Sostenere le popolazioni colpite da una gravissima crisi umanitaria, organizzare gli aiuti e la solidarietà concreta in modo capillare nella regione, occuparsi delle comunità cristiane, valutare progetti realizzati e criticità, discutere dei settori d’impiego delle risorse raccolte e progettare gli impegni futuri. Sono questi alcuni degli obiettivi della riunione sulla crisi umanitaria in Iraq e Siria promossa dal “Dicastero per il Servizio umano integrale” organizzata presso la Pontificia università urbaniana il 13 e 14 settembre. Nell’occasione è stato presentato il “Rapporto dell’Indagine sulla risposta delle Istituzioni ecclesiali alla crisi umanitaria irachena e siriana 2017-2018”, realizzato dallo stesso dicastero; fra i partecipanti all’incontro il Segretario di Stato Pietro Parolin, il nunzio apostolico in Siria Mario Zenari, il nunzio in Iraq e Giordania Alberto Ortega Martin, il Prefetto del dicastero dello sviluppo umani integrale, il cardinale Peter Turkson, il Prefetto per le chiese orientali, cardinali Leonardo Sandri.

 

Quasi 22 milioni di persone da soccorrere

Un primo dato emerge fra i tanti contenuti nel rapporto: il significativo sforzo finanziario sostenuto da una vasta rete ecclesiale negli anni che vanno dal 2014 al 2018 per aiutare le popolazioni colpite dalle conseguenze dei conflitti. Una flessione in questo senso si registra solo nel 2018 ma il dato resta comunque alto, superiore ai 200 milioni di dollari. In totale nel quadriennio è stato raccolto e donato più di 1 miliardo di dollari per rispondere alla crisi segnata da diversi conflitti, una somma proveniente da fonti di finanziamento pubbliche (fondi governativi e delle istituzioni internazionali) e private (donazioni, fondazioni, fondi della Chiesa cattolica). L’indagine, che è arrivata ormai alla terza edizione, riguarda 7 diversi Paesi: Siria, Iraq, Libano, Giordania, Turchia, Egitto, Cipro. Fra gli elementi di cui infatti bisogna tener conto infatti, c’è l’altissimo numero di sfollati e rifugiati; in Siria si calcola che oltre 13 milioni di persone hanno bisogno di una qualche forma di aiuto e sostegno, nel Paese si contano infatti 6,6milioni di sfollati interni, mentre 5,6 milioni sono i rifugiati registrati nei vari Paesi limitrofi: la gran parte in Turchia, Libano e Giordania. In Iraq la situazione è altrettanto pesante: 8,7 milioni di persone vivono in stato di necessità, di questi più di 4 milioni sono bambini. L’indagine, inoltre, si è avvalsa dei dati provenienti da 84 istituzioni ecclesiali così suddivise: 53 istituzioni caritative cattoliche, 10 diocesi siriane e 21 istituti religiosi operanti in Siria, Libano, Iraq e Giordania.

 

Importante anche la vasta area geografica coperta dall’azione solidale promossa dalla rete cattolica. In Siria gli interventi si concentrano principalmente nelle zone di Aleppo e Damasco, in Iraq nel nord del paese e nella piana di Ninive, in Libano e Giordania e Turchia rispettivamente a Beirut, Amman, Istanbul e nelle aree di confine con la Siria, dove si concentra il maggior numero di rifugiati. Ancora, da sottolineare, che i dati raccolti testimoniano come la rete ecclesiale sia in grado di mobilitare un elevato numero di persone impegnate nelle attività di risposta all’emergenza, un dato in continua crescita di anno in anno: vi sono attualmente più di 5.800 professionisti e più di 8.300 volontari nei sette paesi, che si uniscono a sacerdoti e religiosi operanti nei diversi territori e teatri del conflitto coinvolti.

 

I fondi maggiori destinati alla Siria, poi Libano e Iraq

Sotto il profilo finanziario, interessante per comprendere l’entità degli aiuti raccolti quanto è accaduto nel 2017. In totale per quell’anno, sono stati spesi ben 286 milioni di dollari che hanno raggiunto circa 4,6 milioni di beneficiari. «Il dato è particolarmente significativo - rileva il Dicastero per lo sviluppo umano integrale - perché è il più elevato dal 2014 e testimonia come l’impegno della Chiesa non solo sia rimasto costante, ma si sia consolidato e rafforzato negli anni, adattandosi ai cambiamenti contestuali». Nel merito si rileva che dai dati analizzati, nel corso del 2017, il 35% dei fondi (circa 100 milioni di dollari) è stato destinato alla Siria, il 30% al Libano, il 17% all’Iraq e il 9% alla Giordania. I principali settori d’intervento sono stati: istruzione, con più di 73 milioni di dollari, di cui 45 milioni destinati al Libano; aiuto alimentare, con più di 54 milioni di dollari, fortemente influenzato dalle azioni in Siria, cui è stato destinato l’83% dei fondi di tale settore; sanità, con circa 30 milioni di dollari (11% dei fondi totali), di cui il 38% destinato alla Siria.

 

In generale se queste sono le classiche voci di un’emergenza umanitaria va detto che stanno crescendo le azioni di livelihood (termine con il quale si intendono tutte quelle attività il cui scopo è fornire e rafforzare mezzi di sussistenza alle famiglie, attività generatrici di reddito, formazione professionale, creazione di opportunità lavorative); nel concreto crescono le risorse destinate al sostegno per gli affitti e la riabilitazione delle case (soprattutto in Iraq), al supporto psicosociale e alla protezione legale (in particolare in

Libano).

 

Tensioni intercomunitarie e ritorno dei profughi

Infine, nel rapporto, si identificano alcune problematiche e priorità di tipo nuovo rispetto alla fase più propriamente emergenziale. Nell’aiuto ai rifugiati nei paesi limitrofi alla Siria, «è necessario prestare un’attenzione crescente alle comunità di accoglienza. Non possono essere sottovalutate le crescenti tensioni intercomunitarie – spiega il Dicastero ‘sociale’ del Vaticano - ed è quanto mai importante continuare a lavorare sulla coesione sociale, su un accesso equo ai servizi pubblici, un sostegno alle persone più vulnerabili delle comunità ospitanti, un supporto adeguato alle infrastrutture dei paesi di accoglienza, in particolare nei settori sanitario ed educativo».

 

Fra i nodi centrali da sciogliere per il prossimo futuro, c’è anche quello del ritorno dei profughi nelle loro comunità d’origine, a cominciare dai cristiani. In questa fase il problema coinvolge prevalentemente l’Iraq e la piana di Ninive (dove appunto la maggior parte di coloro che fanno ritorno sono famiglie cristiane), mentre è più limitato in Siria. Fra gli interventi messi in luce quelli per la ricostruzione di strutture scolastiche, sanitarie e di siti religiosi. Importante in questo ambito è anche garantire le condizioni di sicurezza per chi torna nelle comunità di origine.

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