata in programmi di inclusione durevoli, rivitalizzando l’economia di una comunità minacciata dallo spopolamento. Abbiamo sempre seguito da vicino e con rispetto le vicende di ordine burocratico e giudiziario che hanno riguardato il Comune di Riace e chi egregiamente lo rappresenta. Anche in questa occasione, quindi, rinnoviamo l’augurio che la giustizia faccia velocemente il proprio corso affinché lo slancio innovativo del visionario sindaco di Riace, all’insegna del pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità degli stranieri, possa proseguire ad essere occasione di crescita sociale, etica ed economica per l’intera comunità. La magistratura, le sue inchieste e sentenze si rispettano sempre; ma non possiamo tacere che polverizzare l’esperienza di Riace significherebbe colpire un simbolo di pace, rispetto, giustizia e uguaglianza fra i popoli. Per tutte queste ragioni, umanitarie e legate a una precisa strategia di sviluppo del territorio,  di crescita economica e sociale in cui nessuno è zero, ma a ciascuno è offerta di l’occasione di farcela, abbiamo organizzato una manifestazione per sabato 6 ottobre, alle ore 15, a Riace. L’iniziativa è aperta a chiunque come singolo, associazione o partito voglia esprimere la propria solidarietà a Mimmo Lucano. Cgil Calabria, Anpi, Arci, Articolo 21, Potere al Popolo, Libera e Usb