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«Catania, preferirei tante notti aperte a certe notti bianche: parola di Sgarbi»

Di Vittorio Sgarbi |

Temo che il nuovo direttore de “La Sicilia”, che mi conosce e mi legge, abbia volutamente equivocato chiedendomi di parlare di “notti bianche” a Catania e in Sicilia, anche per “Heritage” e con la “consapevolezza Unesco”. Io odio le notti bianche, le trovo una perversa forma di animazione che favorisce lo spirito della movida, coinvolgendo sfaccendati in una improbabile passione per l’arte e per i monumenti che, certo, sono aperti. Ma, nella particolare circostanza, purtroppo episodica come una festa di compleanno, sono aperti gratuitamente. Questo è il vero dato utile, anche diurno.

La confidenza con i musei, la loro frequentazione dipendono in buona misura dalla gratuità, unico principio democratico che dovrebbe ispirare chi guida la cultura di uno Stato. Infatti, i musei, come le biblioteche, sono veri e propri laboratori delle scuole e dovrebbero essere aperti, come lo sono i cinema e i teatri, dopo l’orario delle scuole e per tutta la sera ,quando, non soltanto gli studenti, ma anche i lavoratori sono in condizione di frequentarli rispetto agli orari dei loro diversi uffici. Non c’è dubbio che, a parte scolaresche e studenti stranieri, i musei dovrebbero essere aperti dalle sei di sera a mezzanotte, estendendo di fatto a tutti i giorni dell’anno le notti bianche che chiamerei piuttosto “notti aperte”, così come la notte e la sera ci riservano aperti ristoranti, luoghi di spettacolo e locali notturni.

Le notti bianche sono l’alibi per risultati occasionali che mostrano il coinvolgimento di molti cittadini, altrimenti distratti. Ma nascono dall’estensione di una falsa idea della movida che ha letteralmente trasfigurato città come Lecce e, probabilmente, in parte anche Catania. D’altra parte ci sono città diurne e città notturne. Palermo ha una notte, ruggente, sonora, rumorosa, Catania è più una città diurna, severa e soprattutto ben conservata. I suoi edifici barocchi costruiti dopo il terremoto del 1693 hanno una monumentalità severa nella quale si avverte la necessità o la volontà di imbrigliare il fuoco del vulcano nella lava che si fa pietra nera in una scia che va dall’Etna al mare.

Le strade strette che furono trappole durante le eruzioni e il terremoto divennero vie larghe e maestose. La calamità che avrebbe trasformato Catania in una grande e moderna città monumentale è il terremoto che si registrò tra le giornate del 9 e dell’11 gennaio 1693, quando tutto il Val di Noto fu sconvolto da potenti scosse.

Oggi se penso a Catania penso a una città musicale che vive nell’onda sonora dell’opera di Bellini, in particolare della Norma, quasi un accompagnamento nelle camminate della città; e penso alle vere notti bianche che sono quelle della festa di Sant’Agata nei primi giorni di febbraio quando la notte si accende delle luci straordinarie delle candele. Notti trasfigurate, scintillanti, euforiche di sacralità, tra paganesimo e cristianesimo. Ma quelle notti sono il punto di arrivo onirico di lunghe giornate che iniziano alle prime ore dell’alba.

Oggi, invece, devo dire che delle cosiddette notti bianche non mi soddisfa la interpretazione autocompiaciuta degli organizzatori, con le loro formule consunte e soddisfatte, quanto insoddisfacenti, falsamente volontaristiche: “Insieme possiamo fare sistema e dare forza e slancio alle straordinarie opportunità di crescita e sviluppo, a partire da cultura e turismo, che la nostra terra può e deve cogliere, avvantaggiata da un patrimonio di bellezza talmente ricco da farne la prima regione al mondo per siti Unesco”.

L’apertura straordinaria dei palazzi storici, Biscari, Zappalà, Mundo, Bonaiuto, di Villa Cerami, della chiesa e monastero di San Benedetto, di San Francesco all’immacolata, di San Camillo dei mercenari, di San Placido, della casa museo Verga, del museo di Vincenzo Bellini, invece, altro non è a Catania che la ripresa della città della fede nei giorni vivi e veri di Sant’Agata, come è già accaduto a Noto, dove la ricostruzione della cattedrale, con la decorazione interna che io ho seguito direttamente perché gli artisti obbedissero a un grande progetto liturgico, ha rappresentato simbolicamente la rinascita della città, non per una notte ma per tutti i giorni, durante tutte le funzioni civili e religiose, nella consapevolezza di essere al centro della bellezza, in una città che è una festa mobile e che esiste perché ha trasformato, a Catania come a Noto, il fuoco in pietra.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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