Economia

I titoli Usa? No, grazie

La Banca Cler sconsiglia l'investimento in strumenti del debito pubblico americano perché non rispettano i principi dello sviluppo sostenibile

Il Cio di Banca Cler, Sandro Merino
22 settembre 2018
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Chi ha a cuore i principi dello sviluppo sostenibile dovrebbe rinunciare a investire nei titoli di Stato Usa. È il consiglio che la Banca Cler dà ai propri clienti per quanto riguarda l’asset allocation in obbligazioni pubbliche statunitensi.
«L’amministrazione Usa, sotto la guida del presidente Donald Trump, si sta ritirando dalle sfide globali in tema di ambiente, giustizia sociale e governance. La politica estera di Trump, inoltre, è orientata più allo scontro che non alla cooperazione internazionale. Da qui la domanda, che un investitore responsabile deve porsi, e se vale ancora la pena avere nel proprio portafoglio titoli del debito pubblico statunitense. Secondo i nostri criteri di scelta di investimento, no», afferma Sandro Merino, Chief investment officer della Banca cantonale di Basilea (Bkb) e della Banca Cler (partecipata interamente da Bkb).
Gli investitori interessati allo sviluppo sostenibile (economico, sociale e ambientale) quando sono chiamati in particolare a ponderare bene i Paesi che emettono titoli di Stato idonei per il loro portafoglio. Gli Stati Uniti – a causa del loro debito pubblico – rappresentano un mercato molto importante. Pertanto scegliere di acquistare o no obbligazioni pubbliche Usa significa, indirettamente, schierarsi a favore o contro il dollaro come moneta d’investimento. «Il dollaro è ancora una valuta considerata un bene-rifugio. Noi non sconsigliamo di investire in dollari, soprattutto in questo momento storico di incertezza. Quindi non è un fuga – da parte nostra – da tutto ciò che è targato Usa. Ci sono anche altre emittenti, soprattutto corporate (aziende, ndr) che rispondono appieno ai nostri requisiti che individuano il perimetro d’investimento nel campo della sostenibilità ambientale, sociale ed economica», continua l’economista di Banca Cler.
«Per la sostenibilità ci basiamo sui rating di agenzie specializzate come la Msci che analogamente ai rating per il merito creditizio classico, il giudizio migliore è la ‘AAA’, seguito da ‘AA’, ‘A’, ‘BBB, ‘BB, ‘B’ fino a ‘CCC’. Sui 198 Paesi emittenti analizzati dall’agenzia Msci, noi scegliamo solo quelli con almeno un voto ‘A’», continua Sandro Merino.
Gli Stati Uniti, però, hanno ricevuto un rating Msci ‘A’, al pari di Paesi come il Cile, la Malaysia, Hong Kong, Francia e Irlanda. Come mai il debito pubblico Usa non trova il vostro consenso?
«Si guarda anche alla prospettiva. E in questo momento – sempre per quanto riguarda i principi della sostenibilità – gli Stati Uniti stanno facendo passi indietro. Basta pensare che non rispettano le norme Onu sull’embargo e quelle sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e dell’infanzia. Sono tutti fattori rilevati dal nostro filtro e che ci fanno rinunciare, nei mandati e soluzioni d’investimento orientati allo sviluppo sostenibile, a questi titoli», continua Merino che precisa che ciò non vuol dire rinunciare alla performance. «Ci sono paesi che offrono buone performance e che rispettano i criteri di sostenibilità». Tra questi Norvegia, Svezia, Svizzera, Australia e Nuova Zelanda.
Per dovere di cronaca bisogna aggiungere che nemmeno i titoli pubblici di Cina, Russia, Arabia Saudita, Israele, Italia, Portogallo, Spagna, Polonia, Ungheria e Quatar rientrano nel perimetro d’investimento di Banca Cler.

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