Cina

Xi Jinping sulla rotta di Mao

Ora che potrebbe diventare presidente a vita, molti osservatori temono una deriva ‘nordcoreana’

E già che ci sono, mi applaudo da solo
((Keystone))
1 marzo 2018
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L’état, c’est moi. L’eliminazione del limite di due mandati per il presidente della Repubblica Popolare Cinese, promossa questa settimana dal Partito Comunista (Pcc), spiana la strada a un possibile “incarico a vita” per Xi Jinping. Dittatura era, dittatura resta, potremmo pensare noi dall’Europa. Ma non è così.

Per decenni, l’autoritarismo cinese aveva consolidato il suo controllo attraverso la collegialità: una piramide istituzionale solida e articolata, nella quale è il partito, prima ancora del suo leader, a imporsi come ineludibile Leviatano. Una scelta obbligata, dopo la disastrosa parabola personalistica di Mao Zedong. La svolta attuale, invece, riporta il comunismo cinese alla casella di partenza, come spiega un’analisi del ‘New York Times’.

È un processo che Xi “porta avanti da anni: sottraendo il potere alle istituzioni cinesi e accumulandolo nelle sue mani”, spiega l’autore Max Fisher. Xi è infatti riuscito a diventare “l’attore dominante nei campi della regolazione finanziaria e delle politiche ambientali”, secondo Barry Naughton dell’Università della California. A ciò si aggiunga una vasta campagna anticorruzione, che Xi ha sfruttato per liquidare l’opposizione interna, presentandosi al contempo alla nazione come moralizzatore dei costumi.

Il problema è che la personalizzazione della dittatura tende storicamente a rendere “la politica domestica più ondivaga, il governo più erratico e la politica estera più aggressiva” (oltre che a Mao, pensate a Kim Jong-Un). Per non parlare dei problemi di successione. Spiega Milan Svolik, docente a Yale: “C’è una domanda che mi piace porre agli specialisti di politica russa: ‘se domani a Putin venisse un attacco di cuore, cosa succederebbe?’ Nessuno lo sa. In Cina, finora, la risposta era molto chiara”. Regole e istituzioni prenderebbero il sopravvento, garantendo la successione: il re è morto, viva il re.

Fino a pochi anni fa, il Pcc ha goduto di un ampio supporto popolare, non solo grazie a propaganda e censura. Il politologo Bruce Gilley individua tre spiegazioni: crescita economica, orgoglio nazionalista e la percezione di una leadership collettiva. Xi ha azzerato la terza variabile, compensandola – anche di fronte a una classe media sempre più benestante, istruita e pertanto potenzialmente riottosa – con un culto della personalità mascherato da patriottismo. Ma quanto può durare? Per Thomas Pepinsky (Cornell University) c’è poco da stare allegri: la personalizzazione del dispotismo è sintomo di “uno Stato autoritario in decadenza”.

 

LA CURIOSITÀ - Ce(n)sura: Via la ‘n’ dai social

Nel giustificare la scelta – in deroga alla costituzione – di permettere a Xi Jinping di mantenere la presidenza anche allo scadere del secondo mandato, il Partito comunista cinese ha millantato il grande consenso del quale Xi godrebbe presso la popolazione. Ma l’attività su Weibo, il Twitter cinese, ha subito mostrato che non tutti sono così convinti, tanto che la censura di Stato ha optato immediatamente per un ulteriore giro di vite. E per qualche ragione, da quello che i cinesi possono permettersi di ricercare sui social network è scomparsa, sia pure brevemente, perfino la lettera n. Lo riporta il ‘Guardian’.

Quella che nel nostro alfabeto è semplicemente la dodicesima lettera potrebbe infatti essere utilizzata, secondo la spiegazione del sinologo Victor Mair (Università della Pennsylvania), per ricercare ragguagli su “n terms of office” (n termini di mandato), e specificamente “n>2”. È la deriva comica di una più ampia paranoia, che ha portato i censori a bloccare la ricerca di svariati termini: ‘diecimila anni’ (che in cinese equivale a “lunga vita”), ‘dissento’, ‘Xi Zedong’ (combinazione satirica dei nomi di Jinping e Mao), ‘svergognato’, ‘culto della personalità’, ‘emigrare’, ‘immortalità’. Oscurati anche i due titoli di Orwell ‘1984’ e ‘La fattoria degli animali’.

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