’Ndrangheta, parola alla difesa
«Quei ragazzi non c’entrano»

Il legale di Morabito, Depretis e Staiti: «Pronti a pagare per ciò che hanno fatto a Cantù. Si è trattato di risse e conti non pagati. Altro che il marchio indelebile di associazione mafiosa»

«Non ritengo che ci sia il reato associativo. I miei assistiti sono andato a trovarli l’altra mattina. Certo, dal punto di vista psicologico, non sono momenti belli. Da quasi due anni sono in custodia cautelare. Come me, hanno molta fiducia nella giustizia. Sono pronti a pagare per quello che hanno fatto, come le risse. Non per altro».

A dirlo, è l’avvocato Tommaso Scanio. Che nel processo in corso al Tribunale di Como per i presunti fatti di ’ndrangheta a Cantù difende gli imputati principali, detenuti e accusati di associazione mafiosa.

Il pm Sara Ombra, Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, ha chiesto una condanna a 18 anni per Giuseppe Morabito, 32 anni di età. Ha chiesto 16 anni per Domenico Staiti, 46 anni. Ha chiesto 16 anni per Rocco Depretis, 23 anni. Oltre a loro tre, tutti di Cantù, Scanio difende anche Andrea Scordo, 34 anni, di Africo, accusato di lesioni provocate nei pestaggi in concorso con altri: per lui il pm ha chiesto 10 anni.

Opinione personale del difensore: «Secondo me è un messaggio distorto affermare che queste risse accadevano per la presenza di queste persone». Anche se la Dda, che insieme ai carabinieri ha monitorato la situazione dopo gli arresti, ha affermato come poi non sia più accaduto nulla del genere.

Il ragazzo buttato nella fontana? «Un gioco che uno di loro ha preso come offesa. Ma poi: un’associazione per non pagare le consumazioni al bar, mille o duemila euro, che poi potrei pagare il giorno dopo con un assegno? Un’associazione che controlla solo tre bar di una piazza?».

E conclude: «La condanna per associazione mafiosa è un marchio a vita indelebile - ricorda l’avvocato - Ma penso che questo collegio sia composto da persone serene». La sentenza arriverà martedì 16 aprile.

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